Tribunale di Brescia, sentenza del 1° settembre 2023, n. 2200 – legittimazione attiva, indebito oggettivo, mutuo fondiario e mutuo di scopo, indicatore sintetico dei costi, anatocismo, onere della prova

In materia di mutuo fondiario, in mancanza di uno scopo convenzionale predeterminato, la destinazione delle somme erogate dall’istituto mutuante non attiene al momento genetico del contratto e, pertanto, non è necessario che esse siano destinate a una specifica finalità che il mutuatario sia tenuto a perseguire, né l’istituto mutuante deve controllare l’utilizzazione che viene fatta della somma erogata (cfr. Cass. n. 317/2001, Cass. n. 9511/2007, Cass. n. 4792/2012).

Nel mutuo di scopo, sia esso legale o convenzionale, la destinazione delle somme mutuate entra nella struttura del negozio incidendo sulla causa del contratto fino a coinvolgere direttamente l’interesse dell’istituto finanziatore; in quest’ottica l’impegno del mutuatario a realizzare tale destinazione assume rilevanza corrispettiva, non essendo invece indispensabile che il richiamato interesse del finanziatore sia bilanciato in termini sinallagmatici, oltre che con la corresponsione della somma mutuata, anche mediante il riconoscimento di un tasso di interesse agevolato al mutuatario (cfr.Cass. n. 15929/2018, Cass. n. 25793/2015).

L’erronea indicazione dell’ISC non può comportare la nullità della clausola relativa agli interessi, con applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117 comma TUB, in quanto essa non determina nessuna incertezza sul contenuto effettivo del contratto stipulato e del tasso di interesse effettivamente pattuito, avendo l’ISC finalità informativa e non di condizione economica applicata al rapporto, potendo al più comportare il risarcimento dell’eventuale danno risentito dal mutuatario.

In riferimento al contratto di mutuo la previsione di un rimborso con rata fissa costante, per effetto del piano di ammortamento concordato (c.d. “alla francese”), non implica, in via automatica, alcun fenomeno di capitalizzazione degli interessi, prevedendo che in relazione a ciascuna rata fissa la quota di interessi ivi inserita sia calcolata non sull’intero importo mutuato bensì di volta in volta sulla quota capitale via via decrescente per effetto del pagamento delle rate precedenti, con conseguente esclusione del fenomeno anatocistico vietato dall’art. 1283 c.c.

In tema di ripetizione dell’indebito opera la normale distribuzione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., per cui l’attore è tenuto a dimostrare sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (cfr.Cass. n. 24948/2017); principio che trova applicazione anche ove si controverta l’obbligazione restitutoria dipendente dalla nullità di singole clausole contrattuali (cfr.Cass. n. 7501/2012).

Quando il contratto di conto corrente è stato stipulato in forma scritta, l’attore che alleghi la mancata valida pattuizione dell’interesse debitorio è onerato di dar prova dell’assenza della causa debendi attraverso la produzione in giudizio del documento contrattuale ed egli non potrà invocare il principio di vicinanza della prova al fine di addossare alla banca l’onere su di sé gravante, tenuto conto che tale principio non trova applicazione quando ciascuna delle parti acquisisce la disponibilità del documento al momento della sua sottoscrizione (cfr.Cass. n. 20490/2022).

La produzione degli estratti conto, a partire dalla data di apertura del contratto di conto corrente sino alla data della domanda di chiusura del conto, consentono di pervenire all’esatta determinazione dell’eventuale credito del correntista ed alla quantificazione degli importi da espungere dal conto, essendo, per contro, insufficienti gli estratti conto scalari, che offrendo una ricostruzione solo sintetica del rapporto di conto corrente, senza distinzione delle singole annotazioni e operazioni, conducono a risultati approssimativi o, anche, inidonei al calcolo dell’esatto ammontare del conto (cfr. Corte App. Torino n. 590/2022).

Principi espressi nell’ambito di un giudizio promosso dal legale rappresentante di una società (anche in proprio) al fine di accertare la nullità di un contratto di mutuo fondiario con prestazione di garanzia ipotecaria, nonché la parziale nullità del contratto di conto corrente.

In particolare, a fondamento della propria domanda l’attore deduceva la simulazione del contratto di mutuo fondiario, e, quindi, la sua inefficacia, poiché privo di causa, non fondiario, usurario e indeterminato; in relazione al contratto di conto corrente, invece, deduceva il superamento del tasso soglia, la mancata pattuizione degli interessi ultra-legali e le difformità tra i tassi comunicati negli estratti conto e quelli effettivamente applicati.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 31 agosto 2023 – s.s., esclusione del socio, reclamo




Tribunale di Brescia, sentenza del 21 agosto 2023, n. 2161 – società semplice, diritto del socio a percepire utili e approvazione del rendiconto, art. 2262 c.c., nullità di clausola compromissoria

In materia di società semplice, il diritto del socio a percepire la sua quota di utili è subordinato all’approvazione del rendiconto (sostanzialmente equivalente ad un bilancio di esercizio), in conformità all’art. 2262 c.c. La presentazione di dichiarazioni fiscali o il versamento di imposte non possono surrogare tale rendiconto, essendo la predisposizione ed approvazione del rendiconto medesimo presupposto di liquidità del credito del socio. Pertanto, il credito azionato monitoriamente non può ritenersi liquido ed esigibile in assenza di tale approvazione.

Princìpi espressi in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, richiesto da un socio contro la società per il pagamento di un credito derivante da utili asseritamente non distribuiti. Il Tribunale ha respinto l’eccezione di carenza di giurisdizione sollevata dalla parte opponente in base alla clausola compromissoria prevista dall’atto costitutivo, la quale prevedeva che “… ciascuna delle parti nomini un proprio arbitro, ed il terzo verrà nominato dai primi due …”, ritenendola nulla per violazione di norme imperative, in quanto non rispondente ai requisiti di cui agli artt. 223-bis e 223-duodecies c.p.c. Inoltre, i patti sociali prevedevano una particolare modalità di approvazione del bilancio statuendo che “alla fine di ogni esercizio i soci, congiuntamente, procederanno alla redazione dell’inventario, sulle risultanze del quale e della contabilità sociale, redigeranno il resoconto della gestione ed il bilancio”. Ciò non era avvenuto nel caso di specie, dal momento che un solo socio aveva la gestione ed il controllo degli affari sociali.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 22 luglio 2023 – s.s., esclusione del socio




Tribunale di Brescia, sentenza del 18 luglio 2023, n. 1840 – impugnazione delibera approvazione bilancio

Qualora, in pendenza di un giudizio di impugnazione di una delibera di approvazione di un bilancio di esercizio, la società formi un nuovo bilancio che recepisce le cesure di parte attrice e lo stesso venga approvato dall’assemblea dei soci, si determina la cessazione della materia del contendere fra le parti. Tale circostanza deve essere valutata, secondo il criterio della soccombenza virtuale, ai soli fini della regolazione delle spese di lite.

È configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cd. atipica, fondata su contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (cd. mediazione unilaterale), qualora una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un’attività volta alla ricerca di una persona interessata alla sua conclusione a determinate e prestabilite condizioni. L’esercizio dell’attività di mediazione atipica, quando l’affare abbia ad oggetto beni immobili o aziende, ovvero, se riguardante altre tipologie di beni, sia svolta in modo professionale e continuativo, resta soggetta all’obbligo di iscrizione all’albo previsto dall’art. 2 della l. n. 39 del 1989, ragion per cui, il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della medesima legge, il diritto alla provvigione (cfr. Cass. SS.UU. 19161/2017). La nullità di tale contratto comporta l’insussistenza del diritto alla provvigione del mediatore non iscritto, con conseguente necessità di non indicare nel (e, se indicato, di escludere dal) bilancio la relativa voce di debito.

A fronte dell’emissione da parte di uno studio professionale di note proforma relative alle prestazioni eseguite (che risultano essere state regolarmente registrate nella contabilità), il bilancio della società debitrice deve tener conto di tali registrazioni e riportare nel bilancio il debito corrispondente. 

In assenza della prova del conferimento di specifico incarico professionale e dell’effettiva esecuzione dello stesso, la società non può esporre in bilancio alcun debito verso un professionista per il pagamento di tali prestazioni; se esposto tale debito deve essere stornato.

Il contributo previdenziale integrativo esposto in una nota-proforma emessa da un professionista (nella fattispecie a favore di Inarcassa) non è credito cedibile nell’ipotesi in cui, a fronte del pagamento di tale credito, la fattura venga emessa dalla cessionaria che è una società non iscritta al relativo Albo bensì al Registro delle Imprese (nella fattispecie con oggetto sociale l’acquisto e la vendita, la permuta e la locazione di beni immobili ed altre attività tipicamente di stampo imprenditoriale). Invero, il contributo integrativo viene riscosso dal professionista iscritto ad una cassa di previdenza e da questi periodicamente riversato all’ente di appartenenza, unitamente al contributo soggettivo calcolato sul reddito professionale (adempimento a cui non è tenuta la società cessionaria). Pertanto, tale importo non deve essere esposto a bilancio quale credito e, se esposto, deve essere stornato.

Princìpi espressi agli esiti di un giudizio in cui sono state parzialmente accolte le censure mosse da alcuni soci di una s.r.l. dirette a ottenere la declaratoria di nullità o la pronuncia di annullamento di due delibere dell’assemblea dei soci di approvazione di un bilancio di esercizio (la prima aveva adottato il bilancio, mentre la seconda aveva approvato una versione emendata del medesimo bilancio al fine di recepire alcune delle censure formulate da parte attrice).

(Massime a cura di Giada Trioni)




Tribunale di Brescia, sentenza dell’11 luglio 2023, n. 1791 – s.p.a., compenso dell’amministratore, eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. 

Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, il sinallagma alla cui tutela è predisposto il rimedio di cui all’art. 1460 c.c. va considerato separatamente per ogni singola prestazione in cui si articola il contratto perché l’esecuzione ha luogo per coppie di prestazioni da eseguirsi contestualmente e con funzione corrispettiva. Ogni prestazione eseguita costituisce un adempimento integrale e completo cui deve conseguire una controprestazione corrispondente, senza possibilità di sollevare un’eccezione di inadempimento, che non esiste in relazione a quella coppia specifica di prestazione-controprestazione. Ne deriva che l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere utilmente fatta valere solo allorché attenga temporalmente e logicamente alla prestazione di riferimento, rispetto alla controprestazione richiesta all’eccipiente (cfr. Cass. n. 4225/2022 e Cass. n. 7550/2012)

In materia di compenso spettante all’amministratore di società di capitali, esiste un nesso sinallagmatico di tipo contrattuale (sia pure originato all’interno di un rapporto di natura associativa) tra adempimento dei doveri dell’amministratore (la cui violazione è altresì fonte di responsabilità) e diritto al relativo compenso, pertanto la società può sollevare l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. per opporsi alla richiesta del suo ex amministratore di ottenere il pagamento del compenso, allegando l’inadempimento o il non corretto adempimento degli obblighi dal medesimo assunti. In tal caso il giudice è tenuto a procedere ad una valutazione comparativa dei comportamenti delle parti contrapposte, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della loro incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto (cfr. Cass. n. 29252/2021; Cass. n. 12978/2002). Ne consegue che il rifiuto della società di pagare il compenso dell’ex amministratore sollevando l’eccezione di inadempimento è ammissibile limitatamente al corrispettivo maturato nel periodo relativamente al quale sussistono i lamentati inadempimenti.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da una società per contestare la richiesta di pagamento del compenso formulata in sede monitoria dal suo ex amministratore sollevando l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c. L’opposizione è stata rigettata in quanto gli inadempimenti allegati dall’opponente consistevano in condotte realizzate nel corso dell’esercizio precedente rispetto a quello in cui erano maturati i compensi oggetto di ingiunzione, sicché è stato ritenuto insussistente il rapporto sinallagmatico tra detti inadempimenti e l’obbligazione di pagamento degli emolumenti azionati dall’ex amministratore. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni) 




Tribunale di Brescia, sentenza del 5 luglio 2023, n. 1687 – responsabilità organi societari, risarcimento del danno

L’annotazione nel registro IVA acquisti di fatture false, la successiva presentazione di crediti IVA inesistenti, nonché il loro (parziale) utilizzo in compensazione integrano condotte di chiara rilevanza penale e gravi violazioni dei doveri che incombono sugli amministratori anche in vista della conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Pertanto, dei danni alla società e ai creditori sociali che ne siano conseguenza ne sono responsabili indubbiamente gli amministratori che hanno in concreto posto in essere tali operazioni.

Con riferimento al professionista incaricato dalla società della materiale trasmissione della dichiarazione IVA, lo stesso può concorrere nell’illecito dell’amministratore nel caso in cui sia consapevole dell’inesistenza del credito attestato o nel caso in cui, in presenza di circostanze tali da concretizzare seri indizi di insussistenza delle operazioni dichiarate, non abbia colpevolmente rilevato tale inesistenza, pertanto, nell’ipotesi in cui la propria condotta, quantomeno colposa, abbia concorso – rendendola possibile – all’operazione illecita posta in essere dall’organi amministrativo. Ciò in considerazione del fatto che, l’apposizione del visto di conformità e l’accertamento demandato al professionista ai sensi dell’art. 35 d. lgs. n. 241/1997 non può avere carattere meramente formale – pena lo svuotamento delle norme in esame e la completa inutilità del controllo richiesto finalizzato a semplificare le procedure legate alla richiesta dei rimborsi IVA e ad agevolare l’amministrazione finanziaria nella selezione delle posizioni da controllare – implicando lo stesso la verifica della regolare tenuta e conservazione delle scritture contabili obbligatorie ai fini delle imposte sui redditi e delle imposte sul valore aggiunto, della corrispondenza dei dati esposti nelle dichiarazioni alle risultanze di tali scritture contabili e di queste ultime alla relativa documentazione.

In materia di azione di responsabilità promossa ex artt. 2393 e ss. c.c. contro una pluralità di soggetti, la transazione raggiunta tra la società (o la curatela ex art. 146 L.F.) e alcuni tra i convenuti riguardante le quote di debito delle parti transigenti ha l’effetto di sciogliere, per tali quote, anche il vincolo di solidarietà passiva e, dunque, il debito, dei convenuti rimasti in causa (la cui esposizione va, pertanto, ridotta in misura corrispondente alla quota di coloro che hanno transatto), sì da rendersi necessario determinare le quote di responsabilità dei vari condebitori solidali mediante accertamento che deve necessariamente riferirsi, in via incidentale, anche alle condotte tenute dalle parti transigenti (cfr. Cass. n. 7907/2012).

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che sui relativi importi vadano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto. Tali interessi decorrono a partire dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano sulla somma via via rivalutata nell’arco del tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata.

Principi espressi nell’ambito del giudizio di promosso dal fallimento a tutela del credito risarcitorio vantato ex artt. 146 L.F., 2476 e 2043 c.c. nei confronti degli ex amministratori della società fallita, in concorso con i relativi professionisti, in conseguenza degli illeciti di natura fiscale contestati agli stessi (indebita compensazione di un inesistente credito IVA) che hanno comportato l’irrogazione in capo alla fallita di una sanzione amministrativa da parte dell’amministrazione finanziaria e dell’ente previdenziale.

(Massime a cura di Giorgio Peli)




Tribunale di Brescia, sentenza del 29 giugno 2023, n. 1618 – società a responsabilità limitata, contratto di compravendita di quote, aliud pro alio, legittimazione passiva degli amministratori

L’amministratore di una società a responsabilità limitata, anche laddove ne sia socio, non ha legittimazione passiva rispetto all’azione di risoluzione di un contratto stipulato dalla società, alla conclusione del quale egli ha partecipato quale mero legale rappresentante della società medesima. Al contrario, il socio amministratore di una società di persone è titolare di detta legittimazione passiva in sede di cognizione ordinaria, dal momento che la sua responsabilità è personale e diretta, benché di carattere sussidiario, operando il beneficium excussionis di cui all’art. 2304 c.c. solo in sede esecutiva.

Le partecipazioni sociali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinte e separate dai beni compresi nel patrimonio sociale. Questi ultimi, pertanto, non possono essere considerati totalmente estranei all’oggetto di un contratto di cessione di dette quote, sia qualora le parti di esso vi abbiano fatto specifico riferimento mediante la previsione di garanzie ad hoc, sia qualora l’affidamento del cessionario al riguardo debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Conseguentemente, la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa giustificando la risoluzione ex art. 1497 c.c. Alla risoluzione ordinaria ex art. 1453 c.c. potrebbe, invece, ricorrersi nel caso in cui i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti (Cass. n. 22790/2019; Cass. n. 18181/2004). In questo contesto, la vendita di aliud pro alio sussiste allorquando “la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti” (Cass. n. 22790/2019; Cass. n. 6596/2016; Cass. n. 20996/2013).

Prìncipi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da parte della società acquirente per ottenere, tra l’altro, la risoluzione del contratto di cessione di una partecipazione totalitaria in una s.r.l., adducendo che si fosse trattato di una vendita di aliud pro alio, dal momento che le tre centrali idroelettriche facenti parte del patrimonio della società acquisita avrebbero avuto, secondo la ricostruzione attorea,  una capacità produttiva di gran lunga inferiore a quella promessa in sede di preliminare.

(Massime a cura di Chiara Alessio)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 12 giugno 2023 – s.s., revoca dell’amministratore per giusta causa




Tribunale di Brescia, sentenza del 1° giugno 2023, n. 1350 – simulazione

La divergenza tra dichiarazione-titolo e contenuto-effetti determinata dalla simulazione si realizza mediante un’unitaria fattispecie negoziale, che non prevede un distinto accordo intermedio inteso a collegare il negozio simulato a quello dissimulato. La controdichiarazione, dunque, va espunta – in quanto priva di rilevanza, tanto sul piano strutturale che su quello funzionale – dagli elementi costitutivi dell’accordo simulatorio, trattandosi di null’altro che di un documento che riveste esclusivamente funzione probatoria, meramente ricognitiva e rappresentativa del preesistente accordo simulatorio (cfr. Cass. n. 24950/2020).

Principi espressi nell’ambito del giudizio promosso dai soci di una società a responsabilità limitata al fine di ottenere: i) il pagamento del residuo prezzo di vendita del 40% delle partecipazioni nella s.r.l.; ii) la dichiarazione di inefficacia ex art. 2901 c.c. dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale; iii) la risoluzione dell’accordo fiduciario per inadempimento nonché il risarcimento dei danni.

(Massima a cura di Simona Becchetti)