Sentenza del 16 luglio 2021 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

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L’art. 2393-bis c.c., attribuendo alla minoranza qualificata dei soci di s.p.a. la legittimazione all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità, prevede al contempo (al 3° comma) la necessaria partecipazione della società al giudizio promosso dai soci, nel quale la società (destinataria degli effetti dell’eventuale provvedimento favorevole), assumendo la veste di attore in senso sostanziale, deve essere rappresentata da un curatore speciale, non potendo la stessa essere rappresentata dal medesimo soggetto convenuto quale (preteso) responsabile (conf. Cass. n. 10936/2016).

La responsabilità verso la società degli amministratori di una società per azioni, prevista e disciplinata dagli artt. 2392 e 2393 c.c., trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri imposti ai predetti dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto generale obbligo di intervento preventivo e successivo, mentre il danno risarcibile deve essere causalmente riconducibile, in via immediata e diretta, alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente, sotto il duplice profilo del danno emergente e del lucro cessante (Cass. n. 10488/1998).

Con riferimento alla insindacabilità delle scelte gestorie degli amministratori sotto il profilo della mera opportunità economica, occorre segnalare che all’amministratore di una società non può essere imputato, a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c., di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, dal momento che una simile valutazione, attenendo alla discrezionalità imprenditoriale, non può essere fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società, ma può eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore. Ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione (o le modalità e circostanze di tali scelte), ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità (conf. Cass. n. 3652/1997, Cass. n. 15470/2017).

Con particolare riferimento alla necessità di allegare il compimento di specifici atti di mala gestio e le specifiche conseguenze lesive, legate a tali condotte da un nesso di causalità giuridicamente rilevante, il corretto esercizio dell’azione sociale di responsabilità nei confronti degli amministratori, pretesi responsabili, esige la chiara allegazione: a) della(e) condotta(e) contraria(e) ai doveri imposti dalla legge o dallo statuto; b) del danno patito dalla società; c) del nesso causale tra condotta(e) e danno (conf. Cass. n. 23180/2006).

Principi espressi nel procedimento promosso ai sensi dell’art. 2393-bis c.c. da due soci di minoranza di una s.p.a. che lamentavano d’avere, in tale veste, inutilmente tentato di contrastare le scelte gestorie degli amministratori, asseritamente spesso viziate da situazioni di palese conflitto di interesse e che avevano condotto la società, un tempo florida, ad un irreversibile stato di crisi, affrontato dagli amministratori in modo palesemente inadeguato. In particolare, gli amministratori avrebbero dapprima fatto ricorso ad un piano di risanamento attestato ex art. 67, 3° comma, lettera d), l.f., non andato a buon fine; successivamente tentato, sempre con esito negativo, il perfezionamento di un accordo di ristrutturazione del debito ex art. 182-bis l.f.; e, infine, presentato una proposta di concordato con “continuità indiretta”, il quale, nonostante l’esito sostanzialmente positivo, avrebbe comportato il definitivo trasferimento dell’azienda ad un imprenditore terzo ed il completo azzeramento del patrimonio sociale, destinato alla soddisfazione parziale del creditori. Il tribunale, in conformità all’indirizzo della Suprema Corte ha rigettato le domande sottolineando che gli attori si erano limitati ad allegare genericamente il compimento di atti di mala gestio senza però fornire un’adeguata esposizione del nesso causale fra alcune delle condotte addebitate agli amministratori ed il danno patito dalla società.

Il Tribunale ha avuto modo di confermare la insindacabilità nel merito delle scelte gestorie degli amministratori, sottolineando in particolare che le iniziative adottate per contrastare lo stato di crisi in cui versava la società erano esenti da censure, avendo gli amministratori fatto ricorso a professionisti qualificati e a strumenti leciti, contemplati dall’ordinamento, che non presentavano elementi di abusività e che avevano consentito di mantenere il presupposto della continuità aziendale, che sarebbe stata altrimenti irrimediabilmente compromessa.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)