Sentenza del 3 gennaio 2020 – Giudice designato: Dott. Stefano Franchioni

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In tema di revocatoria fallimentare la cessione del credito (nella specie, per rimborso IVA) in funzione solutoria – quando non sia prevista al momento del sorgere dell’obbligazione ovvero non sia attuata nell’ambito della disciplina della cessione dei crediti di impresa di cui alla l. 21 febbraio 1991, n. 52 – integra sempre gli estremi di un mezzo anormale di pagamento, indipendentemente dalla certezza di esazione del credito ceduto (Cass. Civ. n. 25284/2013). Qualora la cessione del credito non sia stata prevista ab origine come modalità di pagamento, si tratta di una cessione in funzione solutoria capace di rilevare quale mezzo anomalo di estinzione di un debito scaduto ed esigibile.

Nelle fattispecie revocatorie di cui all’art. 67, comma 1, l. fall. sussiste una presunzione iuris tantum della conoscenza dello stato di insolvenza del debitore da parte dell’accipiens convenuto, per cui spetta a quest’ultimo provare la non conoscenza dello stato d’insolvenza (c.d. inscientia decotionis) attraverso la positiva dimostrazione che, nel momento in cui è stato posto in essere l’atto revocabile, sussistessero circostanze tali da fare ritenere ad una persona di ordinaria prudenza ed avvedutezza che l’imprenditore si trovava in una situazione di normale esercizio dell’impresa (Cass. Civ. n. 23424/2016; Cass. Civ. n. 17998/2009).

Principi espressi in un giudizio di revocatoria fallimentare promosso nei confronti di un professionista che si era reso cessionario pro soluto di un credito IVA vantato dalla società (all’epoca) in bonis, a titolo di parziale pagamento dei propri compensi per attività di “assistenza alla ristrutturazione e riorganizzazione aziendale”. Qualificata la cessione del credito quale mezzo non normale di pagamento, si è ritenuto che la parte convenuta non aveva provato l’inscientia decoctionis in quanto si era limitata ad allegare l’assenza di protesti cambiari e di procedure esecutive mobiliari e/o immobiliari a carico della società poi fallita. A riprova della conoscenza dello stato di insolvenza, si è invece valorizzato il fatto che proprio al professionista era stato conferito mandato per l’attuazione di un progetto di risanamento aziendale e che da un’istanza di fallimento, promossa nei confronti della società e nota al professionista convenuto, risultava l’intervenuta notifica di un decreto ingiuntivo nonché una rilevante esposizione debitoria nei confronti di un ente di credito.

(Massime a cura di Filippo Casini)