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Sentenza del 21 febbraio 2022, n. 415 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani

L’amministratore di una società di
capitali, con l’accettazione della carica, acquisisce, di regola, il diritto ad
essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico
affidatogli. Tale diritto è, nelle società per azioni, espressamente sancito
dagli artt. 2389 e 2364, n. 3), c.c., mentre per quanto concerne le società a
responsabilità limitata, nonostante l’assenza di analoghe disposizioni
espresse, esso viene pacificamente ricavato dall’applicazione analogica degli artt.
1709 e 2389 c.c.

Secondo i principi del sistema
vigente, quello di amministratore di società è un contratto che la legge
presume oneroso (cfr. la disposizione dell’art. 1709 c.c., dettata con
riferimento allo schema generale dell’agire gestorio e senz’altro applicabile
anche alla materia societaria, come pure posta a presupposto delle previsioni
dell’art. 2389 c.c., specificamente scritte per il tipo società per azioni).
Non v’è, dunque, ragione di ritenere che il diritto a percepire il compenso sia
subordinato ad una richiesta che l’amministratore rivolga alla società
amministrata durante lo svolgimento del relativo incarico.

In tema di determinazione del compenso
degli amministratori di società di capitali, 
qualora difetti una disposizione dell’atto costitutivo e l’assemblea si
rifiuti od ometta di stabilire il compenso spettante all’amministratore, ovvero
lo determini in misura inadeguata, quest’ultimo è legittimato a richiederne al
giudice la determinazione, eventualmente in via equitativa, purché alleghi e
provi la qualità e quantità delle prestazioni concretamente svolte.

Deve ritenersi legittima la
previsione statutaria di gratuità delle funzioni di amministratore, trattandosi
di un diritto disponibile, giacché al rapporto di immedesimazione organica
intercorrente tra la società e l’amministratore non si applica né l’art. 36
Cost. né l’art. 409, comma 1, n. 3) c.p.c.

Una società a responsabilità limitata era stata convenuta
in giudizio da un consigliere del consiglio di amministrazione al fine di
ottenere, da un lato, il pagamento dei compensi
medio tempore maturati per l’intera durata
dell’incarico di amministratore svolto in favore della società; dall’altro
lato, il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per
effetto della revoca dalla carica di amministratore, che era stata deliberata
dalla società in mancanza di giusta causa e senza preavviso.

Nel caso di specie, lo statuto sociale prevedeva come
meramente “eventuale” la remunerazione dell’organo gestorio e, più
precisamente, ne subordinava espressamente l’attribuzione del compenso alla
determinazione dei soci compiuta all’atto della nomina.

Il Tribunale si è pronunciato nel senso di ammettere la
natura gratuita dell’incarico, valorizzando la determinazione delle parti,
peraltro in linea con quanto chiaramente desumibile dallo statuto sociale. I
giudici di secondo grado, inoltre, avevano rilevato la sussistenza di alcuni
elementi che impedivano di riconoscere, in concreto, la natura onerosa
dell’attività prestata dall’amministratore in favore della società, e
segnatamente: (a) il tenore della disposizione statutaria; (b) la mancata
determinazione del compenso all’atto di nomina e (c) l’accettazione senza
riserva dell’incarico da parte dell’attore

(Massime a cura di Eugenio Sabino)




Sentenza del 16 luglio 2021 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

L’art. 2393-bis c.c., attribuendo
alla minoranza qualificata dei soci di s.p.a. la legittimazione all’esercizio
dell’azione sociale di responsabilità, prevede al contempo (al 3° comma) la
necessaria partecipazione della società al giudizio promosso dai soci, nel
quale la società (destinataria degli effetti dell’eventuale provvedimento
favorevole), assumendo la veste di attore in senso sostanziale, deve essere
rappresentata da un curatore speciale, non potendo la stessa essere
rappresentata dal medesimo soggetto convenuto quale (preteso) responsabile (conf.
Cass. n. 10936/2016).

La responsabilità verso la società
degli amministratori di una società per azioni, prevista e disciplinata dagli
artt. 2392 e 2393 c.c., trova la sua fonte nell’inadempimento dei doveri
imposti ai predetti dalla legge o dall’atto costitutivo, ovvero
nell’inadempimento dell’obbligo generale di vigilanza o dell’altrettanto
generale obbligo di intervento preventivo e successivo, mentre il danno
risarcibile deve essere causalmente riconducibile, in via immediata e diretta,
alla condotta (dolosa o colposa) dell’agente, sotto il duplice profilo del danno
emergente e del lucro cessante (Cass. n. 10488/1998).

Con riferimento alla insindacabilità
delle scelte gestorie degli amministratori sotto il profilo della mera
opportunità economica, occorre segnalare che all’amministratore di una società
non può essere imputato, a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c.,
di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, dal momento
che una simile valutazione, attenendo alla discrezionalità imprenditoriale, non
può essere fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società, ma
può eventualmente rilevare come giusta causa di revoca dell’amministratore. Ne
consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento
del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione (o le modalità
e circostanze di tali scelte), ma solo l’omissione di quelle cautele, verifiche
e informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo,
operata in quelle circostanze e con quelle modalità (conf. Cass. n. 3652/1997, Cass.
n. 15470/2017).

Con particolare riferimento alla
necessità di allegare il compimento di specifici atti di mala gestio e le
specifiche conseguenze lesive, legate a tali condotte da un nesso di causalità
giuridicamente rilevante, il corretto esercizio dell’azione sociale di
responsabilità nei confronti degli amministratori, pretesi responsabili, esige
la chiara allegazione: a) della(e) condotta(e) contraria(e) ai doveri imposti
dalla legge o dallo statuto; b) del danno patito dalla società; c) del nesso
causale tra condotta(e) e danno (conf. Cass. n. 23180/2006).

Principi espressi nel procedimento
promosso ai sensi dell’art. 2393-bis c.c. da due soci di minoranza di una
s.p.a. che lamentavano d’avere, in tale veste, inutilmente tentato di
contrastare le scelte gestorie degli amministratori, asseritamente spesso
viziate da situazioni di palese conflitto di interesse e che avevano condotto
la società, un tempo florida, ad un irreversibile stato di crisi, affrontato
dagli amministratori in modo palesemente inadeguato. In particolare, gli
amministratori avrebbero dapprima fatto ricorso ad un piano di risanamento
attestato ex art. 67, 3° comma, lettera d), l.f., non andato a buon fine; successivamente
tentato, sempre con esito negativo, il perfezionamento di un accordo di
ristrutturazione del debito
ex art. 182-bis l.f.; e, infine, presentato una
proposta di concordato con “continuità indiretta”, il quale, nonostante l’esito
sostanzialmente positivo, avrebbe comportato il definitivo trasferimento
dell’azienda ad un imprenditore terzo ed il completo azzeramento del patrimonio
sociale, destinato alla soddisfazione parziale del creditori. Il tribunale, in
conformità all’indirizzo della Suprema Corte ha rigettato le domande
sottolineando che gli attori si erano limitati ad allegare genericamente il
compimento di atti di
mala gestio senza però fornire un’adeguata
esposizione del nesso causale fra alcune delle condotte addebitate agli
amministratori ed il danno patito dalla società.

Il Tribunale ha avuto modo di confermare
la insindacabilità nel merito delle scelte gestorie degli amministratori, sottolineando
in particolare che le iniziative adottate per contrastare lo stato di crisi in
cui versava la società erano esenti da censure, avendo gli amministratori fatto
ricorso a professionisti qualificati e a strumenti leciti, contemplati
dall’ordinamento, che non presentavano elementi di abusività e che avevano
consentito di mantenere il presupposto della continuità aziendale, che sarebbe stata
altrimenti irrimediabilmente compromessa.

(Massime a cura di Francesco Maria
Maffezzoni)




Decreto del 24 gennaio 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

Lo strumento previsto dall’art. 2409 c.c. è apprestato dall’ordinamento per una pronta reazione a gravi irregolarità degli organi sociali purché dotate di attuale potenzialità lesiva e, avendo natura cautelare “lato sensu”, non può essere diretto a censurare fatti decisamente remoti (quali i compensi aggiuntivi ai componenti del c.d.a. in misura eccessiva e la mancata distribuzione di utili a favore dei soci) e radicalmente privi di potenzialità lesiva (quale l’accantonamento degli utili).

La censura, relativa alla mancata distribuzione degli utili, risulta palesemente estranea all’alveo delle irregolarità suscettibili di denuncia ex art. 2409 c.c., essendo tale decisione affidata all’assemblea della società e, pertanto, non costituisce “grave irregolarità” degli amministratori, i quali, al più, proponendo le modalità di impiego degli utili, contribuiscono in tale ruolo alla formazione della volontà assembleare.

L’accantonamento degli utili, volti ad incrementare il patrimonio della società (eventualmente in danno del socio, che si vede privato della relativa distribuzione), difetta palesemente della “potenzialità lesiva” tipica dell’art. 2409 c.c., disponendo il socio del rimedio dell’impugnazione della deliberazione per far valere la sua illegittimità (in sostanza, per abuso di potere). Si tratta di un rimedio impugnatorio specifico e diretto a caducare la deliberazione (asseritamente) viziata, idoneo, dunque, a costituire adeguato strumento di tutela (a differenza del ricorso alla denuncia ex art. 2409 c.c.) della propria pretesa.    

Principi espressi rigettando il ricorso ex art. 2409 c.c. volto ad ottenere la censura di vicende sociali relative a gravi irregolarità nella gestione della società risalenti nel tempo (circa 9 anni prima del deposito del ricorso). È stata infatti ritenuta la inammissibilità del ricorso al rimedio di cui all’art 2409 c.c. per il difetto di tempestiva adozione da parte del ricorrente di specifici mezzi di impugnazione idonei a contestare la validità delle delibere assembleari o ad invocare la responsabilità degli amministratori per pretese condotte illecite.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza dell’11 settembre 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

Il mancato deposito dei bilanci relativi agli esercizi pregressi nonché quello di apertura della liquidazione, non consentendo di ricostruire in alcun modo le cause del depauperamento del patrimonio sociale, costituisce circostanza sufficiente a considerare integrata una condotta illecita del socio unico, amministratore unico e poi liquidatore della società, essendo ignota la sorte delle rilevanti attività risultanti dall’ultimo bilancio approvato.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di un’azione volta nei confronti del socio unico ex amministratore e liquidatore per ottenere il risarcimento del danno patito per la definitiva perdita del credito. In particolare, la società attrice aveva provveduto inizialmente a chiedere in via bonaria alla società debitrice il pagamento della somma dovuta, avendo poi appreso che la società era stata posta in liquidazione volontaria e successivamente cancellata dal Registro delle Imprese, ha richiesto il pagamento del danno al liquidatore della società, in assenza di giustificazioni dello stesso in ordine alla cancellazione della società nonostante risultasse dall’ultimo bilancio approvato un rilevante attivo patrimoniale e un consistente patrimonio netto positivo.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 22 marzo 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

La cessione da parte dell’amministratore di s.r.l. di beni di titolarità della società gestita (nella fattispecie brevetti) a un prezzo vile, di molto inferiore al loro valore, e l’omesso pagamento di tributi integrano gli estremi di illeciti gestori che costituiscono violazione del dovere di conservazione del patrimonio sociale che incombe sull’amministratore e sono fonte di danni per la società.

L’amministratore che abbia concorso a determinare, anche a causa della sua mala gestio, una situazione di crisi economico-finanziaria tale da incidere, in via riflessa, sulla mancanza di liquidità della società, non può invocare validamente detta situazione in funzione di esimente dal momento che non integra un’ipotesi di forza maggiore né un fatto indipendente dalla volontà dell’amministratore o dalla sua sfera di controllo nella gestione societaria. 

Non costituisce atto illecito il fatto che l’amministratore abbia avviato per conto della società un rapporto di lavoro con il proprio figlio, dal momento che la questione attiene a una scelta di opportunità imprenditoriale, come tale non sindacabile. Né è sindacabile la congruità della retribuzione riconosciuta dalla società al lavoratore rispetto alle mansioni svolte, essendo la questione rimessa in via esclusiva all’esercizio dell’autonomia privata e non sussistendo un parametro oggettivo alla luce del quale effettuare un valido raffronto, talché́ risulterebbe comunque impossibile predicare se sia eccessiva la retribuzione accordata a un lavoratore o insufficiente invece quella riconosciuta ad altro lavoratore con mansioni eventualmente equipollenti e trattamento economico deteriore. 

In tema di azione revocatoria del fondo patrimoniale, il termine di prescrizione quinquennale decorre non dalla data della stipula dell’atto dispositivo, ma da quella della sua trascrizione nei pubblici registri (conf. Cass. 24/03/2016, n. 5889).

Principi espressi dal Tribunale che, in accoglimento dell’azione, proposta nei confronti di un ex amministratore di s.r.l., ha condannato lo stesso, ex art. 2476 c.c., al risarcimento dei danni cagionati da atti di mala gestio, tra i quali la vendita di beni sociali (nella specie brevetti) a prezzo vile e l’omesso versamento dei tributi dovuti.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)