Tribunale di Brescia, sentenza del 3 ottobre 2023, n. 2466 – s.r.l., amministratore società, determinazione del compenso, responsabilità amministratore, mala gestio, condotte distrattive, inadempimento dell’amministratore e perdita del diritto al compenso

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Il verbale di assemblea ordinaria di una società di capitali (che nel caso di specie ha determinato il compenso dell’amministratore) non rogato da notaio ha comunque efficacia probatoria poiché documenta quanto avvenuto in sede di assemblea (data in cui si è tenuta, identità dei partecipanti, capitale da ciascuno rappresentato, modalità e risultato delle votazioni, eventuali dichiarazioni dei soci) in funzione del controllo delle attività svolte anche da parte dei soci assenti e dissenzienti; non trattandosi però di atto dotato di fede privilegiata, i soci possono far valere eventuali sue difformità rispetto alla realtà effettuale con qualsiasi mezzo di prova; tuttavia, se i soci non assolvano a detto onere probatorio su di essi incombente, non possono mettere in discussione quanto documentato dal verbale (cfr. Cass. n. 33233/2019).

Qualora si contesti la veridicità di fatti e dichiarazioni che nel verbale di delibera assembleare ordinaria (non rogato da notaio) si attestino avvenuti, non deve essere proposta querela di falso, non trattandosi di atto dotato di fede privilegiata e potendo il documento essere contestato con libertà di mezzi.

La delibera di revoca di una precedente deliberazione, da un lato, implica e postula l’esistenza e l’efficacia dell’atto revocato, d’altro lato, che tale provvedimento non può spiegare effetti che per il futuro.

La delibera assembleare di riduzione del compenso annuo di un liquidatore di società di capitali, in assenza di accettazione da parte del liquidatore stesso, non può operare retroattivamente con riferimento a periodi antecedenti la data della decisione dei soci, non potendo incidere negativamente su diritti già acquisiti medio tempore dal liquidatore (cfr. Trib. Roma 16 aprile 2021).

Avendo la responsabilità dell’amministratore verso la società natura contrattuale, a fronte di somme o beni fuoriusciti dall’attivo della società (siano essi utili, compensi erogati, strumenti di lavoro, beni aziendali in genere), quest’ultima, nell’agire per il risarcimento del danno, può limitarsi ad allegare l’inadempimento, consistente nella distrazione di dette risorse, mentre compete all’amministratore la prova del corretto adempimento e dunque della destinazione del patrimonio all’estinzione di debiti sociali oppure allo svolgimento dell’attività sociale (cfr. Cass. n. 12567/2021).

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che su tali importi vengano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto e decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione essendo calcolati sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata (cfr. Cass. n. 4791/2007).

In tema di compenso spettante all’amministratore di società a responsabilità limitata, la società può far valere quale eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l’inadempimento o l’inesatto adempimento degli obblighi assunti dall’amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilità ex art. 2476, comma 1, c.c., venendo in rilievo non il rapporto di immedesimazione organica, bensì il nesso sinallagmatico di tipo contrattuale tra adempimento dei doveri e diritto al compenso (cfr. Cass. n. 29252/2021 e Cass. n. 40880/2021).

Nei contratti a prestazioni corrispettive, l’eccezione “inadimplenti non est adimplendum” è soggetta al principio di buona fede e correttezza sancito dall’art. 1375 c.c., in senso oggettivo, che impone di verificare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte, l’eccezione in parola può, in concreto, essere ritenuta idonea a paralizzare il diritto al compenso dell’amministratore solo ove fondatamente basata su fatti collegati al periodo di carica (cfr. App. Milano n. 25.5.2021 e Trib. Milano 23.9.2020).

I princìpi sono stati espressi nel parziale accoglimento di una domanda promossa nei confronti dell’amministratore unico a seguito di numerosi atti di mala gestio, volta ad ottenerne la condanna al risarcimento dei danni cagionati alla società.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)