Tribunale di Brescia, sentenza del 29 marzo 2022, n. 756 – s.r.l., diritto di recesso, clausola di gradimento, clausola di prelazione impropria, limiti al trasferimento mortis causa

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Qualora lo statuto di una s.r.l. contenga una clausola di gradimento non mero – tale da intendersi anche quella che subordina il trasferimento (inter vivos) di partecipazioni al preventivo gradimento dell’acquirente da parte del consiglio di amministrazione e di tutti gli altri soci, prevedendo però un chiaro limite soggettivo – il diritto di recesso non è riconosciuto per il solo fatto dell’esistenza di siffatta clausola, poiché ciò finirebbe per introdurre surrettiziamente una vera e propria facoltà di recesso ad nutum, in difetto di una chiara previsione statutaria in tal senso. Al contrario, alla luce di quanto disposto dall’art. 2469 c.c., in tale ipotesi il diritto di exit è accordato al socio solo in conseguenza del diniego ricevuto al fine di consentirgli di non rimanere prigioniero della società (cfr. Corte d’Appello Venezia n. 2158/2021).

Analoghe considerazioni debbono essere svolte con riguardo alle clausole di prelazione “a prezzo amministrato” che impongono al socio, qualora questi voglia cedere la propria partecipazione, di offrirla preventivamente e a parità di condizioni agli altri soci, cui viene altresì riconosciuto il diritto di sottoporre la determinazione del prezzo da corrispondere all’offerente a un arbitratore, nonché alle clausole di gradimento nei trasferimenti mortis causa, quando le medesime prevedono che – eccezion fatta per il trasferimento al successore o ai successori in linea retta del socio defunto – la partecipazione possa essere ceduta solo a soggetti graditi all’organo amministrativo della società. In entrambi i casi, non vi è diritto di recesso per la mera esistenza di un limite alla circolazione della partecipazione, qualora esso risulti in concreto inidoneo, in forza della sua effettiva applicazione, a determinare la definitiva compressione del diritto al trasferimento della partecipazione.

I princìpi sono stati espressi nell’ambito di un giudizio volto a dirimere una controversia sorta tra un socio di minoranza e una società a responsabilità limitata relativamente alla sussistenza del diritto di recesso dalla società in capo al primo. Nel caso di specie, infatti, la parte attrice aveva esercitato dapprima recesso parziale e poi, senza rinuncia esplicita al primo recesso, recesso per l’intera partecipazione. La società resistente adduceva, inter alia, l’insussistenza del diritto di recesso: i) nel difetto di una clausola statutaria “di mero gradimento”; ii) in ragione della clausola statutaria di prelazione impropria o “a prezzo amministrato”; iii) per la sola presenza di una clausola statutaria limitativa delle ipotesi di trasferimento mortis causa. Il Collegio ha statuito che non spettava alla parte attrice diritto di recesso, non avendo, tra l’altro, la medesima mai manifestato la propria intenzione di alienare a terzi (in tutto o in parte) la propria quota. Sono risultate perciò assorbite le ulteriori questioni relative alla ammissibilità di un recesso parziale, condizionato o esercitato dal solo nudo proprietario.

(Massime a cura di Chiara Alessio)