Sentenza del 12 marzo 2021 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott.ssa Angelica Castellani

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Il giudice innanzi al quale sia stata proposta domanda di nullità integrale del contratto deve rilevarne d’ufficio la sua nullità solo parziale, e solo qualora le parti, all’esito di tale indicazione officiosa, omettano un’espressa istanza di accertamento in tal senso, deve rigettare l’originaria pretesa non potendo inammissibilmente sovrapporsi alla loro valutazione e alle loro determinazioni espresse nel processo (Cass. SS.UU. n. 26242/2014).

Le eccezioni in senso stretto si identificano solo in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponda all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva o estintiva di un rapporto giuridico, supponga il tramite di una manifestazione di volontà della parte (ex multis, Cass. n. 20317/2019, conforme a Cass. SS.UU. n. 1099/1998, Cass. n. 12353/2010 e Cass. n. 27045/2018). L’invocata sostituzione ex art. 1419 c.c. della clausola contrattuale derogativa dell’art. 1957 c.c. con la norma di legge costituisce effetto consequenziale alla dedotta nullità, sicché la decadenza di cui alla citata norma, non integrando eccezione in senso stretto per il cui rilievo risulta indispensabile l’iniziativa di parte, può essere rilevata d’ufficio quale fatto estintivo risultante dal materiale allegatorio e probatorio acquisito in atti.

In tema di accertamento dell’esistenza di intese restrittive della concorrenza vietate dall’art. 2 della l. n. 287 del 1990, con particolare riguardo alle clausole relative a contratti di fideiussione stipulati con le banche, il provvedimento della Banca d’Italia di accertamento dell’infrazione, adottato prima delle modifiche apportate dall’art. 19, c. 11, della l. n. 262 del 2005, possiede, al pari di quelli emessi dall’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, un’elevata attitudine a provare la condotta anticoncorrenziale, indipendentemente dalle misure sanzionatorie che siano in esso pronunciate, e il giudice del merito è tenuto, per un verso, ad apprezzarne il contenuto complessivo, senza poter limitare il suo esame a parti isolate di esso, e, per altro verso, a valutare se le disposizioni convenute contrattualmente coincidano con le condizioni oggetto dell’intesa restrittiva, non potendo attribuire rilievo decisivo all’attuazione o meno della prescrizione contenuta nel menzionato provvedimento con cui è stato imposto all’ABI di estromettere le clausole vietate dallo schema contrattuale diffuso presso il sistema bancario (Cass. n. 13846/2019).

La produzione in giudizio dei provvedimenti delle autorità indipendenti che espongono gli esiti dell’istruttoria antitrust unitamente all’ulteriore compendio probatorio atto a confermare la diffusività dello schema contrattuale nel settore di riferimento in un arco temporale che ricomprende il momento in cui è stata stipulata la fideiussione oggetto di causa integrano elementi di prova sufficienti a dimostrare l’esistenza del cartello anticoncorrenziale e la sua attitudine a spiegare effetti sulla negoziazione particolare.

Da un lato, la circostanza che una intesa ‘a monte sia nulla perché anticoncorrenziale non comporta automaticamente la nullità di tutti i contratti posti in essere dalle imprese aderenti all’intesa. Dall’altro lato, avendo l’Autorità amministrativa circoscritto l’accertamento dell’illiceità ad alcune specifiche clausole, ciò non esclude, né è incompatibile con il fatto che in concreto la nullità del contratto ‘a valle’ debba essere valutata dal giudice adito e che possa trovare applicazione l’art. 1419 c.c., laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalle intese illecite (Cass. n. 24044/2019).

Pertanto, la nullità ‘a valle’ delle fideiussioni omnibus deve essere valutata alla stregua dell’art. 1418 ss. c.c. e può trovare applicazione l’art. 1419 cod. civ., laddove l’assetto degli interessi in gioco non venga pregiudicato da una pronuncia di nullità parziale, limitata alle clausole rivenienti dalla intesa illecita, posto che, in linea generale, solo la banca potrebbe dolersi della loro espunzione (Cass. n. 4175/2020).

La valutazione concorrenziale dello schema contrattuale non si fonda sul mero confronto della singola clausola con la regola codicistica, quanto piuttosto sulla previsione uniforme di una disciplina di dettaglio idonea ad incidere sulla caratterizzazione dell’offerta bancaria, impedendo l’efficace forma di concorrenza rappresentata dalla differenziazione della stessa e aggravando la posizione del fideiussore.

Devono ritenersi caratterizzate da oggetto illecito, e quindi nulle ai sensi del combinato disposto degli artt. 1418 e 1346 c.c., le clausole che traspongono nel contratto ‘a valle’ l’identico contenuto del prodotto dell’intesa ‘a monte’, la cui invalidità è testualmente sancita dall’art. 2, c. 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990, cui va riconosciuta natura di norma di ordine pubblico economico. Tali clausole, contenute in un contratto c.d. ‘seriale’, destinato all’utilizzazione sistematica e generalizzata, sono direttamente strumentali al risultato vietato dalla legge, veicolando l’identico contenuto di condizioni generali di cui è già stata accertata la nullità in quanto uniformemente applicate. L’oggetto del contratto è illecito anche quando la prestazione, pur in sé lecita, è funzionale al perseguimento di un risultato vietato dall’ordinamento. Nel caso di specie, attraverso tali clausole si realizza e si perpetua la violazione degli interessi generali sottesi alla legge antitrust.

Con riferimento al regime di nullità – totale o parziale – in mancanza della prova che i contraenti non avrebbero concluso il contratto senza le clausole colpite da nullità, il paradigma da adottare deve essere quello della nullità parziale ex art. 1419, c. 2, c.c.

Pertanto, salva la dimostrazione, da fornirsi a cura della parte che invochi la nullità dell’intero regolamento negoziale, che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità, deve ritenersi che il fideiussore avrebbe prestato la garanzia, atteso che la sostituzione della disciplina codicistica alle pattuizioni nulle è a lui più favorevole.

Con riferimento all’eccezione ex art. 1955 c.c., il fatto del creditore rilevante ai fini della liberazione del fideiussore non può consistere nella mera inazione, ma deve costituire violazione di un dovere giuridico imposto dalla legge o nascente dal contratto e integrante un fatto quanto meno colposo, o comunque illecito, dal quale sia derivato un pregiudizio giuridico, non solo economico, che deve concretizzarsi nella perdita del diritto (di surrogazione ex art. 1949 c.c., o di regresso ex art. 1950 c.c.), e non già nella mera maggiore difficoltà di attuarlo per le diminuite capacità satisfattive del patrimonio del debitore (in tal senso, da ultimo, Cass. n. 4175/2020; precedenti conformi: Cass. n. 21833/2017, Cass. n. 9695/2011 e Cass. n. 28838/2008).

Il principio in base al quale, nella fideiussione per obbligazione futura, sussiste l’onere del creditore, previsto dall’art. 1956 c.c., di richiedere l’autorizzazione del fideiussore prima di far credito al terzo, le cui condizioni patrimoniali siano peggiorate dopo la stipulazione del contratto di garanzia, assolvendo alla finalità di consentire al fideiussore di sottrarsi, negando l’autorizzazione, all’adempimento di un’obbligazione divenuta, senza sua colpa, più gravosa, non risulta applicabile allorché nella stessa persona coesistano le qualità di fideiussore e di amministratore della società debitrice principale, poiché, in tale ipotesi, la richiesta di credito da parte della persona obbligatasi a garantirlo comporta di per sé la preventiva autorizzazione del fideiussore alla concessione del credito (ex multis, Cass. n. 31227/2019, Cass. n. 7444/2017 e Cass. n. 3761/2006).

Inoltre, qualora il fideiussore sia anche socio della società debitrice principale, da una parte si deve presumere – salvo circostanze particolari da dedurre – che egli sia già pienamente informato delle peggiorate condizioni economiche della società, e dall’altra parte, si deve ritenere che la sua qualità di socio gli consenta di attivarsi per impedire che continui la negativa gestione (mediante la revoca dell’amministratore) o per non aggravare ulteriormente i rischi assunti (mediante l’anticipata revoca della fideiussione); pertanto, anche in questa circostanza, non è consentito eccepire la liberazione ex art. 1956 c.c. (così, Cass. n. 2902/2016 e Cass. n. 11979/2013).

Al fine di poter efficacemente opporre al terzo contraente le limitazioni dei poteri di rappresentanza dei propri organi sociali, la società deve dimostrare, ai sensi dell’art. 2384, c. 2, c.c., non già la mera conoscenza o conoscibilità dell’esistenza di tali limitazioni da parte del terzo, ma altresì la sussistenza di un accordo fraudolento o, quanto meno, la consapevolezza di una stipulazione potenzialmente generatrice di un danno per la società (ex multis, Cass. n. 7293/2009).

Principi espressi in sede, inter alia, di accertamento della nullità parziale di un contratto di fideiussione omnibus contenente clausole riproduttive degli artt. 2, 6 e 8 dello schema ABI.

(Massime a cura di Giorgio Peli)