Sentenza del 2 marzo 2022 – Presidente: dott. Donato Pianta – Giudice relatore: dott.ssa Maria Tulumello

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Il requisito della forma scritta del contratto relativo ai servizi di finanziamento, disposto dall’art 23 d.lgs. 58/98, è rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente; è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (conf. Cass. n 898/2018). La mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta prevista dall’art. 117, terzo comma, d.lgs. 385/1993, trattandosi di un requisito che va inteso non in senso strutturale, ma funzionale. Ne consegue che è sufficiente che il contratto sia redatto per iscritto, ne sia consegnata una copia al cliente e vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, potendo il consenso della banca desumersi alla stregua di comportamenti concludenti (conf. Cass. n. 16070/2018; Cass. n. 14646/2018).

Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia di anatocismo bancario è dovuto alla scarsa chiarezza del testo normativo introdotto dalla L. 147/2013 e alla superfluità dell’intervento della delibera CICR, finalizzata a rendere operativo il disposto della normativa primaria. Quest’ultima, infatti, richiamava un intervento del CICR, che si poneva come imprescindibile anche da un punto di vista pratico dal momento che, anche partendo dal presupposto secondo cui gli interessi, una volta maturati e passati a capitale, avrebbero comunque dovuto essere contabilizzati separatamente rispetto al capitale per evitare la produzione di ulteriori interessi su di essi, la relativa applicazione ai diversi contratti bancari (con particolare riferimento al contratto di apertura di credito) non appariva così immediata, esponendosi ad una serie di possibili soluzioni diverse tra loro, con rischio di disparità di trattamento tra i correntisti. Quanto sopra costituisce la ragione della tecnica normativa utilizzata dal legislatore nel settore bancario, che vede la norma primaria stabilire principi e divieti e la normativa secondaria regolare i tempi e le modalità concrete di attuazione, anche al fine di evitare situazioni di deregulation, ossia di arbitraria o diversificata disciplina nell’ambito del settore bancario; la delega rilasciata dalla normativa primaria a quella secondaria è proprio finalizzata a rendere omogenea e armonica la disciplina per tutti gli utenti bancari e per tutti gli istituti bancari e finanziari. 

In materia di pattuizioni delle commissioni di massimo scoperto, la mera indicazione di una percentuale rende tale voce di costo del tutto priva di qualsivoglia criterio di determinazione circa il contenuto e le modalità di applicazione e quantificazione, che possano permettere al correntista l’esatta comprensione delle sue modalità di applicazione non solo ex ante ma anche ex post, dato che non vi è alcun parametro certo e definitivo cui ricollegare il calcolo. 

I principi sono stati espressi nel giudizio di appello promosso da una s.n.c. contro la sentenza di primo grado che respingeva la domanda attorea, con la quale la s.n.c. chiedeva: i) la nullità del contratto di conto corrente per difetto del requisito della forma scritta prevista ad substantiam; ii) di dichiararsi illegittimi e non dovuti gli addebiti per interessi anatocistici e usurari, per commissioni di massimo scoperto e spese; iii) di determinare il corretto dare-avere tra le parti; iv) di condannare la banca alla restituzione delle somme illegittimamente addebitate o riscosse, non quantificate nel loro ammontare.

In particolare, l’appellante chiedeva la declaratoria di nullità del contratto di conto corrente e l’accertamento dell’esatto saldo, condannando la controparte alla rettifica e al pagamento delle somme indebitamente trattenute o non addebitate.

(Massima a cura di Simona Becchetti)