Sentenza del 3 gennaio 2022 – Giudice designato: dott. Lorenzo Lentini

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In tema di nullità della clausola penale per violazione dell’art. 1526 c.c., è consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la disciplina pattizia delle conseguenze della risoluzione non contrasta con i limiti imposti dall’art. 1526, secondo comma, c.c., nella misura in cui riconosce all’utilizzatrice la deduzione dal credito complessivo del valore residuo del bene (conf. Trib. Brescia, 4 maggio 2021) Si ritiene, infatti, che la clausola penale contenuta nelle condizioni generali del contratto di leasing immobiliare sia pienamente legittima e compatibile con l’art. 1526 c.c., ove si consideri che la norma preveda per il venditore l’obbligo di restituzione delle rate riscosse e il diritto al pagamento di equo compenso per l’uso della cosa (in aggiunta logicamente alla restituzione del bene di proprietà), statuisca, inoltre, che i contraenti possano convenire che le rate pagate restino acquisite al venditore a titolo d’indennità e altresì che la stessa norma faccia salvo il diritto del venditore al risarcimento del danno. Va da sé che anche la quantificazione del danno, come l’indennità, ben possa essere preventivamente determinata dalle parti con clausola penale, e che tale indubbiamente deve qualificarsi la previsione contrattuale del diritto del concedente di pretendere, a titolo di danno, l’importo corrispondente all’attualizzazione delle rate a scadere e del prezzo di riscatto dedotto il ricavato della vendita del bene immobile recuperato.

Oggetto della clausola penale tipicamente è una somma di denaro e, ai fini della sua determinabilità, è sufficiente che le parti ne pattuiscano i criteri di calcolo. Peraltro, con riferimento a tempi, modalità e condizioni di vendita e a tempi e modalità con cui il corrispettivo dovrebbe essere riversato in favore dell’utilizzatore (elementi non essenziali del patto) occorre rilevare come il bene possa essere immesso sul mercato soltanto dopo la restituzione e il corrispettivo ricavato dalla vendita vada imputato a deconto del credito risarcitorio della concedente e, quindi, non possa essere fatto valere prima del nel momento in cui la stessa concedente agisca ai fini del risarcimento del danno da inadempimento.

Sotto il profilo della contestazione di incertezza del credito, discutendosi di finanziamenti con piano di restituzione predefinito, valgono le ordinarie regole in punto di riparto dell’onere della prova nelle azioni di responsabilità contrattuale. Quindi, la concedente è tenuta a provare il titolo (mediante la produzione dei contratti) e ad allegare l’inadempimento, mentre ricade sul debitore l’onere di provare la corretta esecuzione delle prestazioni a proprio carico, principalmente il pagamento puntuale e tempestivo dei canoni. 

In mancanza della fase del cosiddetto “accertamento del passivo”, il provvedimento di omologazione del concordato preventivo, per le particolari caratteristiche della procedura che a essa conduce, determina un vincolo definitivo sulla riduzione quantitativa dei crediti, ma non comporta la formazione di un giudicato sull’esistenza, entità e rango (privilegiato o chirografario) di questi ultimi, né sugli altri diritti implicati nella procedura stessa, presupponendone un accertamento non giurisdizionale, ma meramente amministrativo, di carattere delibativo e finalizzato al solo scopo di consentire il calcolo delle maggioranze richieste ai fini dell’approvazione della proposta, sicché non esclude la possibilità di far accertare in via ordinaria, nei confronti dell’impresa in concordato, il proprio credito e il privilegio che lo assiste (conf. Cass. n. 33345/2018).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione promosso dal fideiussore di una s.r.l. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto da una banca a titolo di risarcimento del danno patito a seguito della risoluzione anticipata dei contratti di locazione finanziaria per il mancato pagamento dei canoni, in virtù di quanto previsto dalla clausola risolutiva espressa delle condizioni generali dei medesimi contratti.

In particolare, l’opponente eccepiva: i) la nullità della clausola prevista nelle condizioni generali dei contratti di leasing(“risoluzione del contratto” e relativa penale) per mancata specifica approvazione ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c.; ii) la nullità della medesima clausola per violazione dell’art. 1526 c.c., trattandosi di leasing traslativo; iii) la nullità della medesima clausola per violazione dell’art. 1383 c.c. nonché degli artt. 1418 e 1346 c.c., stante l’indeterminatezza/indeterminabilità dell’oggetto della clausola; iv) la nullità degli articoli previsti nelle condizioni generali dei contratti per indeterminatezza/indeterminabilità dell’oggetto; v) la carenza dei requisiti per l’emissione del provvedimento ingiuntivo, alla luce dell’illiquidità e dell’incertezza del credito oggetto di causa.

(Massima a cura di Simona Becchetti)