Tribunale di Brescia, ordinanza del 14 ottobre 2023 – società a responsabilità limitata, azione di responsabilità, legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di responsabilità, impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi

Nella disciplina relativa alle s.r.l. non è prevista una norma analoga all’art. 2393, co. 2, c.c. il quale, in materia di s.p.a., prevede che la deliberazione inerente alla promozione dell’azione di responsabilità possa essere adottata – anche nell’eventualità in cui non sia indicata nell’elenco delle materie da trattare – in occasione della discussione del bilancio, sempre che si tratti di fatti di competenza dell’esercizio cui lo stesso bilancio si riferisce. La disposizione introduce, infatti, una deroga al principio generale della necessaria preventiva informazione circa l’oggetto delle delibere assembleari, avente quale ratio quella di consentire all’assemblea di adottare le opportune misure a tutela degli interessi della società, laddove dalla discussione del bilancio emergano inadempienze o responsabilità dell’organo di amministrazione, senza dover attendere i tempi di una ulteriore assemblea. Il legislatore, relativamente alle s.r.l., nemmeno prevede una disposizione analoga all’art. 2393, co. 5, c.c. il quale dispone che alla deliberazione dell’azione di responsabilità – adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale – consegue la revoca dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta i quali vengono, quindi, sostituiti dall’assemblea. La revoca automatica dall’ufficio degli amministratori, con contestuale sostituzione dell’organo a seguito dell’esperimento dell’azione di responsabilità, in forza di delibera adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, integra, infatti, una norma ulteriormente eccezionale, la cui estendibilità alle s.r.l. non pare giustificata da alcun vuoto normativo né da valutazioni di coerenza con l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2476 c.c.

Con riferimento alle s.r.l. la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità avverso gli amministratori è espressamente riconosciuta dall’art. 2476, co. 3, c.c. a ciascun socio, indipendentemente dalla misura della sua partecipazione sociale; tuttavia, non vi è un’esplicita disciplina inerente la legittimazione attiva della società, per quanto la stessa sia oramai unanimemente riconosciuta, sulla base del disposto dell’art. 2476 c.c., co. 5, il quale sancisce il potere della società di rinunciare o transigere l’azione. Conseguentemente a questo vuoto normativo, non è oggetto di regolamentazione nemmeno il concreto processo di formazione della volontà sociale in ordine all’esercizio dell’azione. 

La disciplina delle s.r.l. non stabilisce un divieto di voto per gli amministratori relativamente alle delibere inerenti alle loro responsabilità, diversamente da quanto accade per gli amministratori delle s.p.a. Viene unicamente prevista ex art. 2479-ter, co. 2, c.c., l’impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi ove suscettibile di arrecare danno all’ente.

Princìpi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare ex artt. 818, co. 2, e 838-ter, co. 4, c.p.c. promosso, nell’attesa della costituzione dell’arbitro, dall’amministratrice unica di una società a responsabilità limitata e volto ad ottenere la sospensione, in via d’urgenza, di una delibera assembleare che l’ha revocata dal suo ufficio adducendo la violazione delle maggioranze statutarie e l’assenza di indicazione dell’argomento all’ordine del giorno. 

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 3 ottobre 2023, n. 2466 – s.r.l., amministratore società, determinazione del compenso, responsabilità amministratore, mala gestio, condotte distrattive, inadempimento dell’amministratore e perdita del diritto al compenso

Il verbale di assemblea ordinaria di una società di capitali (che nel caso di specie ha determinato il compenso dell’amministratore) non rogato da notaio ha comunque efficacia probatoria poiché documenta quanto avvenuto in sede di assemblea (data in cui si è tenuta, identità dei partecipanti, capitale da ciascuno rappresentato, modalità e risultato delle votazioni, eventuali dichiarazioni dei soci) in funzione del controllo delle attività svolte anche da parte dei soci assenti e dissenzienti; non trattandosi però di atto dotato di fede privilegiata, i soci possono far valere eventuali sue difformità rispetto alla realtà effettuale con qualsiasi mezzo di prova; tuttavia, se i soci non assolvano a detto onere probatorio su di essi incombente, non possono mettere in discussione quanto documentato dal verbale (cfr. Cass. n. 33233/2019).

Qualora si contesti la veridicità di fatti e dichiarazioni che nel verbale di delibera assembleare ordinaria (non rogato da notaio) si attestino avvenuti, non deve essere proposta querela di falso, non trattandosi di atto dotato di fede privilegiata e potendo il documento essere contestato con libertà di mezzi.

La delibera di revoca di una precedente deliberazione, da un lato, implica e postula l’esistenza e l’efficacia dell’atto revocato, d’altro lato, che tale provvedimento non può spiegare effetti che per il futuro.

La delibera assembleare di riduzione del compenso annuo di un liquidatore di società di capitali, in assenza di accettazione da parte del liquidatore stesso, non può operare retroattivamente con riferimento a periodi antecedenti la data della decisione dei soci, non potendo incidere negativamente su diritti già acquisiti medio tempore dal liquidatore (cfr. Trib. Roma 16 aprile 2021).

Avendo la responsabilità dell’amministratore verso la società natura contrattuale, a fronte di somme o beni fuoriusciti dall’attivo della società (siano essi utili, compensi erogati, strumenti di lavoro, beni aziendali in genere), quest’ultima, nell’agire per il risarcimento del danno, può limitarsi ad allegare l’inadempimento, consistente nella distrazione di dette risorse, mentre compete all’amministratore la prova del corretto adempimento e dunque della destinazione del patrimonio all’estinzione di debiti sociali oppure allo svolgimento dell’attività sociale (cfr. Cass. n. 12567/2021).

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che su tali importi vengano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto e decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione essendo calcolati sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata (cfr. Cass. n. 4791/2007).

In tema di compenso spettante all’amministratore di società a responsabilità limitata, la società può far valere quale eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l’inadempimento o l’inesatto adempimento degli obblighi assunti dall’amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilità ex art. 2476, comma 1, c.c., venendo in rilievo non il rapporto di immedesimazione organica, bensì il nesso sinallagmatico di tipo contrattuale tra adempimento dei doveri e diritto al compenso (cfr. Cass. n. 29252/2021 e Cass. n. 40880/2021).

Nei contratti a prestazioni corrispettive, l’eccezione “inadimplenti non est adimplendum” è soggetta al principio di buona fede e correttezza sancito dall’art. 1375 c.c., in senso oggettivo, che impone di verificare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte, l’eccezione in parola può, in concreto, essere ritenuta idonea a paralizzare il diritto al compenso dell’amministratore solo ove fondatamente basata su fatti collegati al periodo di carica (cfr. App. Milano n. 25.5.2021 e Trib. Milano 23.9.2020).

I princìpi sono stati espressi nel parziale accoglimento di una domanda promossa nei confronti dell’amministratore unico a seguito di numerosi atti di mala gestio, volta ad ottenerne la condanna al risarcimento dei danni cagionati alla società.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 12 ottobre 2023, n. 2584 – società a responsabilità limitata, concorrenza, clausola di restrizione della concorrenza, trasferimento di partecipazioni sociali

Alla luce di una interpretazione secondo buona fede del divieto di concorrenza, previsto in una clausola contenuta in un contratto per l’ipotesi di trasferimento della partecipazione sociale e cessazione del ruolo attivo all’interno della società, la manifestazione dell’impegno alla pronta cessazione dell’attività concorrenziale, seguita dalla immediata messa in liquidazione volontaria e cancellazione dal Registro delle Imprese della società concorrente, rappresenta idonea correzione alla violazione anche laddove siano superati i termini stabiliti dalla clausola, purché le tempistiche siano coerenti, tenuto anche conto del periodo feriale, con il pronto adeguamento alla richiesta.

La mancata chiusura del sito web non costituisce prova della continuazione “de facto” dell’attività di impresa ad opera della società cancellata.

Principi espressi in caso di rigetto della domanda promossa da una società volta ad ottenere, a seguito del trasferimento della partecipazione sociale e delle dimissioni dalla carica di consigliere da parte del convenuto, la condanna di quest’ultimo al pagamento della penale pattuita per la violazione del divieto di concorrenza.

(Massime a cura di Vanessa Battiato)




Tribunale di Brescia, sentenza del 18 luglio 2023, n. 1840 – impugnazione delibera approvazione bilancio

Qualora, in pendenza di un giudizio di impugnazione di una delibera di approvazione di un bilancio di esercizio, la società formi un nuovo bilancio che recepisce le cesure di parte attrice e lo stesso venga approvato dall’assemblea dei soci, si determina la cessazione della materia del contendere fra le parti. Tale circostanza deve essere valutata, secondo il criterio della soccombenza virtuale, ai soli fini della regolazione delle spese di lite.

È configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cd. atipica, fondata su contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (cd. mediazione unilaterale), qualora una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un’attività volta alla ricerca di una persona interessata alla sua conclusione a determinate e prestabilite condizioni. L’esercizio dell’attività di mediazione atipica, quando l’affare abbia ad oggetto beni immobili o aziende, ovvero, se riguardante altre tipologie di beni, sia svolta in modo professionale e continuativo, resta soggetta all’obbligo di iscrizione all’albo previsto dall’art. 2 della l. n. 39 del 1989, ragion per cui, il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della medesima legge, il diritto alla provvigione (cfr. Cass. SS.UU. 19161/2017). La nullità di tale contratto comporta l’insussistenza del diritto alla provvigione del mediatore non iscritto, con conseguente necessità di non indicare nel (e, se indicato, di escludere dal) bilancio la relativa voce di debito.

A fronte dell’emissione da parte di uno studio professionale di note proforma relative alle prestazioni eseguite (che risultano essere state regolarmente registrate nella contabilità), il bilancio della società debitrice deve tener conto di tali registrazioni e riportare nel bilancio il debito corrispondente. 

In assenza della prova del conferimento di specifico incarico professionale e dell’effettiva esecuzione dello stesso, la società non può esporre in bilancio alcun debito verso un professionista per il pagamento di tali prestazioni; se esposto tale debito deve essere stornato.

Il contributo previdenziale integrativo esposto in una nota-proforma emessa da un professionista (nella fattispecie a favore di Inarcassa) non è credito cedibile nell’ipotesi in cui, a fronte del pagamento di tale credito, la fattura venga emessa dalla cessionaria che è una società non iscritta al relativo Albo bensì al Registro delle Imprese (nella fattispecie con oggetto sociale l’acquisto e la vendita, la permuta e la locazione di beni immobili ed altre attività tipicamente di stampo imprenditoriale). Invero, il contributo integrativo viene riscosso dal professionista iscritto ad una cassa di previdenza e da questi periodicamente riversato all’ente di appartenenza, unitamente al contributo soggettivo calcolato sul reddito professionale (adempimento a cui non è tenuta la società cessionaria). Pertanto, tale importo non deve essere esposto a bilancio quale credito e, se esposto, deve essere stornato.

Princìpi espressi agli esiti di un giudizio in cui sono state parzialmente accolte le censure mosse da alcuni soci di una s.r.l. dirette a ottenere la declaratoria di nullità o la pronuncia di annullamento di due delibere dell’assemblea dei soci di approvazione di un bilancio di esercizio (la prima aveva adottato il bilancio, mentre la seconda aveva approvato una versione emendata del medesimo bilancio al fine di recepire alcune delle censure formulate da parte attrice).

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 29 giugno 2023, n. 1618 – società a responsabilità limitata, contratto di compravendita di quote, aliud pro alio, legittimazione passiva degli amministratori

L’amministratore di una società a responsabilità limitata, anche laddove ne sia socio, non ha legittimazione passiva rispetto all’azione di risoluzione di un contratto stipulato dalla società, alla conclusione del quale egli ha partecipato quale mero legale rappresentante della società medesima. Al contrario, il socio amministratore di una società di persone è titolare di detta legittimazione passiva in sede di cognizione ordinaria, dal momento che la sua responsabilità è personale e diretta, benché di carattere sussidiario, operando il beneficium excussionis di cui all’art. 2304 c.c. solo in sede esecutiva.

Le partecipazioni sociali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinte e separate dai beni compresi nel patrimonio sociale. Questi ultimi, pertanto, non possono essere considerati totalmente estranei all’oggetto di un contratto di cessione di dette quote, sia qualora le parti di esso vi abbiano fatto specifico riferimento mediante la previsione di garanzie ad hoc, sia qualora l’affidamento del cessionario al riguardo debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Conseguentemente, la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa giustificando la risoluzione ex art. 1497 c.c. Alla risoluzione ordinaria ex art. 1453 c.c. potrebbe, invece, ricorrersi nel caso in cui i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti (Cass. n. 22790/2019; Cass. n. 18181/2004). In questo contesto, la vendita di aliud pro alio sussiste allorquando “la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti” (Cass. n. 22790/2019; Cass. n. 6596/2016; Cass. n. 20996/2013).

Prìncipi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da parte della società acquirente per ottenere, tra l’altro, la risoluzione del contratto di cessione di una partecipazione totalitaria in una s.r.l., adducendo che si fosse trattato di una vendita di aliud pro alio, dal momento che le tre centrali idroelettriche facenti parte del patrimonio della società acquisita avrebbero avuto, secondo la ricostruzione attorea,  una capacità produttiva di gran lunga inferiore a quella promessa in sede di preliminare.

(Massime a cura di Chiara Alessio)




Tribunale di Brescia, sentenza del 1° giugno 2023, n. 1350 – simulazione

La divergenza tra dichiarazione-titolo e contenuto-effetti determinata dalla simulazione si realizza mediante un’unitaria fattispecie negoziale, che non prevede un distinto accordo intermedio inteso a collegare il negozio simulato a quello dissimulato. La controdichiarazione, dunque, va espunta – in quanto priva di rilevanza, tanto sul piano strutturale che su quello funzionale – dagli elementi costitutivi dell’accordo simulatorio, trattandosi di null’altro che di un documento che riveste esclusivamente funzione probatoria, meramente ricognitiva e rappresentativa del preesistente accordo simulatorio (cfr. Cass. n. 24950/2020).

Principi espressi nell’ambito del giudizio promosso dai soci di una società a responsabilità limitata al fine di ottenere: i) il pagamento del residuo prezzo di vendita del 40% delle partecipazioni nella s.r.l.; ii) la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale; iii) la risoluzione dell’accordo fiduciario per inadempimento nonché il risarcimento dei danni.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 29 maggio 2023, n. 1322 – azione di responsabilità ex art. 146 l. fall. nei confronti degli amministratori, conflitto di interessi nella conclusione di un contratto, responsabilità per abuso di direzione e coordinamento

Il contratto concluso in conflitto di interessi integra gli estremi della responsabilità di cui all’art. 2476 c.c. qualora l’amministratore abbia fatto prevalere un interesse extrasociale incompatibile con quello della società e per essa pregiudizievole, alla stregua di una valutazione condotta secondo un giudizio ex ante che tenga conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta analoga a quella adottata, nonché della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione (cfr. Cass. n. 7279/2023). In particolare, in relazione all’acquisto, da parte di una società consortile, di crediti sostanzialmente inesigibili vantati dalle consorziate nei confronti di una società insolvente, agisce in conflitto d’interessi l’amministratore che: (i) sia nel contempo gestore anche delle altre società (cedenti e debitrice ceduta) coinvolte nell’operazione, (ii) acquisti tali crediti per soddisfare l’interesse delle cedenti a sottrarsi alle conseguenze dell’insolvenza della debitrice, traslando tale pregiudizio sulla società consortile cessionaria e consentendo nel contempo alle cedenti medesime di estinguere i propri debiti verso quest’ultima grazie alla datio in solutum in tal modo compiuta.

La responsabilità ex art. 2497 c.c. per abuso di direzione e coordinamento riguarda il fenomeno dei gruppi societari, caratterizzati dalla previsione di meccanismi quantomeno negoziali che consentano alla controllante di indirizzare le scelte gestionali della controllata. Inoltre, tale fenomeno presuppone l’esistenza di un’attività di governance della società proveniente da un soggetto estraneo ad essa, ossia diverso dai suoi organi interni. Infine, sul piano oggettivo, richiede l’effettività, la stabilità e la sistematicità di un’influenza sull’altrui gestione, in un contesto di coordinamento gestionale quantomeno duraturo, in cui l’aggregazione delle varie società controllate risponda ad un disegno organizzativo di articolazione imprenditoriale. 

I princìpi esposti sono stati espressi in relazione ad una società consortile, i cui amministratori svolgevano le medesime funzioni gestorie nelle due società consorziate, nonché in una terza società debitrice di queste ultime. Gli amministratori sono stati ritenuti responsabili, ai sensi degli artt. 146 l. fall. e 2476 c.c., per aver posto in essere un’operazione di cessione di crediti in conflitto d’interessi. Nello specifico, gli amministratori avevano acquistato per conto della società consortile – come datio in solutum a soddisfazione di propri crediti – alcuni crediti che le consorziate vantavano nei confronti della terza società. La prova del conflitto di interessi è stata ritenuta raggiunta tenuto conto dell’identità soggettiva degli amministratori della società cessionaria, delle società cedenti nonché della società debitrice ceduta. Pertanto, la cessione dei crediti è stata giudicata illecita in quanto funzionale al soddisfacimento dell’interesse delle consorziate cedenti a sottrarsi alle conseguenze dell’insolvenza della debitrice ceduta, avendo arrecato, al contempo, un pregiudizio ingiustificato alla cessionaria attraverso la datio in solutum

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Tribunale di Brescia, sentenza del 16 maggio 2023, n. 1174 – s.r.l., dimissioni dell’amministratore, revoca dell’amministratore, assenza di giusta causa, risarcimento del danno

L’atto di dimissione dall’incarico di amministratore di società di capitali, poiché suscettibile di iscrizione nel registro delle imprese, deve assumere carattere rituale; la volontà di rinunciare all’incarico, dunque, deve essere espressa in atto scritto debitamente trasmesso alla società, ovvero risultare da una dichiarazione contenuta in un verbale dell’assemblea dei soci o del consiglio di amministrazione. La rinuncia non può essere desunta per fatti concludenti, ovvero ancora da dichiarazioni verbali da provarsi per testimoni.  

Nella società a responsabilità limitata, se l’amministratore è nominato a tempo indeterminato, in caso di revoca deliberata dall’assemblea in assenza di giusta causa, ai fini della sussistenza di un diritto al risarcimento del danno non si applica l’art. 2383, comma terzo, c.c. (non richiamato direttamente, del resto, dall’art. 2475 c.c.), ma l’art. 1725, comma secondo, c.c., sicché la società deve risarcire il danno all’amministratore revocato solo in mancanza di un congruo preavviso. 

Diversamente opinando, la società non potrebbe revocare l’amministratore nominato a tempo indeterminato in assenza di giusta causa senza l’insorgere di un contestuale obbligo di risarcimento del danno, in spregio al carattere fiduciario che contraddistingue tale incarico (cfr. Cass. n. 9482/1999). In mancanza di un’espressa norma in materia di società a responsabilità limitata che disciplini la fattispecie, bisogna dunque ricorrere – in virtù del condiviso carattere fiduciario dei due incarichi – all’applicazione analogica della disciplina in tema di risarcimento del danno conseguente alla revoca del mandato a tempo indeterminato (cfr. Cass. n. 9482/1999 e Cass. n. 3312/2000). 

Princìpi espressi nel contesto di un’azione di accertamento dell’illegittimità della delibera di revoca di un amministratore di società a responsabilità limitata nominato a tempo indeterminato e di condanna al risarcimento del danno per mancanza di giusta causa ai sensi dell’art. 2383, comma terzo, c.c. Il Tribunale ha accolto solo parzialmente la domanda di condanna, individuando però, quale fondamento dell’obbligo di risarcimento, non l’asserita assenza di una giusta causa di revoca ai sensi dell’art. 2383, comma terzo, c.c., bensì l’improvvisa interruzione del rapporto conseguente alla mancanza di un congruo termine di preavviso ex art. 1725, comma secondo, c.c. 

(Massime a cura di Giovanni Gitti) 




Tribunale di Brescia, sentenza del 28 aprile 2023, n. 1012 – s.r.l. cancellata dal registro delle imprese, responsabilità del liquidatore, natura extracontrattuale ex artt. 2043 e 2495 c.c.

In caso di credito vantato nei confronti di una s.r.l., non saldato durante la fase di liquidazione, il creditore rimasto insoddisfatto che, dopo la sua cancellazione dal registro delle imprese, agisca in giudizio contro il liquidatore lamentando la violazione della par condicio creditorum in sede di pagamento dei creditori sociali, secondo la regola generale è onerato di provare i fatti costitutivi del diritto integrati dal fatto dannoso, dal danno ingiusto, dal nesso di causalità tra il fatto e il danno e dall’imputabilità soggettiva del comportamento dannoso, avendo la responsabilità del liquidatore nei confronti del creditore sociale natura extracontrattuale.

In tema di responsabilità del liquidatore, la prova del danno può ritenersi raggiunta a fronte della mera allegazione del creditore di non essere stato soddisfatto, in conformità al principio di vicinanza della prova. Non è infatti possibile per l’attore provare il fatto negativo del mancato pagamento neppure mediante la prova di un fatto positivo incompatibile, mentre il liquidatore è in possesso di ogni eventuale documentazione attestante il pagamento in fase di liquidazione.

La liquidazione delle attività e il soddisfacimento dei debiti risultanti in bilancio anche se, quantomeno in parte, mediante accollo comprova che vi è stata un’attività di liquidazione di attività e di soddisfacimento dei creditori; siffatti elementi sono idonei, in assenza di prova contraria in merito alla tipologia di creditori soddisfatti e alla percentuale di eventuale soddisfazione, ad integrare la prova del danno e del nesso di causa tra la condotta del liquidatore e il danno.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di una domanda volta ad accertare la responsabilità extracontrattuale del liquidatore a seguito del mancato pagamento di un debito sociale.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 4 aprile 2023 n. 755 – società a responsabilità limitata, organo di controllo, collegio sindacale, compenso dei sindaci, prescrizione presuntiva, prescrizione quinquennale, ripartizione dell’onere della prova

Le prescrizioni presuntive, tra cui quella prevista all’art. 2956 n. 2 c.c., operano esclusivamente nell’ambito dei rapporti contrattuali che si svolgono in assenza di formalità, in cui, ordinariamente, il compenso per la prestazione ricevuta è versato senza dilazione né rilascio di quietanza di pagamento, viceversa, non trovando applicazione con riferimento ai crediti sorti per effetto di un contratto stipulato in forma scritta (tornando ad essere applicabili per l’eventuale parte del credito derivante dall’esecuzione di prestazioni che non hanno fondamento nel documento contrattuale). Ne consegue che, nei rapporti tra società di capitali e sindaci, non trova applicazione la prescrizione presuntiva ex art. 2956 n. 2 c.c., in quanto i compensi per l’esercizio dell’attività di sindaco trovano fondamento in un rapporto a carattere formale (tenuto conto, nel caso di specie, delle deliberazioni assembleari di nomina del sindaco e di successive deliberazioni assembleari aventi ad oggetto il rinnovo della carica).

Con riferimento ai crediti a titolo di compenso per l’esercizio dell’attività di sindaco del collegio sindacale di una società a responsabilità limitata trova applicazione la prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c., trattandosi di credito riconducibile al rapporto societario. Peraltro, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, occorre tenere conto che il compenso del sindaco matura annualmente a conclusione di ciascun esercizio sociale ai sensi dell’art. 2402 c.c.

In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve provare esclusivamente la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. Ne consegue che, con riferimento al credito relativo al compenso maturato dal sindaco di una società a responsabilità limitata, in mancanza di prova da parte della società debitrice dell’avvenuto adempimento, il relativo credito deve ritenersi provato sulla scorta dei verbali di assemblea contenenti la deliberazione di nomina del sindaco effettivo e i successivi rinnovi.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dagli eredi legittimi del sindaco di una società a responsabilità limitata, poi deceduto, per ottenere la condanna della società convenuta al pagamento dei compensi maturati dal sindaco per l’attività svolta nel corso di tre annualità, sino alla data di cessazione dalla carica.

La società si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea, eccependo (i) l’applicazione della prescrizione presuntiva ex art. 2956 n. 2 c.c. dei crediti per compensi e, in via subordinata, (ii) l’applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2959 c.c. con riferimento al compenso maturato per una delle tre annualità.

Il tribunale, in parziale accoglimento della domanda attorea, ha condannato la società convenuta al pagamento, in favore di parte attrice, dell’importo rideterminato alla luce dell’accoglimento parziale dell’eccezione di prescrizione formulata dalla società convenuta.

(Massime a cura di Alice Rocco)