Corte d’Appello di Brescia, sentenza del 9 febbraio 2023, n. 240 – piano di ammortamento alla francese, determinatezza o determinabilità degli interessi, TAEG/ISC, interessi usurari

In relazione al piano d’ammortamento a rata costante, c.d. alla francese, la quota interessi essendo sempre calcolata sul capitale da restituire non genera alcun anatocismo. Tal sorta di ammortamento, così come tutte le forme di rimborso che prevedano il pagamento annuo degli interessi sul debito ancora esistente, configura una situazione equivalente a quella conseguente all’utilizzo dell’interesse composto, la cui formula viene impiegata per il solo calcolo dell’importo della rata costante. Ciò, tuttavia, non toglie che, una volta fissato l’importo della rata, gli interessi in essa ricompresi siano calcolati sempre e solo sul capitale residuo e non su interessi già maturati, escludendosi così ogni forma di anatocismo.

In merito alla determinatezza o determinabilità dell’oggetto dell’obbligazione accessoria relativa agli interessi, è indispensabile che gli elementi estrinseci o i parametri della determinazione degli interessi – ad un tasso diverso da quello legale – siano specifici. Pertanto, si ha indeterminatezza quando le clausole richiedono la necessità di una scelta applicativa tra più alternative possibili, ciascuna delle quali comportante l’applicazione di tassi di interessi diversi e, dunque, non determinate o determinabili nel loro oggetto come richiesto dagli artt. 1418 e 1346 c.c.; mentre la determinabilità è definibile come la possibilità di identificare chiaramente l’oggetto sulla base dagli elementi prestabiliti dalle parti.

Laddove il piano di ammortamento dia attuazione a criteri di calcolo difformi da quelli previsti in contratto o non risulti chiaro quali siano i criteri di calcolo e le varie componenti di determinazione della rata ovvero ancora nell’ipotesi di difformità tra entità del capitale finanziato e rata di ammortamento, ciò non comporta che il tasso risulti indeterminato, in quanto la determinatezza o meno va valutata ex ante e in riferimento alla clausola contrattuale. Pertanto, l’eventuale discrasia sulla modalità di calcolo della rata comporta una rimodulazione del piano di rimborso mediante la corretta determinazione della rata e dell’interesse.

In materia di TAEG/ISC, in quanto espressione in termini percentuali del costo complessivo del finanziamento, deve escludersi che esso costituisca una condizione economica direttamente applicabile al contratto e possa considerarsi un tasso, o prezzo, o condizione la cui erronea indicazione sia sanzionata dall’art. 117 t.u.b. Pertanto l’ISC/TAEG non ha alcuna funzione essenziale e non incide sul piano della validità del contratto (cfr. Cass. n. 24690/2020) né sul contenuto della prestazione a carico del cliente.

In materia antiusura, l’art. 1815, comma secondo, c.c. pur sanzionando la pattuizione degli interessi usurari, preserva anche il prezzo del denaro, facendo seguire la sanzione della non debenza di qualsiasi interesse limitatamente al tipo di interesse che quella soglia abbia superato. Infatti, laddove l’interesse corrispettivo sia lecito, e solo il calcolo degli interessi moratori applicati comporti il superamento della predetta soglia usuraria, ne deriva che solo questi ultimi sono illeciti e preclusi; ma resta l’applicazione dell’art. 1224 c.c., in quanto la nullità della clausola sugli interessi moratori non porta con sé anche quella degli interessi corrispettivi (cfr. Cass. n. 19597/2020).

Anche in caso di regolare svolgimento del rapporto, è riconosciuto al mutuatario – per una esigenza di certezza del diritto – un interesse ad agire per l’accertamento della nullità o inefficacia di una clausola, non essendo richiesta una lesione in atto del diritto stesso ed essendo sufficiente uno stato di incertezza; l’accertamento, tuttavia, non è automaticamente idoneo a valere in vista della futura applicazione di un interesse moratorio concreto, ma solo ad escludere che l’interesse sia dovuto.

Princìpi espressi, in grado di appello, nel giudizio promosso da una s.a.s. nei confronti di un ente di credito deducendo, con riferimento ad un mutuo con tasso variabile e un piano di ammortamento alla francese, l’indeterminatezza/indeterminabilità delle clausole relative agli interessi, l’usurarietà degli interessi ed oneri convenuti nonché l’applicazione di interessi anatocistici.

(Massime a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 2 febbraio 2023 – s.n.c., sequestro giudiziario della quota, rigetto




Tribunale di Brescia, sentenza del 20 gennaio 2023, n. 125 – clausola compromissoria, controversie societarie, dimissioni volontarie, compenso degli amministratori

Gli amministratori sono legati alla società da un rapporto di immedesimazione organica, non riconducibile al rapporto di lavoro subordinato, né a quello di collaborazione coordinata e continuativa. Esso, piuttosto, deve essere ascritto all’area del lavoro professionale autonomo ovvero qualificato come rapporto societario tout court (Cass. n. 2759/2016). Partendo da tale assunto, l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità (cfr. anche Cass. n. 13956/2016, SS.UU. n. 1545/2017, Cass. n. 285/2019) ha chiarito la natura lato sensu societaria delle controversie che contrappongono la società al suo amministratore (o viceversa).

Di conseguenza, le controversie tra amministratori e società, anche se specificamente attinenti al profilo “interno” dell’attività gestoria ed ai diritti che ne derivano agli amministratori (quale quello alla spettanza del compenso), sono compromettibili in arbitri, ove nello statuto della società sia presente una clausola compromissoria in tal senso (Cass. n. 2759/2016).

Tale conclusione è corroborata anche dal criterio ermeneutico estensivo di cui all’art. 808-quater c.p.c., il quale sancisce che “nel dubbio, la convenzione d’arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto o dal rapporto cui la convenzione si riferisce”.

I princìpi sono stati espressi nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, con il quale era stato ingiunto a una società, di cui la parte opponente era amministratore, di pagare a quest’ultimo una somma a titolo di residuo compenso, oltre a interessi e spese, per l’attività prestata sino alla data delle sue dimissioni. La società opponente ha eccepito l’incompetenza dell’autorità giudiziaria ordinaria – dalla quale sarebbe dipesa la nullità del decreto ingiuntivo da essa pronunciato – facendo rilevare la presenza nel proprio statuto di una clausola compromissoria. Detta clausola avrebbe imposto, oltre all’esperimento di un previo tentativo di conciliazione, la devoluzione in arbitri – inter alia – di qualsiasi controversia promossa da amministratori, liquidatori e sindaci, ovvero promossa nei loro confronti, avente ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale. Avendo l’amministratore opponente aderito all’eccezione di “competenza arbitrale”, il Tribunale di Brescia ha revocato il decreto ingiuntivo e, sempre per effetto della suddetta competenza arbitrale, ha dichiarato il suo difetto a conoscere ogni ulteriore domanda proposta nel merito.

(Massime a cura di Chiara Alessio)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 17 gennaio 2023 – s.n.c., sequestro conservativo a garanzia del diritto di credito per gli utili non versati




Tribunale di Brescia, sentenza del 20 dicembre 2022, n. 3069 – responsabilità del liquidatore di s.r.l., contratti di consulenza, inadempimento contrattuale, lesione del credito di natura contrattuale

Nel totale difetto di iniziative dirette al recupero coattivo del credito vantato nei confronti di una s.r.l. in liquidazione, non può ritenersi provata la circostanza della sua effettiva e definitiva lesione che costituisce l’indefettibile presupposto della responsabilità del liquidatore della società debitrice.  E ciò perché l’obbligazione per responsabilità del liquidatore può essere invocata solo ove risulti dimostrato il definitivo inadempimento dell’obbligazione gravante su quest’ultima.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da una società al fine di accertare la responsabilità del liquidatore di una s.r.l. in liquidazione per omesso pagamento del proprio credito e, conseguentemente, per sentire condannare il convenuto al risarcimento dei danni patiti per la violazione degli obblighi gravanti sul medesimo.

In particolare, a fondamento della propria domanda l’attrice deduceva   di aver concluso con la s.r.l. in liquidazione, in persona del liquidatore, due distinti contratti di consulenza, regolarmente adempiuti, e che la debitrice non aveva provveduto al pagamento del compenso concordato.

Il Tribunale ha rigettato la domanda, avendo rilevato che la società attrice risultava ancora creditrice della s.r.l. in liquidazione e che non aveva provveduto ad alcun tentativo di recupero del proprio credito.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 15 dicembre 2022, n. 3032 – società a responsabilità limitata, fallimento, azione di responsabilità amministratore, art. 2476 c.c.

Per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di “mala gestio” e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che per consentire alla controparte l’approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la “causa petendi” deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale. Ciò vale tanto che venga esercitata un’azione sociale di responsabilità quanto un’azione dei creditori sociali, perché anche la mancata conservazione del patrimonio sociale può generare responsabilità non già in conseguenza dell’alea insita nell’attività di impresa, ma in relazione alla violazione di doveri legali o statutari che devono essere identificati già nella domanda nei loro estremi fattuali (cfr. Cass n. 23180/2013 e Cass. n. 28669/2013). Tale onere di specifica allegazione si estende a tutti gli elementi costitutivi dell’azione di responsabilità sicché l’attore deve fornire indicazioni altrettanto puntuali in ordine all’esistenza del danno, del suo ammontare e del fatto che esso sia stato causato dal comportamento illecito di un determinato soggetto (cfr. Cass. n. 7606/2011).

Costituisce violazione degli obblighi di corretta gestione societaria, azionabile in via risarcitoria dalla curatela fallimentare, il comportamento degli amministratori che, sia negli anni anteriori alla messa in liquidazione della società che successivamente, hanno sistematicamente omesso di provvedere al regolare pagamento dei debiti tributari e contributivi, in tal modo palesando la loro incapacità di correttamente gestire le risorse finanziare sociali ed arrecando pregiudizio al patrimonio sociale, quantificabile nell’aggravio del debito originario, aumentato per accessori, sanzioni, interessi e somme aggiuntive.

L’omessa rilevazione della perdita del capitale sociale e la conseguente prosecuzione indebita dell’attività di impresa, con conseguente aggravio del deficit comportano, per giurisprudenza ormai costante (recepita d’altronde dall’art. 2486, comma terzo, nuovo testo, c.c.), la responsabilità risarcitoria degli amministratori per un importo coincidente – di norma – proprio con l’incremento del deficit patrimoniale (al netto, peraltro, dei cc.dd. costi normali di liquidazione), secondo il noto criterio della differenza fra netti patrimoniali. Tuttavia, l’effettivo aggravio del deficit non può, come ovvio, ritenersi coincidente col mero dato dell’incremento del debito bancario, che potrebbe essere, in ipotesi, opportunamente bilanciato dall’incremento di poste attive (o dalla corrispondente diminuzione di altre poste passive).

Princìpi espressi in relazione ad una causa promossa dal fallimento di una società a responsabilità limitata che ha convenuto in giudizio gli amministratori della stessa per ottenerne la condanna, in solido, al risarcimento dei danni cagionati alla società, poi fallita, in conseguenza di vari atti di mala gestio compiuti.

(Massime a cura di Carola Passi)




Tribunale di Brescia, sentenza del 15 dicembre 2022, n. 3030 – s.r.l., cessione quote, incapacità naturale, art. 428 c.c., art. 1425 c.c., art. 1453 c.c., art. 1427 c.c., art. 2753 c.c.

Qualora l’attore impugni un contratto di cessione di quote allegando la propria incapacità naturale all’atto della stipula in ragione di un “rallentamento cognitivo”, l’omessa produzione della cartella clinica relativa al ricovero del medesimo impedisce ogni ulteriore valutazione sull’entità di tale “rallentamento cognitivo” e sulle relative cause. Inoltre, gli elementi emersi in corso di causa non confortano l’allegazione attorea in quanto il contratto per cui è causa risulta essere stato sottoscritto ad oltre un mese dalla dimissione e in ogni caso non vi è coincidenza tra “rallentamento cognitivo” e “incapacità di comprendere”.

Nei rapporti tra le parti la quietanza di pagamento ha valore di confessione stragiudiziale resa alla controparte; nel dettaglio la quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale in ordine al fatto estintivo dell’obbligazione ai sensi dell’art. 2735 c.c., e, come tale, solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso, se e nei limiti in cui la stessa sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, l’autore e il destinatario di quella dichiarazione di scienza (cfr. Cass. n. 21258/2014).

L’obbligazione di pagamento del corrispettivo non può ritenersi adempiuta in quanto è noto che in tema di adempimento di obbligazioni pecuniarie mediante il rilascio di assegni bancari, l’estinzione del debito si perfeziona soltanto nel momento dell’effettiva riscossione della somma portata dal titolo, poiché la consegna dello stesso deve considerarsi effettuata, salva diversa volontà delle parti, “pro solvendo” (cfr. Cass. n. 14372/2018).

Princìpi espressi con riguardo al rigetto di una domanda volta all’annullamento dell’atto di trasferimento delle quote di una s.r.l. a causa dello stato di salute fisica e mentale della parte cedente che avrebbe costituito un grave vizio del consenso ex art. 1427 c.c. e a causa della falsa rappresentazione della realtà, perché il trasferimento della titolarità delle quote rappresentative del 95% del capitale della s.r.l. sarebbe stata effettuato senza il versamento del corrispettivo.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, sentenza dell’11 novembre 2022, n. 2740 – clausola compromissoria, legittimazione attiva del curatore speciale, annullamento del contratto ex art. 2475 ter c.c., azione revocatoria ex art. 2901 c.c.

Qualora nello statuto di una s.r.l. sia inserita una clausola compromissoria (da ritenere valida ex art. 34 d. lgs. 5/2003 applicabile ratione temporis) che devolva ad un collegio arbitrale qualunque controversia che dovesse insorgere fra i soci o fra questi e la società, incluse le controversie promosse dagli amministratori o nei loro confronti, per questioni attinenti al rapporto sociale in materia di diritti disponibili, la competenza dell’arbitro sussiste, in ipotesi di litisconsorzio necessario, anche nel caso in cui solo uno dei litisconsorti sollevi l’eccezione di arbitrato.

Qualora sia nominato un curatore speciale di una s.r.l., al fine di consentire a questa di partecipare al giudizio avente ad oggetto l’accertamento della responsabilità dell’amministratore unico verso la società medesima, il potere rappresentativo del primo non lo legittima a formulare anche una domanda di annullamento del contratto di cessione d’azienda concluso dall’amministratore in conflitto di interessi, attesa l’eterogeneità tra gli oggetti delle due domande.

In relazione alla domanda di annullamento del contratto concluso in conflitto d’interessi con la s.r.l. dall’amministratore che ne ha la rappresentanza ex art. 2475 ter c.c., il socio è carente di legittimazione attiva, dal momento che tale domanda può essere formulata solo dalla società.

Con l’azione revocatoria il creditore può domandare, ai sensi dell’art. 2901 c.c., che siano dichiarati inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni. L’attore ha in tal caso l’onere di provare anzitutto di essere creditore del contraente che ha disposto del proprio patrimonio con l’atto oggetto della domanda.

Principi espressi nel giudizio promosso dall’asserita socia di una s.r.l. volto a ottenere: (i) l’accertamento della sua qualità di partecipante alla compagine sociale; (ii) il risarcimento del danno cagionato alla s.r.l. partecipata  dall’amministratore  a fronte della cessione dell’azienda ad altra s.r.l. in conflitto di interessi e a prezzo notevolmente inferiore rispetto al suo valore effettivo; (iii) la revoca del convenuto  dalla carica di amministratore della s.r.l. e la nomina di un amministratore giudiziario; (iv) la revoca ex art. 2901 c.c. dell’atto con il quale la società partecipata aveva trasferito l’azienda alla cessionaria.

Il Tribunale  ha dichiarato: (i) la propria incompetenza in relazione alla domanda di accertamento della qualifica di socia della s.r.l. in capo all’attrice e all’azione di responsabilità dalla stessa proposta nei confronti dell’amministratore della s.r.l., attesa la presenza nello statuto di una clausola compromissoria ; (ii) la carenza di legittimazione attiva di parte attrice e della s.r.l., in persona del suo curatore speciale, con riguardo alla domanda di annullamento del contratto di cessione di azienda  oggetto di causa; (iii) la carenza di legittimazione attiva di parte attrice con riguardo alla domanda di revoca  di detto contratto di cessione di azienda.

(Massime a cura di Simona Becchetti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 3 novembre 2022, n. 2656 – società, società a responsabilità limitata, invalidità delle decisioni dei soci

Il socio che ha impugnato il bilancio di esercizio per violazione dei principi inderogabili di rappresentazione chiara, veritiera e corretta ha interesse ad impugnare, per i medesimi vizi, anche le deliberazioni di approvazione dei bilanci relativi agli esercizi successivi. Tale interesse non dipende unicamente dalla frustrazione dell’aspettativa del socio  a percepire un dividendo o, comunque, un immediato vantaggio patrimoniale derivante da una diversa e più corretta formulazione del bilancio, ma anche dal fatto  che la poca chiarezza o la scorrettezza del bilancio non permette al socio di avere tutte le informazioni – destinate a riflettersi anche sul valore della singola quota di partecipazione – che tale documento contabile dovrebbe fornire, ed alle quali il socio impugnante legittimamente aspira attraverso la declaratoria di nullità e il conseguente obbligo degli amministratori di predisporre un nuovo bilancio emendato dai vizi del precedente..  Pertanto, sino a che gli amministratori non abbiano ottemperato all’obbligo di adottare i provvedimenti conseguenti all’accoglimento dell’impugnazione avente ad oggetto la deliberazione di approvazione del bilancio di esercizio precedente, il socio impugnante preserva il proprio interesse (con correlata facoltà) a esercitare l’azione di impugnazione delle delibere di approvazione dei bilanci successivi, ancorché le impugnazioni siano tutte fondate sui medesimi motivi.

Assolvendo il bilancio una funzione rappresentativa della situazione patrimoniale e finanziaria della società cui si riferisce, nonché del suo risultato economico al termine dell’esercizio, tale da fornire ai soci e ai terzi tutte le informazioni previste dagli artt. 2423 e ss. c.c., devono considerarsi irrilevanti, rispetto alle  domande di invalidità della delibera di approvazione del bilancio, deduzioni incentrate su illeciti perpetrati dagli amministratori – seppur lesivi dell’integrità e del valore del patrimonio sociale –in assenza di allegazioni con riguardo alla violazione di norme e principi che presiedono alla loro corretta rappresentazione in bilancio.

Al fine di garantire la veridicità e correttezza del bilancio devono essere osservate le norme di dettaglio che indicano per ciascuna voce le condizioni per la relativa appostazione e le disposizioni codicistiche in materia di bilancio, completate e integrate dai principi contabili di riferimento. La violazione delle predette disposizioni tuttavia determina la non veridicità del bilancio solo quando le conseguenze di tali irregolarità sono “rilevanti” e arrecano un effettivo pregiudizio alla funzione informativa del bilancio.

L’effettuazione di operazioni in conflitto di interessi, anche se non concluse a normali condizioni di mercato, non pregiudica la veridicità del bilancio qualora venga fornita adeguata informazione in nota integrativa.

I principi sono stati espressi nell’ambito di un giudizio promosso dal socio di una società a responsabilità limitata in stato di liquidazione, finalizzato ad accertare l’invalidità della deliberazione di approvazione del più recente bilancio di esercizio di detta società.

La società convenuta, costituendosi, innanzitutto ha eccepito la carenza di un interesse ad agire dell’attore sostenendo che lo stesso, avendo impugnato il bilancio di esercizio precedente per violazione dei principi inderogabili di rappresentazione chiara, veritiera e corretta, non  avesse un interesse giuridicamente rilevante ad impugnare, per i medesimi vizi, il bilancio relativo agli esercizi successivi e, in secondo luogo, ha contestato la genericità e l’indeterminatezza della domanda dell’attore, essendo la stessa diretta a contestare atti gestori asseritamente negligenti e dannosi piuttosto che la violazione dei principi contabili adottati dal redattore nella predisposizione del bilancio e la violazione delle norme di cui agli artt. 2423 s.s. c.c. Nel merito la convenuta contestava le allegazioni dell’attore e chiedeva il rigetto della domanda da questo formulata.

Il Tribunale, nel merito, ha rigettato in toto la domanda dell’attore rilevando, inter alia, la scarsa attinenza tra i fatti allegati in atto di citazione ed eventuali vizi del bilancio e, pertanto, lo ha condannato a tenere indenne la società convenuta delle spese di lite.

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 31 ottobre 2022, n. 2649 –nullità del contratto per difetto di causa, errore su una qualità dell’oggetto della prestazione, esclusione, risoluzione del contratto per inadempimento reciproco, illegittimo aumento dei quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea di s.r.l. unipersonale in vista dell’ingresso di nuovo socio di maggioranza

Qualora una scrittura privata preveda, a favore e a carico delle parti, prestazioni di varia natura legate da vincolo di sostanziale corrispettività, la stessa non può essere dichiarata nulla – ai sensi dell’art. 1418, 2° co., c.c. – per assenza di causa sulla base di una valutazione negativa di convenienza economica dell’assetto dei rapporti congegnato dalle parti.

La mera valutazione negativa in merito alla convenienza economica degli accordi negoziali stipulati dalle parti non è idonea a fondare una richiesta di annullamento del contratto per vizio del consenso e, in particolare, per un errore essenziale su una qualità dell’oggetto della prestazione. Come pacificamente riconosciuto, il mero “errore sul valore” è inidoneo ad integrare un’ipotesi di errore essenziali ai sensi dell’art. 1429 c.c. (cfr. Cass. n. 17053/2021; n. 29010/2018 e n. 20148/2013).

In relazione ai contratti con prestazioni corrispettive, in caso di denuncia di inadempienze reciproche è necessario comparare il comportamento di entrambe le parti per stabilire quale di esse, con riferimento ai rispettivi interessi ed alla oggettiva entità degli inadempimenti, si sia resa responsabile delle violazioni maggiormente rilevanti ed abbia causato il comportamento della controparte, determinando la conseguente alterazione del sinallagma contrattuale (cfr. Cass. n. 19706/2020; n. 3455/2020; n. 13827/2019 e n. 13627/2017).

Nell’ipotesi di conferimento ad una delle parti in causa di un mandato finalizzato all’alienazione degli immobili oggetto di causa, la mancata collaborazione ovvero le condotte ostative dei mandanti non giustificano la risoluzione del contratto, a maggior ragione se le stesse si sono verificate in un lasso di tempo significativamente successivo alla scadenza del termine per il compimento dell’atto. Infatti, ci si può aspettare che le parti – in applicazione dei canoni fondamentali di correttezza e buona fede nell’esecuzione delle obbligazioni derivanti dal contratto (artt. 1175 e 1376 c.c.) – valutino le eventuali concrete proposte di acquisto del complesso immobiliare pervenute nei mesi immediatamente successivi alla scadenza del termine – non essenziale – concordato, ma non anche quelle giunte a distanza di anni dalla stessa. A nulla rileva un’eventuale successiva partecipazione delle parti alla prosecuzione delle trattative per la vendita degli immobili, collocandosi essa al di fuori delle previsioni contrattuali.

L’aumento dei quorum costitutivi e deliberativi dell’assemblea di una s.r.l. unipersonale, adottata dal socio e amministratore unico, in previsione dell’ingresso nella compagine sociale di un nuovo socio di maggioranza, è chiaramente diretta a pregiudicare le legittime aspettative di quest’ultimo, nonché ad attribuire al socio unico, destinato a divenire socio di minoranza, un sostanziale potere di veto, idoneo a paralizzare ogni decisione assembleare. Sebbene una delibera adottata al solo fine di pregiudicare e frustrare le aspettative di un socio entrante sia da ritenersi illegittima, il giudice, in difetto di tempestiva impugnazione della stessa, non può dichiararla nulla né può annullarla, non essendo ammesse ipotesi atipiche di pronunce costitutive, ai sensi dell’art. 2908 c.c.

I principi sono stati espressi nell’ambito dei giudizi riuniti promossi dalle parti di un complesso accordo contrattuale con il quale  queste avevano pattuito, per quel che qui interessa, di cedere a terzi la piena proprietà degli immobili in gestione, conferendo mandato a vendere al socio unico della s.r.l. titolare della nuda proprietà sui medesimi, e, in caso di mancata vendita entro il termine pattuito, di  trasferire alla menzionata società anche il diritto di usufrutto sugli immobili predetti, precedentemente in capo a un soggetto esterno alla stessa, destinato ad entrare nella compagine sociale della s.r.l. con una quota di maggioranza.

 A fronte di reciproche contestazioni di inadempienza, il Tribunale ha accertato la sola inadempienza del socio unico rispetto agli obblighi derivanti dall’accordo negoziale e ha accolto la domanda di esecuzione in forma specifica del contratto proposta dall’usufruttuario, ai sensi dell’art. 2932 c.c., rispingendo ogni ulteriore domanda.

(Massime a cura di Giada Trioni)