Sentenza del 31 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Angelica Castellani

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Ai fini della configurabilità della fattispecie dello storno di dipendenti e/o collaboratori, non è sufficiente che l’imprenditore ponga in essere un’attività idonea a crearsi un vantaggio competitivo a danno di un concorrente, essendo altresì indispensabile che tale vantaggio sia perseguito mediante una strategia sorretta da un vero e proprio “animus nocendi”, ossia diretta a svuotare l’organizzazione concorrente delle sue specifiche possibilità operative mediante sottrazione del “modus operandi” dei dipendenti, nonché delle conoscenze burocratiche e di mercato da essi acquisite. Ragion per cui la concorrenza illecita non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori da un’impresa ad un’altra concorrente, né dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente per assicurarsi le relative prestazioni, in quanto siffatte circostanze rappresentano un’attività legittima ed espressione dei principi della libera circolazione del lavoro e della libertà di iniziativa economica.

Rappresentano segreto commerciale e quindi suscettibile di tutela ai sensi del primo comma dell’art. 98 c.p.i., tutte le informazioni che sono caratterizzate, nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi, dal non essere generalmente note o facilmente accessibili agli esperti e agli operatori del settore, dall’avere un valore commerciale e dall’essere sottoposte a misure ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete. In particolare, sono idonee a costituire segreto commerciale tutte quelle informazioni che sono riconducibili a tecniche relative a procedimenti e prodotti, brevettabili o meno (ad es. manuali d’uso, schemi, disegni tecnici, informazioni relative alle modalità di attuazione di un processo industriale, formule chimiche segrete, disegni esecutivi di impianti e procedimenti), le informazioni relative a dati utili allo svolgimento delle funzioni commerciali (ad es. quali gli elenchi contenenti i nominativi di clienti e fornitori e le condizioni economiche praticate agli stessi in quanto non destinate a essere pubblicizzate all’esterno dell’azienda), le informazioni amministrative (ad es. la documentazione relativa alla certificazione di qualità UNI, EN, ISO 9001) e le procedure attinenti all’amministrazione interna dell’impresa.

Ai sensi dell’art. 98 c.p.i, la segretezza deve essere valutata unitamente al requisito del valore economico delle informazioni sottratte in quanto, proprio grazie alla segretezza delle stesse, l’impresa che le detiene, viene a trovarsi in una posizione privilegiata rispetto alle imprese concorrenti che non le possiedono, potendo sfruttare tale vantaggio in termini economici, al fine di mantenere o aumentare la propria quota di mercato.

La fattispecie dello sviamento della clientela, presupponendo un comportamento rilevante ai sensi dell’art. 2598, comma 1, n. 3 c.c., non richiede l’episodico venire in contatto dell’ex dipendente con clienti già seguiti presso la precedente impresa, ma un’acquisizione sistematica e massiccia di tali clienti quale terreno di attività elettiva svolta presso il nuovo imprenditore, praticabile proprio e solo in virtù delle conoscenze riservate precedentemente acquisite.

Integra la fattispecie di concorrenza di sleale, l’attività dell’imprenditore che si avvale della collaborazione di soggetti che hanno violato l’obbligo di fedeltà nei confronti del loro datore di lavoro, quando il terzo si appropria, per il tramite del dipendente, di notizie riservate nella disponibilità esclusiva del predetto datore di lavoro, ovvero che il terzo istighi o presti intenzionalmente un contributo causale alla violazione dell’obbligo di fedeltà cui il dipendente stesso è tenuto. Detto obbligo non vincola il terzo e non ne limita la libertà sul piano economico, per la stessa ragione per cui il patto di esclusiva non vincola l’imprenditore concorrente – terzo rispetto ad esso – che operi nella zona di altrui pertinenza senza avvalersi di mezzi non conformi alla correttezza professionale idonei a danneggiare l’altrui azienda.

Principi espressi nel procedimento promosso da un istituto di credito nei confronti dell’istituto concorrente, al fine di ottenere tutela inibitoria ed il risarcimento dei pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali asseritamente patiti in conseguenza del compimento di atti di concorrenza sleale.

Nel dettaglio, l’attore lamentava un massiccio storno di dipendenti (private bankers/consulenti finanziari), i quali, avviato un rapporto di lavoro con il nuovo istituto di credito, avrebbero intrapreso un’intensa attività di sviamento della clientela seguita presso il precedente istituto utilizzando informazioni riservate che avrebbe portato numerosi clienti a liquidare e/o trasferire i propri investimenti. Il Tribunale escludendo la sussistenza della fattispecie della concorrenza sleale, ha affermato che detto illecito deve essere connotato dalla volontà dell’imprenditore concorrente di danneggiare l’impresa altrui in misura eccedente al normale pregiudizio che ogni imprenditore può avere dalle perdite di dipendenti che scelgono di lavorare presso altri, perché diretto a privare intenzionalmente il concorrente di elementi indispensabili al buon andamento dell’impresa. I giudici inoltre hanno escluso la ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 98 c.p.i. nel caso di specie in quanto l’acquisizione della “lista clienti” non era avvenuta mediante lo sfruttamento di un complesso di dati sensibili o riservati posseduti in via anticipata e organizzata unicamente in virtù del precedente rapporto di lavoro, ma era collocabile nella categoria di cognizioni che fanno parte del patrimonio professionale e personale del lavoratore, il quale può legittimamente dar seguito a singoli rapporti di conoscenza diretta con la clientela già assistita.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)