Tribunale di Brescia, sentenza del 11 marzo 2024, n. 957 – successione, recesso eredi

La parte che abbia un titolo legale che le conferisca il diritto di successione ereditaria, come la vedova o i figli del “de cuius”, che sono eredi legittimi e legittimari, non è tenuta a dimostrare di avere accettato l’eredità, qualora proponga in giudizio domande che di per sé manifestino la volontà di accettare, gravando, in questi casi, su chi contesti la qualità di erede l’onere di eccepire la mancata accettazione dell’eredità ed eventualmente i fatti idonei ad escludere l’accettazione tacita, che appare implicita nel comportamento dell’erede (cfr. Cass. n. 21288/2011; Cass. n. 22223/2014; Cass. n. 6745/2018).

Quanto al diritto di recesso, l’art. 2473, primo comma, c.c. predetermina le ipotesi legali di recesso dalla s.r.l. contratta a tempo determinato, rimandando ai patti sociali per eventuali ulteriori ipotesi e per le modalità di esercizio.

Nel caso in cui non sia ancora stato deliberato l’aumento di capitale o la proroga del termine di durata della società, espressamente previsti dallo statuto quali ipotesi legittimanti il recesso del socio dissenziente o assente nelle relative decisioni, ogni ipotetica manifestazione di volontà, formalizzata o meno dagli eredi del socio secondo i canoni statutari, pervenuta prima della assemblea straordinaria in cui si sarebbe deliberata una delle predette decisioni legittimanti il recesso del socio dissenziente o assente, non avrebbe comunque potuto integrare valido esercizio del diritto di recesso. Gli eredi, infatti, solo all’esito della predetta deliberazione, formalizzato il proprio dissenso, avrebbero potuto esercitare validamente il diritto di recesso dalla società.

L’art. 2484, terzo comma, c.c. stabilisce che la pubblicità del fatto dissolutivo abbia efficacia costitutiva: ne consegue che la società non poteva considerarsi in stato di liquidazione prima e in mancanza dell’iscrizione presso l’ufficio del registro delle imprese della dichiarazione con cui gli amministratori avessero accertato la causa di scioglimento (i.e. decorso del termine), né la prosecuzione di fatto dell’impresa poteva integrare “revoca implicita” dello stato di liquidazione.

Va escluso che la volontà del socio di maggioranza di proseguire l’attività sociale sottoforma di s.r.l. unipersonale, integri la prova della “conoscenza” o addirittura dell’“accettazione” da parte dell’amministratore unico del recesso delle attrici e dunque valga quale attestazione della validità dello stesso.

Non può ritenersi violato l’art. 1337 c.c. dal socio superstite, quando dall’ordine del giorno contenuto nell’avviso di convocazione dell’assemblea straordinaria e dalle dichiarazioni rese a verbale dallo stesso si dava per acquisito il valido esercizio del diritto di recesso da parte degli eredi del de cuius, inducendo questi a non formalizzare con raccomandata il loro recesso dalla società a seguito della deliberata proroga del termine della stessa, circostanza legittimante il recesso del socio dissenziente o assente.

Principi espressi nell’ambito di un giudizio, dinanzi al Tribunale, volto ad accertare, in via principale, la validità del recesso esercitato dagli eredi del socio di minoranza di una s.r.l. e a far condannare quest’ultima a liquidare la loro quota di minoranza. In subordine, al fine di far condannare il socio di maggioranza e amministratore unico al risarcimento del danno arrecato ai soci di minoranza per violazione dei doveri di buona fede avendo indotto gli attori a ritenere validamente esercitato il recesso dalla società.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 6 febbraio 2024 – società a responsabilità limitata, controllo dei soci non amministratori ex art. 2476, 2° co., c.c.

Il diritto del socio di s.r.l. previsto dall’art. 2476, 2° co., c.c., che contempla tanto il diritto di ricevere informazioni attraverso la richiesta di notizie sullo svolgimento degli affari, quanto il diritto alla consultazione dei libri sociali e relativa documentazione, consiste in un diritto potestativo di ampia portata, il cui esercizio non richiede alcuna specifica motivazione, né ammette alcun limite, salvo quelli tradizionali del: a) rispetto del canone generale di buona fede, b) contemperamento tra diritti parimenti meritevoli di tutela, sempre che sussistano i presupposti per un bilanciamento. In altre parole, il diritto di informazione non può essere oggetto di protezione laddove il suo esercizio sia animato da scopi meramente emulativi, laddove esso integri un’ipotesi di abuso del diritto o, infine, laddove esso contrasti con un preminente diritto altrui.

Ai fini del riconoscimento del diritto di cui all’art. 2476, 2° co., c.c. è irrilevante che in precedenza il socio non abbia manifestato interesse per la partecipazione sociale, posto che  tale diritto non è attribuito su base “premiale” in relazione all’esercizio “virtuoso” dei diritti sociali, né la sua esclusione può avere un fondamento di tipo “punitivo”.

Il semplice timore di impiego per finalità concorrenziali delle informazioni acquisite nell’esercizio del diritto di cui all’art. 2476, 2° co., c.c., non sorretto da adeguate allegazioni sul compimento effettivo di attività concorrenziale, non consente alla società di impedirne l’esercizio. Alla medesima conclusione deve giungersi nel caso sussista il timore di un utilizzo illecito di informazioni riservate ex art. 98 c.p.i., in assenza di adeguate allegazioni in merito alla tipologia ed al contenuto delle medesime, a maggior ragione qualora il socio istante abbia manifestato la disponibilità a sottoscrivere accordi di non divulgazione.

Il rifiuto della società a consentire l’accesso del socio alla documentazione sociale preclude di fatto la facoltà di quest’ultimo di svolgere un’adeguata due diligence, comprimendo indebitamente il suo diritto di alienare la quota detenuta.

Per quanto riguarda la dedotta mancanza di periculum in mora rilevante in sede cautelare, il diritto del socio ex art. 2476, 2° co., c.c. ha natura strumentale rispetto all’esercizio degli ulteriori diritti sociali, talché deve ritenersi che il tempestivo esercizio di questi ultimi non può che richiedere il tempestivo accesso alle informazioni e alla documentazione sociale. Nelle more del giudizio di cognizione il diritto sociale, cui l’accesso alla documentazione sociale risulta preordinato, verrebbe inevitabilmente compromesso, con pregiudizio non riparabile o non agevolmente riparabile per equivalente.

Principi espressi nell’ambito  di un procedimento  di reclamo avverso un’ordinanza cautelare richiesta dal socio di  una società a responsabilità limitata per l’accertamento del suo diritto, quale socio non amministratore, di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di sua fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione, come disposto dall’art. 2476, 2° co., c.c. Nell’ordinanza di rigetto del reclamo il Collegio precisa la portata  ed i limiti di tale diritto.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, sentenza del 12 gennaio 2024, n. 117 – società a responsabilità limitata, azione sociale di responsabilità, responsabilità dell’amministratore unico

L’art. 2476, c. 3, c.c. legittima espressamente ciascun socio di s.r.l. a promuovere l’azione di responsabilità contro gli amministratori senza che sia necessario alcun atto autorizzativo da parte della società, e quindi anche in assenza di previa delibera assembleare. Infatti, nell’ambito della disciplina della s.r.l., non è riprodotta una disposizione analoga a quella di cui all’art. 2393, c. 1, c.c. e non pare possibile l’applicazione analogica delle norme in tema di s.p.a. alle s.r.l., a fronte delle differenze anche strutturali tra i due tipi di società e della scelta legislativa di differenziare le due discipline. Essendo ciascun socio della s.r.l. legittimato all’azione di responsabilità sociale, senza alcuna limitazione in merito alla percentuale di quote possedute, sarebbe incoerente con tale previsione imporre alla società, diretta danneggiata, di promuovere l’azione sociale solamente previa delibera assunta con le maggioranze previste dal codice o dallo statuto.

Nell’ambito dell’azione di responsabilità introdotta dai soci nei confronti dell’amministratore, la società, pur formalmente convenuta (in quanto litisconsorte necessario), assume la veste sostanziale di attrice, quantomeno in considerazione del fatto che essa è la beneficiaria della domanda di condanna formulata dai soci.

Come affermato dalla giurisprudenza precedente, «l’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti» (cfr. Cass. n. 2975/2020). Tale onere probatorio non si atteggia in modo diverso nel caso in cui l’azione sociale sia promossa dai soci, trattandosi di una mera sostituzione processuale. Ne deriva che, in un giudizio nel quale sia contestato l’utilizzo del denaro della società da parte dell’amministratore unico, è onere della parte attrice allegare l’effettuazione di operazioni non connesse all’oggetto sociale o comunque all’attività della società, con ciò allegando l’inadempimento dei doveri incombenti sullo stesso a tutela del patrimonio aziendale, il danno e il nesso di causa tra l’inadempimento e il danno. È invece onere del convenuto provare che tali prelievi erano in qualche modo giustificati o che sono stati eseguiti da terzi.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio instaurato a seguito dell’esercizio, da parte di due soci di una società a responsabilità limitata semplificata, dell’azione sociale di responsabilità contro il precedente amministratore unico, nel corso del quale gli attori avevano chiesto la condanna di quest’ultimo al risarcimento di asseriti danni subiti dalla società derivanti dall’utilizzo di denaro da parte dell’amministratore a favore di se stesso e di terzi (nel caso di specie, anche a seguito dell’assunzione di prove testimoniali, il Tribunale ha tuttavia riconosciuto che le somme prelevate erano dovute all’amministratore ed esigibili a titolo di compenso per l’attività svolta in virtù di accordi non formalizzati tra i soci).

(Massime a cura di Vanessa Battiato)




Corte d’Appello di Brescia, sentenza dell’8 gennaio 2024, n. 63 – arbitrato, lodo irrituale, motivi di impugnazione, errore essenziale di fatto, legittimazione passiva dell’arbitro

Il lodo arbitrale irrituale reso ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c., producendo i suoi effetti sostanziali esclusivamente nei confronti delle parti, può essere impugnato soltanto da chi abbia assunto tale veste nel procedimento in cui esso è stato pronunciato. Sicché, l’arbitro non è legittimato a promuovere autonomamente l’impugnazione del lodo né è, in astratto, munito di legittimazione passiva in sede di impugnazione del medesimo, essendo in posizione di terzietà rispetto alle parti e non potendo far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (Cass., 2357/2017).

Se è certamente vero che gli effetti del lodo irrituale si producono esclusivamente nei confronti delle parti sostanziali dell’arbitrato e che l’arbitro non è legittimato a promuovere autonomamente l’impugnazione, ai fini della valutazione sulla legittimazione passiva dell’arbitro in sede di impugnazione del lodo irrituale, devono essere presi in considerazione i motivi specifici di impugnazione in relazione alla natura del lodo irrituale, deve considerarsi che questi risolve la controversia attraverso uno strumento strettamente negoziale. Attesa dunque la natura negoziale dell’arbitrato irrituale, il relativo lodo deve ritenersi impugnabile, oltre che per i motivi previsti dall’art. 808-ter c.p.c., anche come atto negoziale, ossia anche per i vizi che sono causa di nullità o di annullabilità del contratto. Pertanto, ancorché gli effetti del lodo irrituale riguardino le sole parti sostanziali dell’arbitrato, laddove sia dedotto un vizio della volontà dell’arbitro, quest’ultimo sarà dotato di legittimazione passiva a contraddire sul punto.

Nell’arbitrato irrituale, il lodo può essere impugnato per errore essenziale esclusivamente quando la formazione della volontà degli arbitri sia stata deviata da un’alterata percezione o da una falsa rappresentazione della realtà e degli elementi di fatto sottoposti al loro esame (c.d. errore di fatto), e non anche quando la deviazione attenga alla valutazione di una realtà i cui elementi siano stati esattamente percepiti (c.d. errore di giudizio); con la conseguenza che il lodo irrituale non è impugnabile per “errores in iudicando” (come è invece consentito, dall’ultimo comma dell’art. 829 cod. proc. civ., quanto al lodo rituale) (Cass., 7654/2003). Pertanto, ai fini dell’impugnativa della determinazione negoziale, l’errore che rileva è soltanto quello di fatto essenziale che abbia inficiato la volontà degli arbitri per effetto di una falsa rappresentazione dei fatti dedotti. Non sarà, invece, sufficiente, l’errore consistente nell’omessa considerazione di un documento probatorio.

L’inadeguatezza della motivazione del lodo irrituale non rientra tra i motivi di impugnazione di cui all’art. 808-ter c.p.c. né. Tantomeno, tra i vizi suscettibili di rendere annullabile la determinazione arbitrale. La stesura di una motivazione inadeguata, tuttavia, può costituire una violazione del dovere di diligenza incombente sull’arbitro e potrà dunque essere fatta valere a titolo di responsabilità per inadempimento negoziale. Tale responsabilità, anche se accertata, non è tuttavia capace di incidere sulla validità della deliberazione da questi assunta, se non dipende da una sua errata percezione della realtà.

I princìpi esposti sono stati espressi nell’ambito di una controversia riguardante l’impugnazione di un lodo irrituale pronunciato all’esito di un giudizio di responsabilità degli amministratori di una società a responsabilità limitata in liquidazione ex art. 2476, co. 7, c.c., insorta tra una società in liquidazione (contumace) e i suoi amministratori, da un lato, e i suoi soci e i relativi fideiussori dall’altro, nonché nei confronti dell’arbitro unico. I soci e i loro fideiussori, soccombenti in sede arbitrale in merito all’asserita responsabilità degli amministratori della società in liquidazione, promuovevano molteplici doglianze denunziando: (i) l’omessa pronuncia dell’arbitro rispetto a una domanda di risarcimento del danno diretto; (ii) l’errore essenziale di fatto dell’arbitro unico consistente nell’aver ignorato la documentazione prodotta relativa al valore di stima di un compendio immobiliare; (iii) l’inadeguatezza di parte della motivazione della decisione resa dall’arbitro unico; (iv) l’errore essenziale di fatto dell’arbitro unico consistente nell’aver liquidato, a titolo di risarcimento, una somma inferiore rispetto a quella asseritamente dovuta; (v) l’errore essenziale di fatto dell’arbitro unico nell’aver escluso il risarcimento del danno patito dai fideiussori per la mancata liberazione dalla garanzia prestata; e (vi) l’errore (non essenziale di fatto) dell’arbitro unico nella liquidazione delle spese, in relazione al principio di soccombenza. La Corte d’appello ha ritenuto tutte le doglianze prive di fondamento ha integralmente rigettato l’opposizione proposta.

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Tribunale di Brescia, sentenza dell’8 gennaio 2024, n. 62 – Responsabilità dell’amministratore di s.r.l., Business judgment rule

Non può essere considerato responsabile nei confronti della s.r.l. gestita l’amministratore unico che abbia deciso di aderire ad un sistema fiscale meno favorevole in ragione dell’elevata incertezza relativa al rispetto dei requisiti richiesti per usufruire di un regime impositivo più vantaggioso, incertezza che avrebbe esposto la società al rischio significativo di contenzioso in sede tributaria e, in caso di soccombenza, all’obbligo di versamento di maggiori imposte, sanzioni e interessi.

L’amministratore di una società non risponde necessariamente degli (eventuali) risultati economici negativi dell’attività di impresa, ma solo quando tali risultati risultino conseguenza di scelte operate in violazione dell’obbligo di “agire informato” o caratterizzate da manifesta irragionevolezza (così Cass. n. 3409/2013).

La regola della business judgement rule assume una conformazione peculiare nel caso di esercizio di un’attività di impresa agricola poiché tale attività, per sua natura, sopporta, accanto alla naturale alea propria di ogni attività di impresa, l’ulteriore rischio “biologico” derivante dalla inevitabile soggezione alle incertezze dell’ambiente naturale.

Non può ritenersi in contrasto con l’obbligo di agire informato l’operato dell’amministratore che abbia fatto ricorso all’ausilio di professionisti per la necessaria assistenza tecnica in materia altamente specialistica e connotata da particolare incertezza applicativa, come quella fiscale.

Principi espressi nel contesto di un’azione di responsabilità promossa ex art. 2476, 3° co., c.c. da alcuni  soci di una s.r.l. che svolge attività agricola nei confronti dell’amministratore unico. Parte attrice sosteneva che la scelta dell’amministratore di adottare per un triennio il regime di tassazione ordinario dei redditi di impresa avrebbe comportato un danno alla società in termini di maggiori oneri fiscali sostenuti. Il tribunale ha rigettato integralmente la domanda, condannando gli attori alla rifusione delle spese di giudizio.

(massime a cura di Giovanni Gitti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 28 novembre 2023, n. 3054 – azione di responsabilità promossa dalla curatela ex art. 146, co. 2, L. fall, prescrizione, onere probatorio, mala gestio

Il termine di prescrizione dell’azione di responsabilità dei creditori sociali esercitata dalla curatela fallimentare decorre dal momento della oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti sociali. Al riguardo è onere degli amministratori (e dei sindaci) fornire la prova della data di inizio della decorrenza della prescrizione attraverso la deduzione di fatti sintomatici dell’incapienza patrimoniale che si siano (eventualmente) verificati precedentemente alla dichiarazione di fallimento (che costituisce, secondo l’id quod plerumque accidit,il momento storico in cui l’incapienza patrimoniale risulta, senza dubbio, conoscibile ai creditori ed è, pertanto, oggetto di una presunzione juris tantum).

Ai fini della esperibilità dell’azione di responsabilità dei creditori sociali, la conoscenza dello stato di “depatrimonializzazione” di una società decorre dal momento della pubblicazione nel Registro delle Imprese del bilancio dal quale risulti una completa erosione del capitale sociale.

La mancata consegna al curatore da parte del liquidatore della contabilità relativa ad alcuni esercizi non è di per sé sintomatica della mancanza, distruzione o irregolarità originaria della stessa.

Princìpi espressi nel giudizio promosso da una curatela fallimentare al fine di ottenere l’accertamento della responsabilità contrattuale ed extra-contrattuale di amministratori e sindaci per atti di mala gestio e/o di omesso controllo, nonché la relativa condanna in via tra loro solidale al risarcimento dei danni derivati alla società ed ai creditori sociali.

(Massima a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 27 novembre 2023, n. 3018 – nullità delle deliberazioni assembleari, mala gestio, responsabilità degli amministratori, azione di responsabilità

L’azione di accertamento della nullità delle deliberazioni assembleari di una società “postula un interesse che, oltre a dover essere concreto ed attuale, si riferisca specificamente all’azione di nullità, non potendo identificarsi con l’interesse ad una diversa azione” (Cass. n. 16159/2017). Il principio di diritto enunciato vale, a maggior ragione, con riferimento all’azione volta a ottenere l’annullamento della delibera, tenuto conto della minore intensità del vizio.

“Il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione, le modalità nonché le circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica”. Detto giudizio riguarda, invece, solo “la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste per una scelta di quel tipo, operata in quelle circostanze e con quelle modalità” (Cass. n. 3409/2013).

L’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali – per consentire alla controparte un’adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio – deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale (Cass. n. 23180/2006).

Princìpi espressi nell’ambito del giudizio promosso da alcuni soci di una società a responsabilità limitata per sentir dichiarare la nullità (o in subordine l’annullamento) della delibera assembleare con la quale l’assemblea della medesima società aveva respinto a maggioranza la richiesta di promuovere l’azione sociale di responsabilità nei confronti di alcuni amministratori cessati e dell’attuale amministratore unico, nonché per ottenere la condanna di questi ultimi, previo accertamento della loro responsabilità per atti di mala gestio, al risarcimento dei danni cagionati alla società.


(Massime a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 15 novembre 2023, n. 2920 – appalto, clausola risolutiva espressa, risoluzione per inadempimento

In materia di contratto di appalto di fornitura non sussiste un divieto generale di affidamento congiunto della progettazione ed esecuzione dei lavori, ma una regola generale che la stazione appaltante, nella sua discrezionalità, può ben derogare senza che tale decisione sia sindacabile dalla controparte contrattuale che, nel momento in cui ha deciso di partecipare alla gara e di concludere il contratto, era a conoscenza della portata delle obbligazioni assunte.

In caso di inadempimento dell’appaltatore la facoltà della stazione appaltante di sciogliersi dal contratto, ai sensi dell’art. 108 del Codice degli Appalti, concorre autonomamente con quella di apporre una clausola risolutiva espressa, espressione di una posizione non autoritativa ma paritetica della P.A. e governata dalla disciplina civilistica (Cfr. Cass. n. 21740/2016).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da una società volto ad accertare la risoluzione di un contratto d’appalto con effetto retroattivo e a far condannare l’appaltatore alla restituzione di quanto trattenuto a seguito dell’intervenuta risoluzione del contratto e al pagamento delle penali.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, sentenza del 13 novembre 2023, n. 2895 – s.r.l., società a partecipazione pubblica, amministratore società, revoca amministratore, spoil system, gestione commissariale, giusta causa di revoca

Nel caso di società partecipate da ente pubblico, ferma l’autonomia tra i due soggetti (non essendo consentito all’ente di incidere unilateralmente sul suo svolgimento e sull’attività della società mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare proprio a mezzo dei membri di nomina pubblica presenti negli organi della società), allorquando l’ente pubblico nomina e revoca gli amministratori della società, non esercita un potere a titolo proprio ma esercita l’ordinario potere dell’assemblea, ad essa surrogandosi, quale organo della società, per autorizzazione della legge o dello statuto (cfr. Cass. S.U. n. 7799/2005 e Cass. S.U. n. 16335/2019).

In tema di spoil system, il potere di revoca, esercitabile ad nutum al mutare del “quadro politico” dovuto a “nuove elezioni”, degli amministratori di una società controllata (ovvero di coloro che ne rivestono la carica apicale) si fonda sul rapporto di natura fiduciaria, fondato sull’intuitus personae. Infatti nella designazione, ancorché subordinata al possesso di determinati requisiti oggettivi, ha valenza preponderante la valutazione della attitudine dei prescelti a conformare le loro scelte imprenditoriali all’indirizzo politico espresso dall’ente, e di perseguire, secondo le priorità e le modalità da questo indicate, gli obiettivi di gestione della partecipata che l’amministrazione comunale si propone di raggiungere. Allorché, a seguito di nuove elezioni, venga a mutare il quadro politico- amministrativo, il rapporto fiduciario viene necessariamente meno. Attraverso le disposizioni in esame, il legislatore ha dunque inteso farsi carico della necessità della nuova amministrazione di poter contare sull’immediata disponibilità di soggetti che si rendano interpreti delle sue nuove linee di indirizzo e delle diverse finalità della gestione, senza dover sottostare ai tempi lunghi occorrenti per verificare se gli amministratori in carica, “eredità” del precedente governo cittadino, siano in grado di corrispondere a tali mutate esigenze (cfr. Cass. S.U. n. 16335/2019).

Non trova applicazione il c.d. spoil system qualora il provvedimento di revoca dell’amministratore venga emesso non già dal nuovo sindaco eletto, bensì dal commissario prefettizio nominato a seguito di sospensione degli organi comunali, in ragione delle “gravi inadempienze” riscontrate nell’operato dell’amministratore. In tale fattispecie, trovano infatti applicazione le ordine regole in tema di revoca dell’amministratore di società di capitali le quali prevedono che le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383, comma 3, c.c. devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori (cfr. Cass. n. 21495/2020 e Cass. n. 2037/2018).

La sussistenza della giusta causa di revoca comporta l’accoglimento della domanda riconvenzionale avanzata dalla società convenuta, avente ad oggetto la ripetizione del compenso anticipato pagato all’amministratore revocato e dallo stesso indebitamente trattenuta.

I principi sono stati espressi nel rigetto di una domanda volta ad accertare l’assenza di giusta causa di un amministratore di una società totalitariamente partecipata da un comune i cui organi comunali erano stati sciolti, con contestuale nomina di un commissario prefettizio.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 14 ottobre 2023 – società a responsabilità limitata, azione di responsabilità, legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di responsabilità, impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi

Nella disciplina relativa alle s.r.l. non è prevista una norma analoga all’art. 2393, co. 2, c.c. il quale, in materia di s.p.a., prevede che la deliberazione inerente alla promozione dell’azione di responsabilità possa essere adottata – anche nell’eventualità in cui non sia indicata nell’elenco delle materie da trattare – in occasione della discussione del bilancio, sempre che si tratti di fatti di competenza dell’esercizio cui lo stesso bilancio si riferisce. La disposizione introduce, infatti, una deroga al principio generale della necessaria preventiva informazione circa l’oggetto delle delibere assembleari, avente quale ratio quella di consentire all’assemblea di adottare le opportune misure a tutela degli interessi della società, laddove dalla discussione del bilancio emergano inadempienze o responsabilità dell’organo di amministrazione, senza dover attendere i tempi di una ulteriore assemblea. Il legislatore, relativamente alle s.r.l., nemmeno prevede una disposizione analoga all’art. 2393, co. 5, c.c. il quale dispone che alla deliberazione dell’azione di responsabilità – adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale – consegue la revoca dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta i quali vengono, quindi, sostituiti dall’assemblea. La revoca automatica dall’ufficio degli amministratori, con contestuale sostituzione dell’organo a seguito dell’esperimento dell’azione di responsabilità, in forza di delibera adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, integra, infatti, una norma ulteriormente eccezionale, la cui estendibilità alle s.r.l. non pare giustificata da alcun vuoto normativo né da valutazioni di coerenza con l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2476 c.c.

Con riferimento alle s.r.l. la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità avverso gli amministratori è espressamente riconosciuta dall’art. 2476, co. 3, c.c. a ciascun socio, indipendentemente dalla misura della sua partecipazione sociale; tuttavia, non vi è un’esplicita disciplina inerente la legittimazione attiva della società, per quanto la stessa sia oramai unanimemente riconosciuta, sulla base del disposto dell’art. 2476 c.c., co. 5, il quale sancisce il potere della società di rinunciare o transigere l’azione. Conseguentemente a questo vuoto normativo, non è oggetto di regolamentazione nemmeno il concreto processo di formazione della volontà sociale in ordine all’esercizio dell’azione. 

La disciplina delle s.r.l. non stabilisce un divieto di voto per gli amministratori relativamente alle delibere inerenti alle loro responsabilità, diversamente da quanto accade per gli amministratori delle s.p.a. Viene unicamente prevista ex art. 2479-ter, co. 2, c.c., l’impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi ove suscettibile di arrecare danno all’ente.

Princìpi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare ex artt. 818, co. 2, e 838-ter, co. 4, c.p.c. promosso, nell’attesa della costituzione dell’arbitro, dall’amministratrice unica di una società a responsabilità limitata e volto ad ottenere la sospensione, in via d’urgenza, di una delibera assembleare che l’ha revocata dal suo ufficio adducendo la violazione delle maggioranze statutarie e l’assenza di indicazione dell’argomento all’ordine del giorno. 

(Massime a cura di Giulio Bargnani)