Tribunale di Brescia, sentenza del 6 settembre 2023, n. 2229 – compravendita di diamanti con finalità di “investimento”, intermediazione di una banca, affidamento, responsabilità da contatto sociale, responsabilità contrattuale, pratica commerciale scorretta, risarcimento del danno, debito di valore

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Il contatto sociale qualificato è fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi art. 1174 c.c., bensì obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c.; esso opera anche nella materia contrattuale, prescrivendo un autonomo obbligo di condotta che si aggiunge e concorre con l’adempimento dell’obbligazione principale, in quanto diretto alla protezione di interessi ulteriori della parte contraente, estranei all’oggetto della prestazione contrattuale, ma comunque coinvolti dalla realizzazione del risultato negoziale programmato (cfr. Cass. n. 24071/2017).  

Il contatto sociale qualificato rientra tra gli atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico a norma dell’art. 1173 c.c. e in virtù del principio di atipicità delle fonti delle obbligazioni ivi consacrato, anche la violazione di obbligazioni specifiche che trovano la loro fonte non in un contratto ma – ex lege – nel contatto sociale qualificato, determina una responsabilità di tipo contrattuale.

La teoria del contatto sociale qualificato viene in rilievo ogni qualvolta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto, pur in assenza d’un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, in quanto la natura qualificata dell’attività professionale svolta dal primo, sottoposta a specifici requisiti formali e abilitativi, fonda nel secondo il legittimo affidamento circa il rispetto delle regole di condotta che informano la suddetta attività, comportando l’assunzione in capo all’operatore di uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’utente subisca nell’ambito di tale rapporto un danno (cfr. Cass. S.U. n. 12477/2018).

Pur compiendo un’attività giuridica in senso stretto – e non formalmente negoziale – l’operatore qualificato è tenuto all’obbligo di comportarsi in buona fede, in virtù della clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. (circa l’estensione della regola della buona fede in senso oggettivo a tutte le fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., ivi compreso l’atto giuridico non negoziale, cfr. Cass. n. 5140/2005), estrinsecantesi, in specie, nell’obbligo di una corretta informazione, tra cui la comunicazione di tutte le circostanze a lui note o conoscibili sulla base della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2, c.c..

In tema di contatto sociale qualificato vige il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sul convenuto incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa a sé non imputabile.

Ruolo e obblighi degli istituti di credito nella commercializzazione dei diamanti sono stati riconosciuti anche dalla Banca d’Italia che, in data 14 marzo 2018, ha emesso un comunicato con cui ha raccomandato che a fronte di tale attività, «le banche, oltre a considerare le caratteristiche finanziarie dei clienti cui è rivolta la proposta di acquisto, devono assicurare adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi e predisporre procedure volte a garantire la massima trasparenza informativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali le commissioni applicate, l’effettivo valore commerciale e la possibilità di rivendita delle pietre stesse». Tale raccomandazione indica regole di condotta che sono espressione di principi generali (ricavabili, come visto, dagli artt. 1173, 1175 e 1375 c.c.) applicabili anche ai contratto di acquisto di diamanti sottoscritti prima della data di adozione di tale comunicazione.

Il rapporto fiduciario esistente tra cliente e referente bancario nonché il generale credito riposto nella serietà e credibilità della banca sono elementi che possono risultare determinanti nella decisione finale di acquisto dei diamanti, avendo – del tutto verosimilmente – generato un legittimo affidamento circa la correttezza delle informazioni fornite: il coinvolgimento e la conseguente responsabilità della banca per i danni che da tale acquisto siano derivati non appaiono, pertanto, seriamente dubitabili. Invero, la banca intermediaria ha permesso di fatto la realizzazione della pratica commerciale scorretta (ossia la vendita di diamanti grezzi ad un prezzo doppio rispetto al loro valore reale, prospettando irrealistiche quotazioni di mercato che, in realtà, non erano altro che pubblicità a pagamento della stessa controparte venditrice dei diamanti, pubblicate su giornali nazionali), mettendo a disposizione la propria sede, promuovendo l’offerta ai consumatori e provvedendo a tutti i successivi adempimenti finalizzati all’acquisto.

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che su tale somma vadano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto: secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. S.U. n. 1712/1995), tali interessi decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata (Cass. n. 4791/2007).

I principi sono stati espressi nell’accoglimento di una domanda di risarcimento proposta da un cliente nei confronti della propria banca a seguito dell’acquisto di diamanti (descritti come “bene rifugio” e l’investimento come “redditizio e sicuro”, della “durata di sette anni, con facile possibilità di rivendere i preziosi alla scadenza” e con “rendimento nell’ordine del 6-7% lordi”) da una nota società, poi fallita. In tal particolare il Tribunale ha affermato che detta fattispecie configuri un’ipotesi di responsabilità della banca intermediaria da contatto sociale qualificato. Infatti in quanto l’attività bancaria si caratterizza per la peculiare professionalità dei soggetti che vi operano, che si riflette necessariamente su tutte le attività svolte nell’esercizio dell’impresa bancaria e, quindi, sui rapporti che in quelle attività sono radicati, per la cui corretta attuazione gli operatori bancari dispongono di strumenti e di competenze che normalmente gli altri soggetti non hanno. Da ciò discende, per un verso, l’affidamento di tutti gli interessati nel puntuale espletamento dei compiti inerenti al servizio bancario, per altro verso, la specifica responsabilità in cui il banchiere incorre nei confronti di coloro che con lui entrano in contatto per avvalersi di quel servizio, ove, viceversa, non osservi le regole prescritte dalla legge.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)