Sentenza del 9 luglio 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Davide Scaffidi

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Il soggetto, che anche al di fuori dell’orario lavorativo, apporti modifiche di qualsivoglia genere al codice sorgente di un programma per elaboratore, non può reclamare la paternità del medesimo, potendo al più ritenersi coautore o autore delle modifiche apportate con le successive versioni, sì che la paternità dell’opera spetta in ogni caso al datore di lavoro.

La contraffazione del software può integrare altresì un atto di concorrenza sleale per violazione dei principi della correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c. allorquando l’imprenditore che si appropri ingiustificatamente del contenuto di un omologo programma altrui realizza una forma di concorrenza sleale parassitaria, avvantaggiandosi indebitamente dei risultati dell’impresa concorrente senza aver sostenuto corrispondenti oneri economici e gestionali, connessi a investimenti, organizzazione del lavoro e ricerca che sono normalmente sottesi all’elaborazione di qualsiasi software.

I programmi per elaboratore sono stati qualificati dal legislatore alla stregua delle opere letterali, come tali soggetti alla disciplina in materia di diritto d’autore, e non di proprietà intellettuale. Pertanto, non può accordarsi la tutela offerta dall’art. 98 c.p.i.

Decisione resa con riferimento al software, sviluppato da un dipendente in prossimità della cessazione del suo rapporto di lavoro con una società, commercializzato poi da altra società della quale tale ex dipendente diveniva collaboratore, prima e amministratore, poi; software asseritamente plagio di altro analogo già sviluppato e commercializzato dalla prima società.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)