Sentenza del 4 agosto 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

È fondata l’eccezione di incompetenza del Tribunale a conoscere della domanda di risarcimento danni per gli atti di mala gestio, asseritamente compiuti dall’amministratore di una società, quando l’azione, diretta a verificare la correttezza dell’operato dell’organo gestorio della società, coinvolge “diritti disponibili relativi al rapporto sociale”, che risultano ricompresi nella clausola compromissoria prevista statutariamente in forza della quale sono devolute alla cognizione di un arbitro le eventuali controversie insorte fra i soci o fra i soci e la società, anche se promosse da amministratori e sindaci o revisore, ovvero nei loro confronti, anche non soci e che abbiano per oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.

Ai fini dell’accoglimento di un’azione di illecito concorrenziale, volta all’accertamento della fattispecie di sviamento di clientela e al conseguente risarcimento del danno, l’attore deve fornire la prova di specifiche condotte di natura illecita in contrasto con le regole di corretta concorrenza e dell’effettiva incidenza causale di dette condotte rispetto al danno patito.

In tema di illecito concorrenziale, il mero dato del sensibile calo del fatturato realizzato dall’attore nei confronti del cliente costituisce un elemento indiziario, privo peraltro dei necessari caratteri di precisione e gravità, che non consente di ritenere provata un’effettiva attività illecita produttiva di un danno.

In tema di illecito concorrenziale, si esclude la sussistenza di alcun danno patito dall’attore con riferimento a particolari clienti, quando il fatturato realizzato nei confronti di detti clienti sia andato progressivamente aumentando raggiungendo il suo picco proprio prima della proposizione dell’azione.

Principi espressi in relazione all’azione proposta da una società tesa ad ottenere il risarcimento di tutti i danni cagionati, per atti di mala gestio, dall’ex amministratore e quale corresponsabile di illecito concorrenziale commesso nella (nuova) qualità di direttore del settore vendita della società concorrente.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Ordinanza del 16 giugno 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto

La sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo, sicché, qualora l’oggetto del primo sia costituito dalla totalità delle quote di una s.r.l. e venga deliberato un aumento di capitale, il radicale mutamento dell’assetto societario preclude l’ottenimento di una pronuncia costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c.

Principio espresso nel contesto di un ricorso avverso un’ordinanza cautelare che aveva disposto il sequestro conservativo delle quote di una s.r.l.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Decreto del 15 luglio 2020 – Giudice designato: Dott. Raffaele del Porto

Il procedimento di volontaria giurisdizione ex art. 1105, ult. co., c.c. non può essere esperito nel caso in cui non sia possibile raggiungere la maggioranza dei comunisti necessaria per revocare il rappresentante comune, posto che detta disposizione disciplina il solo caso in cui l’amministrazione della cosa comune non sia possibile, per inerzia o per contrasto tra i comunisti sull’amministrazione (in questa seconda ipotesi, infatti, non si tratta di supplire ad una mera inerzia della maggioranza – conseguente a dissidi tra soci o al mero disinteresse alla gestione – ma di risolvere un contrasto tra uno o più comunisti e l’amministratore nominato, attività che ha un evidente risvolto contenzioso).

Principio espresso nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione ex art. 1105, ult. co., c.c. proposto da una comproprietaria di un pacchetto azionario a fronte di un conflitto di interessi in capo al rappresentante comune di detto pacchetto nell’esercizio delle sue funzioni.

(Massima a cura di Giovanni Maria Fumarola)




Sentenza del 13 luglio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Angelica Castellani

Integra
violazione dell’art. 2467 c.c. – norma inderogabile, in quanto posta a tutela
dei creditori sociali e diretta a contrastare fenomeni di sottocapitalizzazione
propri delle società a ristretta base sociale, determinati dalla volontà dei
soci di ridurre l’esposizione al rischio d’impresa – il rimborso a favore del
socio di una s.r.l. del finanziamento da questo erogato alla società, rimborso
effettuato mediante compensazione con i crediti di pari importo vantati dalla
società nei confronti del socio, qualora il finanziamento sia stato concesso in
presenza delle condizioni di cui al secondo comma della disposizione in
questione.

In
tal caso il socio trae indebitamente vantaggio dal meccanismo della
compensazione per vedersi rimborsato un credito che avrebbe potuto essere
estinto solo a seguito della soddisfazione integrale degli altri creditori. La
sussistenza, al momento della concessione del finanziamento e della richiesta
di rimborso, di uno dei presupposti indicati dall’art. 2467, 2° co., c.c. integra
un fatto impeditivo del diritto del socio alla restituzione del finanziamento.
Tale condizione di inesigibilità legale opera non solo quando si apre un
concorso formale con gli altri creditori sociali, ma anche durante la vita
della società, finché non sia stata superata la situazione di difficoltà
prevista dalla norma, sicché in tal caso la società deve rifiutare al socio il
rimborso del finanziamento in presenza di detta situazione, che l’organo
amministrativo ha il dovere di riscontrare mediante l’adozione di un adeguato
assetto organizzativo, amministrativo e contabile in grado di rilevare la crisi
(conf. Cass. n. 12994/2019).

Nell’ambito
di un procedimento volto ad accertare e a dichiarare la violazione del disposto
di cui all’art 2467 c.c., l’amministratore non può essere liberato da
responsabilità sulla base dell’assunto secondo il quale il pagamento
preferenziale effettuato mediante compensazione non avrebbe arrecato un danno
alla massa dei creditori, in quanto avrebbe realizzato un’operazione neutra per
il patrimonio sociale, con diminuzione dell’attivo in misura esattamente pari
alla diminuzione del passivo conseguente all’estinzione del debito. Infatti, il
pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare una
riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella
che si determinerebbe nel rispetto del principio della par condicio
creditorum
, in quanto la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia
dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura
concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare (conf. Cass.,
S.U., n. 1641/2017). Perciò il pagamento di un creditore in misura superiore a
quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una
minore disponibilità patrimoniale cagionata dall’inosservanza degli obblighi di
conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

In
tema di ripartizione dell’onere della prova dell’effettiva lesione subita dal
creditore (ovvero della massa) che assume di essere stato pretermesso nel
pagamento di debiti sociali a causa della condotta di mala gestio
addebitabile all’amministratore, sul creditore grava unicamente l’onere di
dedurre il mancato soddisfacimento del credito provato come esistente, liquido
ed esigibile alla data della liquidazione o del fallimento e il conseguente
danno determinato dalla condotta contraria ai doveri dell’amministratore,
astrattamente idonea a provocare la lesione, mentre spetta al debitore
dimostrare il proprio corretto adempimento degli obblighi sullo stesso
gravanti, e in particolare dell’obbligo di procedere a una corretta e fedele
ricognizione dei debiti sociali – costituente la c.d. massa passiva – e di
pagare i debiti sociali nel rispetto della par condicio creditorum,
secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti
all’epoca coesistenti (conf. Cass. n. 521/2020).

Il
pagamento preferenziale eseguito dall’amministratore in favore di un creditore
della società poi fallita, anche privo del carattere di illiceità penale, è
idoneo a cagionare un danno al patrimonio della società di cui il curatore può
chiedere il risarcimento.

L’azione
di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall cumula le diverse
azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., a favore rispettivamente, della
società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto
inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del
patrimonio sociale. Pertanto, si determina una modifica della legittimazione
attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni che
rimangono diversi ed indipendenti. La mancata specificazione del titolo nella
domanda giudiziale non determina dunque la sua nullità per indeterminatezza, ma
fa presumere che il curatore abbia inteso esercitare entrambe le azioni
congiuntamente.

Nel
caso in cui il curatore abbia promosso nei confronti dell’amministratore della
società fallita l’azione di responsabilità di cui all’art. 146 l. fall., che
cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., non è
ammessa compensazione fra il credito risarcitorio riconosciuto in favore del
fallimento nei confronti del predetto amministratore per atti di mala gestio
e il credito vantato da quest’ultimo a titolo di compenso, attesa
l’insussistenza del requisito della reciprocità, posto che l’amministratore non
è titolare nei confronti dei creditori sociali di alcun credito da opporre in
compensazione.

Principi
espressi in ipotesi di accoglimento dell’azione di responsabilità promossa ai
sensi dell’art. 146 l. fall. dal curatore nei confronti dell’amministratore
unico della società fallita, volta ad ottenere il risarcimento dei danni
cagionati alla società e ai creditori sociali per effetto di condotte contrarie
ai doveri inerenti alla carica ricoperta.

(Massime
a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 10 luglio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

La responsabilità degli amministratori ex art. 2476, co., 3 c.c. non può essere affermata laddove le doglianze dei soci siano genericamente indicate e laddove non risulti provato un danno per la società.

Il conflitto di interessi postula un rapporto d’incompatibilità fra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di un terzo che egli a sua volta rappresenti; rapporto che va riscontrato non in termini astratti e ipotetici, ma con riferimento al singolo atto, concentrandosi esclusivamente sul contratto le cui intrinseche caratteristiche consentano un vantaggio di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell’altro (conf. Cass. n. 19045/2005). 

La sussistenza dei presupposti per la postergazione dei crediti dei soci stabiliti dall’art. 2467 c.c. non è ostativa alla compensazione tra il credito del socio per finanziamenti e il suo debito da sottoscrizione dell’aumento di capitale, atteso che la trasformazione, mediante la compensazione, del credito da finanziamento in capitale di rischio concorre alla protezione degli interessi dei creditori terzi tutelati dall’art. 2476 c.c. Deve ritenersi, in definitiva, che l’estinzione per compensazione non sia illegittima e che non arrechi alcun pregiudizio ai creditori della società (e tantomeno alla partecipazione dei soci).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dai soci di una s.r.l. ex art. 2476, co. 3, c.c. nei confronti dei componenti del consiglio di amministrazione. A fondamento delle proprie pretese gli attori deducevano il compimento, da parte degli amministratori, di atti di mala gestio tra cui l’aver consentito la liberazione del capitale sociale (dapprima ricostituito e poi aumentato) mediante compensazioni in favore dei soci in violazione dell’art. 2467 c.c.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 19 giugno 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani

Oggetto
della denuncia ex art. 2409 c.c. è il fondato sospetto di gravi
irregolarità nella gestione, sempre che queste siano attuali e idonee a
produrre pregiudizi per la società gestita. L’intervento giudiziario richiesto
ex art. 2409 c.c. non può essere accordato, in mancanza di potenzialità del
danno, allorquando l’azione lesiva, già verificatasi a distanza di tempo, abbia
esaurito i propri effetti in assenza di elementi tali da far ipotizzare una
verosimile reiterazione.

Si
deve ritenere esclusa l’applicazione del controllo giudiziario a tutte quelle
irregolarità c.d. informative o puramente formali che, per quanto gravi, non
sono normalmente idonee a produrre effetti negativi immediati e diretti sul
patrimonio o sull’attività sociale.

Il
requisito dell’idoneità delle irregolarità denunciate ex art. 2409 c.c.
a recare danno alla società o a sue controllate ha trasformato il procedimento
in parola in strumento diretto a interrompere comportamenti di mala gestio idonei
a danneggiare la società, se non interrotti.

Ai
fini dell’applicazione dell’art 2409 c.c. risultano irregolarità rilevanti
quelle relativi ad atti di gestioni propri della società nel cui interesse è
promosso il procedimento, e ciò sia quando venga prospettato un danno per
questa stessa società, sia allorché la lesione abbia quale possibile
destinataria una società controllata.

Principi
espressi in ipotesi di rigetto di un ricorso ex art 2409 c.c., in difetto dei
requisiti di tempestività e attualità, promosso dal alcuni soci nei confronti
nei confronti dell’amministratore, nonché socio di maggioranza, asseritamente
responsabile di gravi irregolarità nella gestione della società.

Nel
dettaglio, le ricorrenti contestavano:

  1.  condotte dell’amministratore apparentemente poste in essere al fine di estromettere le stesse dalla attività sociale e
  2. il trasferimento di assets della società in favore dello stesso e/o di soggetti a lui riconducibili che avrebbe prefigurato un grave pregiudizio per la società. 

(Massime
a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 15 giugno 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

L’apposizione del timbro postale ai fini della “data certa” sul documento che contiene il contratto, nulla dice quanto al luogo della sua conclusione, atteso che il documento può essere stato senz’altro sottoscritto in un luogo e successivamente, nel corso della stessa giornata, presentato presso un ufficio postale in una provincia diversa per l’apposizione del timbro.

Il corrispettivo del trasferimento delle quote sociali è rappresentato dal pagamento del relativo prezzo. In caso di cessione di quota, i vari apporti di denaro eseguiti dai soci in favore della società non sono necessariamente ricompresi nel sinallagma contrattuale, in difetto di idonea prova quanto alla effettiva natura dei versamenti, dal momento che gli stessi possono avere forma di finanziamenti ordinari (con conseguente credito restitutorio “pieno”), di finanziamenti ex art. 2467 c.c. (con conseguente credito restitutorio postergato) o anche di meri conferimenti di capitale di rischio, potendo quindi circolare anche indipendentemente dal trasferimento delle quote. 

Qualora le parti abbiano contrattualmente stabilito il trasferimento della quota sociale senza il pagamento di alcun prezzo, l’eccezione di inadempimento relativa al mancato rimborso della quota dei versamenti effettuati medio tempore dal socio “quali finanziamenti alla società” non può utilmente essere invocata dal socio a sostegno dell’eccezione ex art. 1460 c.c. (Conf. Cass. n. 2720/2009).

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di un’azione volta ad ottenere l’ordine al convenuto di procedere a tutti gli adempimenti necessari per l’effettiva corretta intestazione della quota in esecuzione di una scrittura privata con la quale le parti avevano riconosciuto che la quota del capitale sociale della società era stata sottoscritta dall’attore in misura del 50% in nome e per conto proprio e in misura del restante 50% in nome proprio ma per conto, su mandato fiduciario, del convenuto.

Sempre in forza della medesima scrittura, il convenuto si era obbligato a cedere all’attore, a sua semplice richiesta, la quota detenuta in forza del mandato fiduciario conferitogli, senza alcuna somma a titolo di prezzo della stessa essendo già stato oggetto di accordo tra le parti. Il convenuto si era dichiarato disponibile al trasferimento della quota, ma subordinatamente al rimborso dei finanziamenti eseguiti nel frattempo in favore della società, sollevando altresì eccezione di inadempimento, che è stata ritenuta impropriamente svolta.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 11 giugno 2020 – Presidente: Dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: Dott. Stefano Franchioni

Il credito di rivalsa di Mediocredito Centrale s.p.a., sorto per effetto del pagamento effettuato a favore della banca garantita dopo il fallimento della società beneficiaria, è da qualificarsi credito sopravvenuto, in quanto maturato successivamente alla sentenza dichiarativa di fallimento.

Il credito di rivalsa del garante sostituisce nella massa passiva quello del creditore comune, escludendolo dal concorso. Resta inapplicabile l’art. 101 l.f. considerando che si riferisce a crediti anteriori alla dichiarazione di fallimento. Neppure è ammissibile l’insinuazione senza limiti di tempo, dovendosi invece fissare – in coerenza con i principi di celerità e concentrazione dell’accertamento fallimentare e sulla scorta degli artt. 3 e 24 Cost. – il termine di un anno decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare.

È inammissibile l’insinuazione del credito da surroga, ai sensi dell’art. 61, comma 2, l.f., qualora non si dimostri il carattere integralmente satisfattivo delle ragioni creditorie, non essendo rilevante un pagamento parziale, sebbene idoneo ad estinguere l’obbligazione del solvens.

I principi sono stati espressi nel corso di un procedimento di opposizione allo stato passivo avente ad oggetto l’esclusione del credito di rivalsa di Mediocredito Centrale dal passivo fallimentare per ultratardività della domanda.

(Massime a cura di Alessandra Nodari)




Sentenza del 4 giugno 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

È inammissibile, perché nuova, la domanda di risarcimento del danno presentata nei confronti di una s.r.l. e del socio, qualora l’attore, con la memoria ex art. 183, 6° comma, n. 1, c.p.c., aggiunga alla domanda originaria una domanda (nuova) di condanna nei confronti del socio stesso quale liquidatore della società, abbandonando la domanda nei confronti della società perché cancellata dal Registro delle Imprese. Alla medesima conclusione si perviene anche qualora si ritenga tale domanda siccome sostitutiva dell’originaria proposta nei confronti della società, perché avanzata verso un soggetto diverso da quello originario, a nulla rilevando la (occasionale) presenza in giudizio del convenuto nella differente veste di socio della società cancellata.

Principi espressi nel rigettare l’azione volta ad ottenere la condanna di una s.r.l. in liquidazione e dei soci al pagamento del compenso professionale per l’incarico di liquidatore svolto e subordinatamente al risarcimento in via equitativa per presunto inadempimento contrattuale.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 18 maggio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

La cessione delle quote (o azioni) ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Pertanto, le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche e al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale – e, di riverbero, alla consistenza economica della partecipazione – possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o, ai sensi dell’art. 1497 c.c., la risoluzione per difetto di “qualità” della cosa venduta (necessariamente attinente ai diritti e obblighi che, in concreto, la partecipazione sociale sia idonea ad attribuire e non al suo valore economico), solo se il cedente abbia fornito, a tale riguardo, specifiche garanzie contrattuali, ovvero nel caso di dolo di un contraente, quando il mendacio o le omissioni sulla situazione patrimoniale della società siano accompagnate da malizie ed astuzie volte a realizzare l’inganno ed idonee, in concreto, a sorprendere una persona di normale diligenza (conf. Cass. n. 16031/2007).

In materia contrattuale, per configurare la fattispecie della c.d. “presupposizione” (o condizione inespressa) è necessario che dal contenuto del contratto si evinca l’esistenza di una situazione di fatto (o di diritto), non espressamente enunciata in sede di stipulazione, ma considerata quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui successivo verificarsi o venir meno dipenda da circostanze non imputabili alle parti (conf. Cass. n. 5112/2018).

Principio espresso nel giudizio promosso da una s.p.a. e una s.r.l., quali promittenti venditori, contro una s.r.l., quale promissaria acquirente al fine di accertare l’inadempimento di quest’ultima al contratto preliminare di cessione di quote e, per l’effetto, condannare la promissaria acquirente al risarcimento del danno. La convenuta si costituiva chiedendo il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, l’annullamento del contratto preliminare sottoscritto exart. 1439 ovvero ex art. 1428 ovvero in via ulteriormente subordinata la nullità/inefficacia/risoluzione per inadempimento di parte attrice al contratto preliminare in quanto basato su una presupposizione rivelatasi insussistente.

(Massima a cura di Marika Lombardi)