Sentenza del 24 settembre 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Alessia Busato

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Nel giudizio proposto dalla curatela fallimentare per la condanna al pagamento di un debito di un terzo nei confronti del fallito, l’eccepibilità in compensazione di un credito dello stesso terzo verso il fallito non è condizionata alla preventiva verificazione di tale credito, purché sia stata fatta valere come eccezione riconvenzionale; solo l’eventuale eccedenza del credito del terzo verso il fallito non può essere oggetto di sentenza di condanna nei confronti del fallimento, ma deve essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo (Cass. n. 287/2009; Cass. n. 15552/2011; Cass. n. 64/2012; Cass. n. 14418/2013; Cass. n. 30298/2017).

La qualità di lavoratore subordinato non è compatibile con quella di amministratore unico di società di capitali datrice di lavoro (e, deve ritenersi, di liquidatore unico legale rappresentante) non essendo configurabile il vincolo di subordinazione ove manchi la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dalla immedesimazione in un unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di unico organo competente ad esprimerla (conf. Cass. 5352/1998, Cass. n. 1726/1999; Cass. n. 909/2005).

Il pagamento del liquidatore eseguito in favore di un terzo per prestazioni professionali in assenza di incarico scritto, in assenza di accordo sul compenso ed in assenza di rilievo della prestazione professionale eseguita (dal terzo), costituisce comportamento, almeno superficialmente, idoneo a determinare la responsabilità del liquidatore per l’ammanco conseguente il pagamento.

Principi espressi in ipotesi di azione esercitata dalla curatela di una s.p.a. fallita contro il liquidatore unico al fine di ottenere il risarcimento del danno conseguente alla indebita riscossione, diretta o indiretta, di somme nei confronti della società.

 (Massima a cura di Marika Lombardi)