Sentenza del 13 luglio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Angelica Castellani

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Integra violazione dell’art. 2467 c.c. – norma inderogabile, in quanto posta a tutela dei creditori sociali e diretta a contrastare fenomeni di sottocapitalizzazione propri delle società a ristretta base sociale, determinati dalla volontà dei soci di ridurre l’esposizione al rischio d’impresa – il rimborso a favore del socio di una s.r.l. del finanziamento da questo erogato alla società, rimborso effettuato mediante compensazione con i crediti di pari importo vantati dalla società nei confronti del socio, qualora il finanziamento sia stato concesso in presenza delle condizioni di cui al secondo comma della disposizione in questione.

In tal caso il socio trae indebitamente vantaggio dal meccanismo della compensazione per vedersi rimborsato un credito che avrebbe potuto essere estinto solo a seguito della soddisfazione integrale degli altri creditori. La sussistenza, al momento della concessione del finanziamento e della richiesta di rimborso, di uno dei presupposti indicati dall’art. 2467, 2° co., c.c. integra un fatto impeditivo del diritto del socio alla restituzione del finanziamento. Tale condizione di inesigibilità legale opera non solo quando si apre un concorso formale con gli altri creditori sociali, ma anche durante la vita della società, finché non sia stata superata la situazione di difficoltà prevista dalla norma, sicché in tal caso la società deve rifiutare al socio il rimborso del finanziamento in presenza di detta situazione, che l’organo amministrativo ha il dovere di riscontrare mediante l’adozione di un adeguato assetto organizzativo, amministrativo e contabile in grado di rilevare la crisi (conf. Cass. n. 12994/2019).

Nell’ambito di un procedimento volto ad accertare e a dichiarare la violazione del disposto di cui all’art 2467 c.c., l’amministratore non può essere liberato da responsabilità sulla base dell’assunto secondo il quale il pagamento preferenziale effettuato mediante compensazione non avrebbe arrecato un danno alla massa dei creditori, in quanto avrebbe realizzato un’operazione neutra per il patrimonio sociale, con diminuzione dell’attivo in misura esattamente pari alla diminuzione del passivo conseguente all’estinzione del debito. Infatti, il pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare una riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella che si determinerebbe nel rispetto del principio della par condicio creditorum, in quanto la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare (conf. Cass., S.U., n. 1641/2017). Perciò il pagamento di un creditore in misura superiore a quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una minore disponibilità patrimoniale cagionata dall’inosservanza degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

In tema di ripartizione dell’onere della prova dell’effettiva lesione subita dal creditore (ovvero della massa) che assume di essere stato pretermesso nel pagamento di debiti sociali a causa della condotta di mala gestio addebitabile all’amministratore, sul creditore grava unicamente l’onere di dedurre il mancato soddisfacimento del credito provato come esistente, liquido ed esigibile alla data della liquidazione o del fallimento e il conseguente danno determinato dalla condotta contraria ai doveri dell’amministratore, astrattamente idonea a provocare la lesione, mentre spetta al debitore dimostrare il proprio corretto adempimento degli obblighi sullo stesso gravanti, e in particolare dell’obbligo di procedere a una corretta e fedele ricognizione dei debiti sociali – costituente la c.d. massa passiva – e di pagare i debiti sociali nel rispetto della par condicio creditorum, secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti all’epoca coesistenti (conf. Cass. n. 521/2020).

Il pagamento preferenziale eseguito dall’amministratore in favore di un creditore della società poi fallita, anche privo del carattere di illiceità penale, è idoneo a cagionare un danno al patrimonio della società di cui il curatore può chiedere il risarcimento.

L’azione di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall cumula le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., a favore rispettivamente, della società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del patrimonio sociale. Pertanto, si determina una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni che rimangono diversi ed indipendenti. La mancata specificazione del titolo nella domanda giudiziale non determina dunque la sua nullità per indeterminatezza, ma fa presumere che il curatore abbia inteso esercitare entrambe le azioni congiuntamente.

Nel caso in cui il curatore abbia promosso nei confronti dell’amministratore della società fallita l’azione di responsabilità di cui all’art. 146 l. fall., che cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., non è ammessa compensazione fra il credito risarcitorio riconosciuto in favore del fallimento nei confronti del predetto amministratore per atti di mala gestio e il credito vantato da quest’ultimo a titolo di compenso, attesa l’insussistenza del requisito della reciprocità, posto che l’amministratore non è titolare nei confronti dei creditori sociali di alcun credito da opporre in compensazione.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento dell’azione di responsabilità promossa ai sensi dell’art. 146 l. fall. dal curatore nei confronti dell’amministratore unico della società fallita, volta ad ottenere il risarcimento dei danni cagionati alla società e ai creditori sociali per effetto di condotte contrarie ai doveri inerenti alla carica ricoperta.

(Massime a cura di Giorgio Peli)