Sentenza del 11 settembre 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice Relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Ai
fini della valutazione della competenza del tribunale correttamente adito
secondo i criteri di competenza di cui al d.lgs. 168/2003, in difetto di
espressa previsione legislativa, la chiamata in garanzia di un soggetto avente
personalità giuridica di diritto straniero non può determinare l’incompetenza
sopravvenuta, né con
riferimento alla causa di garanzia, ove la chiamata del terzo sia stata
autorizzata dal giudice al fine di realizzare il simultaneus processus, né tantomeno in relazione alla
causa principale, rispetto alla quale la società straniera non è neppure parte
(conf. Trib.
Bologna, 7 marzo 2018, Trib. Brescia, ord. 16.2.2019).

La
responsabilità dell’organo di amministrazione nell’ambito di una operazione di
acquisizione societaria che si è rilevata successivamente economicamente
sfavorevole non può essere ravvisata per il solo fatto che esso non ha
abbandonato l’operazione, ma deve essere valutata alla luce delle modalità con
le quali sono stati gestiti i rischi emersi dalle analisi di due diligence, dovendosi ricordare che l’attività di impresa presenta rischi intrinseci
che non possono essere del tutto azzerati e certi settori, come quelli ad
elevata vocazione tecnologica (caratteristica che connotava l’attività della
società in esame
) risultano naturalmente più rischiosi di altri. (Nel
caso di specie, il collegio ha valutato favorevolmente la scelta dell’organo di
amministrazione di strutturare diversamente l’operazione a fronte dei profili
di attenzione segnalati nel report della
due diligence optando per una
soluzione che fornisse ulteriori elementi informativi idonei a supportare la
congruità del valore economico dell’operazione concordata tra le parti
).

In presenza di
situazioni di conflitto di interessi in capo ad alcuni amministratori tali da
far ritenere il principio della business judgment rule non pienamente
applicabile all’operazione, l’adozione di una serie di misure “rafforzate”,
procedurali e di governance, possono essere idonee a sterilizzare i
rischi associati alla stessa. ( Nel caso di specie, il collegio ha ritenuto
che l’adozione di misure rafforzate quali: l’affidamento ad un professionista
indipendente del compito di accertare la congruità del prezzo dell’Operazione
dal punto di vista dell’acquirente, la costituzione di un comitato ristretto
composto da consiglieri disinteressati, il coinvolgimento del collegio
sindacale e il mancato voto in consiglio da parte degli amministratori
portatori di interessi in conflitto, siano state idonee a sterilizzare i rischi
connessi alla presenza situazioni di conflitto di interesse che riguardavano
l’operazione in questione).

La mancata
attivazione della clausola contrattuale di indennizzo da parte degli
amministratori previsto nel contratto di acquisizione della quota di
partecipazione rappresenta una perdita di chance, impendendo alla società la
chance di ottenere ristoro del pregiudizio subito, in via amichevole o a
seguito di contenzioso. In questa ipotesi, le valutazioni in punto di nesso
eziologico impongono di ritenere sussistente il danno – in conseguenza
dell’omissione – solo qualora l’applicazione di criteri probabilistici porti ad
accertare che, in mancanza dell’omissione stessa, il risultato vittorioso
sperato sarebbe stato ottenuto (conf. Cass. n.22026/04, Cass. n. 10966/04, Cass. n. 21894/04, Cass. n. 6967/06,
Cass. n. 9917/2010). La prova della sussistenza del nesso eziologico e del
danno è a carico del soggetto danneggiato, sul quale in riferimento alla
consistenza della chance incombe l’onere di provare la sussistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in
termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza
di un pregiudizio economicamente valutabile (conf. Cass. n. 15385/2011).

Principi
espressi in ipotesi di rigetto dell’azione di responsabilità sociale promossa
dalla società, poi dichiarata fallita in corso causa, nei confronti degli amministratori
in carica all’epoca dei fatti, i quali avrebbero concluso, asseritamente in
violazione dei doveri propri di amministratori, una operazione di acquisizione
di partecipazioni di una società, la quale è risultata economicamente
pregiudizievole per la società acquirente avendo registrato la società
acquisita un notevole decremento del proprio fatturato sin dall’anno successivo
all’operazione.

Nel
caso di specie, l’attore lamenta che:

  1. gli amministratori avrebbero concluso
    tale operazione con una società riconducibile ad uno degli amministratori del
    proprio consiglio di amministrazione, pertanto in presenza di un evidente
    conflitto di interessi, ad un prezzo di molto superiore rispetto al reale
    valore della società;
  2. la mancata attivazione degli obblighi
    di indennizzo previsti nel contratto di cessione della quota di partecipazione
    a fronte della incorrettezza delle dichiarazioni e garanzie rilasciate dalla
    società venditrice.

(Massime a cura di Giorgio Peli)




Tribunale di Brescia, ordinanza dell’11 agosto 2020 – s.n.c., revoca liquidatore per giusta causa




Sentenza del 7 agosto 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 c.c. e 2394 c.c. (o, per la s.r.l., artt. 2476, co. 3, e 2476, co. 6, c.c.), pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente, confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile, previa autorizzazione del giudice delegato, esclusivamente da parte del curatore.

In punto di prescrizione, la disciplina applicabile a detta azione si atteggia in modo differente a seconda dei presupposti operativi evocati: pur essendo comunque quinquennale il termine prescrizionale dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., il dies a quo è differente a seconda che il curatore abbia agito con la legittimazione processuale ex art. 146 l. fall. nell’esercizio: a) dell’azione sociale di responsabilità, oppure b) dell’azione di responsabilità esperibile da parte dei creditori.

In tal senso, il termine di prescrizione decorrerà quindi:

a) per l’azione sociale, dal momento in cui, per effetto dell’inadempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, si verifichi il danno alla società; il dies a quo, pertanto, può essere posteriore non solo a quello in cui si sia verificato l’inadempimento, ma anche a quello in cui amministratori e sindaci siano cessati dalla carica (ferma la sospensione del termine, quanto agli amministratori, durante lo svolgimento dell’incarico ex art. 2941, n. 7, c.c.);

b) per l’azione dei creditori sociali, dal momento – che può essere anteriore o coincidente con la dichiarazione del fallimento – in cui gli stessi siano stati in grado “di venire a conoscenza dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società” (conf. Cass. n. 9619/2009, n. 20476/2008, n. 941/2005). In ragione dell’onerosità della suddetta prova a carico del curatore, avente ad oggetto l’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quodi decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando all’amministratore convenuto nel giudizio (che eccepisca la prescrizione dell’azione di responsabilità) dare la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (conf. Cass. n. 13378/2014). La relativa prova, se è vero che può desumersi anche dal bilancio di esercizio (conf. Cass. n. 20476/2008), deve pur sempre avere ad oggetto “fatti sintomatici di assoluta evidenza (indicati da Cass. n. 8516/2009 nella chiusura della sede sociale, nell’assenza di cespiti suscettibili di esecuzione forzata, ecc.), nell’ambito di una valutazione che è riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa” (conf. Cass. n. 24715/2015).

Sussiste la responsabilità dell’amministratore unico laddove, all’esito della perizia, risulti dimostrato che il medesimo abbia redatto i bilanci in modo errato, di fatto occultando l’intervenuta erosione del capitale sociale, ed abbia omesso di adottare i provvedimenti di cui all’art. 2482-ter c.c., proseguendo indebitamente l’attività d’impresa, aggravando così il dissesto.

In tal caso, sussiste altresì la responsabilità solidale del collegio sindacale, inadempiente rispetto agli obblighi di vigilanza ex art. 2407, co. 2, c.c., avendo lo stesso omesso di rilevare le predette violazioni gestorie e non avendo reagito adeguatamente di fronte agli illeciti amministrativi posti in essere dall’amministratore unico, essendosi limitato soltanto a prospettare, in modo incompleto, la sussistenza di alcune criticità nella gestione della società poi fallita.

In tema di azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, ai fini della liquidazione del danno è necessario evidenziare che il pregiudizio arrecato alla società ed ai creditori sociali deve essere calcolato, in conformità all’art. 2486, co. 3, c.c., come di recente modificato, attraverso il criterio dei cc.dd. “netti patrimoniali”, ossia nella differenza tra il patrimonio netto alla data di cessazione della carica gestoria o a quella di apertura della procedura concorsuale, da un lato, ed il patrimonio netto alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento, dall’altro, una volta detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità.

In tema di responsabilità dei sindaci nei confronti della società, non può trovare accoglimento la domanda di manleva formulata dal sindaco nei confronti dell’assicurazione laddove la richiesta di risarcimento formulata dal sindaco sia pervenuta all’assicurazione soltanto quando la polizza aveva cessato la sua validità ed efficacia e la maggiorazione del premio prevista dal regolamento negoziale per l’estensione postuma illimitata della garanzia – riconducibile al modello “on claims made basis” – non sia mai stata corrisposta.

Principi espressi nel giudizio promosso dal curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ex artt. 2393 c.c., 2407 c.c. e 146 l. fall. contro l’ex amministratore unico e gli ex componenti del collegio sindacale della società, poi fallita, a fronte del compimento di atti di mala gestio da parte dell’amministratore unico, nonché l’omessa adeguata vigilanza da parte dei componenti dell’organo collegiale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 4 agosto 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

È fondata l’eccezione di incompetenza del Tribunale a conoscere della domanda di risarcimento danni per gli atti di mala gestio, asseritamente compiuti dall’amministratore di una società, quando l’azione, diretta a verificare la correttezza dell’operato dell’organo gestorio della società, coinvolge “diritti disponibili relativi al rapporto sociale”, che risultano ricompresi nella clausola compromissoria prevista statutariamente in forza della quale sono devolute alla cognizione di un arbitro le eventuali controversie insorte fra i soci o fra i soci e la società, anche se promosse da amministratori e sindaci o revisore, ovvero nei loro confronti, anche non soci e che abbiano per oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.

Ai fini dell’accoglimento di un’azione di illecito concorrenziale, volta all’accertamento della fattispecie di sviamento di clientela e al conseguente risarcimento del danno, l’attore deve fornire la prova di specifiche condotte di natura illecita in contrasto con le regole di corretta concorrenza e dell’effettiva incidenza causale di dette condotte rispetto al danno patito.

In tema di illecito concorrenziale, il mero dato del sensibile calo del fatturato realizzato dall’attore nei confronti del cliente costituisce un elemento indiziario, privo peraltro dei necessari caratteri di precisione e gravità, che non consente di ritenere provata un’effettiva attività illecita produttiva di un danno.

In tema di illecito concorrenziale, si esclude la sussistenza di alcun danno patito dall’attore con riferimento a particolari clienti, quando il fatturato realizzato nei confronti di detti clienti sia andato progressivamente aumentando raggiungendo il suo picco proprio prima della proposizione dell’azione.

Principi espressi in relazione all’azione proposta da una società tesa ad ottenere il risarcimento di tutti i danni cagionati, per atti di mala gestio, dall’ex amministratore e quale corresponsabile di illecito concorrenziale commesso nella (nuova) qualità di direttore del settore vendita della società concorrente.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Ordinanza del 16 giugno 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto

La sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo, sicché, qualora l’oggetto del primo sia costituito dalla totalità delle quote di una s.r.l. e venga deliberato un aumento di capitale, il radicale mutamento dell’assetto societario preclude l’ottenimento di una pronuncia costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c.

Principio espresso nel contesto di un ricorso avverso un’ordinanza cautelare che aveva disposto il sequestro conservativo delle quote di una s.r.l.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Decreto del 15 luglio 2020 – Giudice designato: Dott. Raffaele del Porto

Il procedimento di volontaria giurisdizione ex art. 1105, ult. co., c.c. non può essere esperito nel caso in cui non sia possibile raggiungere la maggioranza dei comunisti necessaria per revocare il rappresentante comune, posto che detta disposizione disciplina il solo caso in cui l’amministrazione della cosa comune non sia possibile, per inerzia o per contrasto tra i comunisti sull’amministrazione (in questa seconda ipotesi, infatti, non si tratta di supplire ad una mera inerzia della maggioranza – conseguente a dissidi tra soci o al mero disinteresse alla gestione – ma di risolvere un contrasto tra uno o più comunisti e l’amministratore nominato, attività che ha un evidente risvolto contenzioso).

Principio espresso nell’ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione ex art. 1105, ult. co., c.c. proposto da una comproprietaria di un pacchetto azionario a fronte di un conflitto di interessi in capo al rappresentante comune di detto pacchetto nell’esercizio delle sue funzioni.

(Massima a cura di Giovanni Maria Fumarola)




Sentenza del 13 luglio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Angelica Castellani

Integra
violazione dell’art. 2467 c.c. – norma inderogabile, in quanto posta a tutela
dei creditori sociali e diretta a contrastare fenomeni di sottocapitalizzazione
propri delle società a ristretta base sociale, determinati dalla volontà dei
soci di ridurre l’esposizione al rischio d’impresa – il rimborso a favore del
socio di una s.r.l. del finanziamento da questo erogato alla società, rimborso
effettuato mediante compensazione con i crediti di pari importo vantati dalla
società nei confronti del socio, qualora il finanziamento sia stato concesso in
presenza delle condizioni di cui al secondo comma della disposizione in
questione.

In
tal caso il socio trae indebitamente vantaggio dal meccanismo della
compensazione per vedersi rimborsato un credito che avrebbe potuto essere
estinto solo a seguito della soddisfazione integrale degli altri creditori. La
sussistenza, al momento della concessione del finanziamento e della richiesta
di rimborso, di uno dei presupposti indicati dall’art. 2467, 2° co., c.c. integra
un fatto impeditivo del diritto del socio alla restituzione del finanziamento.
Tale condizione di inesigibilità legale opera non solo quando si apre un
concorso formale con gli altri creditori sociali, ma anche durante la vita
della società, finché non sia stata superata la situazione di difficoltà
prevista dalla norma, sicché in tal caso la società deve rifiutare al socio il
rimborso del finanziamento in presenza di detta situazione, che l’organo
amministrativo ha il dovere di riscontrare mediante l’adozione di un adeguato
assetto organizzativo, amministrativo e contabile in grado di rilevare la crisi
(conf. Cass. n. 12994/2019).

Nell’ambito
di un procedimento volto ad accertare e a dichiarare la violazione del disposto
di cui all’art 2467 c.c., l’amministratore non può essere liberato da
responsabilità sulla base dell’assunto secondo il quale il pagamento
preferenziale effettuato mediante compensazione non avrebbe arrecato un danno
alla massa dei creditori, in quanto avrebbe realizzato un’operazione neutra per
il patrimonio sociale, con diminuzione dell’attivo in misura esattamente pari
alla diminuzione del passivo conseguente all’estinzione del debito. Infatti, il
pagamento preferenziale in una situazione di dissesto può comportare una
riduzione del patrimonio sociale in misura anche di molto superiore a quella
che si determinerebbe nel rispetto del principio della par condicio
creditorum
, in quanto la destinazione del patrimonio sociale alla garanzia
dei creditori va considerata nella prospettiva della prevedibile procedura
concorsuale, che espone i creditori alla falcidia fallimentare (conf. Cass.,
S.U., n. 1641/2017). Perciò il pagamento di un creditore in misura superiore a
quella che otterrebbe in sede concorsuale comporta per la massa dei creditori una
minore disponibilità patrimoniale cagionata dall’inosservanza degli obblighi di
conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori.

In
tema di ripartizione dell’onere della prova dell’effettiva lesione subita dal
creditore (ovvero della massa) che assume di essere stato pretermesso nel
pagamento di debiti sociali a causa della condotta di mala gestio
addebitabile all’amministratore, sul creditore grava unicamente l’onere di
dedurre il mancato soddisfacimento del credito provato come esistente, liquido
ed esigibile alla data della liquidazione o del fallimento e il conseguente
danno determinato dalla condotta contraria ai doveri dell’amministratore,
astrattamente idonea a provocare la lesione, mentre spetta al debitore
dimostrare il proprio corretto adempimento degli obblighi sullo stesso
gravanti, e in particolare dell’obbligo di procedere a una corretta e fedele
ricognizione dei debiti sociali – costituente la c.d. massa passiva – e di
pagare i debiti sociali nel rispetto della par condicio creditorum,
secondo il loro ordine di preferenza, senza alcuna pretermissione di crediti
all’epoca coesistenti (conf. Cass. n. 521/2020).

Il
pagamento preferenziale eseguito dall’amministratore in favore di un creditore
della società poi fallita, anche privo del carattere di illiceità penale, è
idoneo a cagionare un danno al patrimonio della società di cui il curatore può
chiedere il risarcimento.

L’azione
di responsabilità esercitata dal curatore ex art. 146 l.fall cumula le diverse
azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., a favore rispettivamente, della
società e dei creditori sociali, in relazione alle quali assume contenuto
inscindibile e connotazione autonoma quale strumento di reintegrazione del
patrimonio sociale. Pertanto, si determina una modifica della legittimazione
attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni che
rimangono diversi ed indipendenti. La mancata specificazione del titolo nella
domanda giudiziale non determina dunque la sua nullità per indeterminatezza, ma
fa presumere che il curatore abbia inteso esercitare entrambe le azioni
congiuntamente.

Nel
caso in cui il curatore abbia promosso nei confronti dell’amministratore della
società fallita l’azione di responsabilità di cui all’art. 146 l. fall., che
cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c., non è
ammessa compensazione fra il credito risarcitorio riconosciuto in favore del
fallimento nei confronti del predetto amministratore per atti di mala gestio
e il credito vantato da quest’ultimo a titolo di compenso, attesa
l’insussistenza del requisito della reciprocità, posto che l’amministratore non
è titolare nei confronti dei creditori sociali di alcun credito da opporre in
compensazione.

Principi
espressi in ipotesi di accoglimento dell’azione di responsabilità promossa ai
sensi dell’art. 146 l. fall. dal curatore nei confronti dell’amministratore
unico della società fallita, volta ad ottenere il risarcimento dei danni
cagionati alla società e ai creditori sociali per effetto di condotte contrarie
ai doveri inerenti alla carica ricoperta.

(Massime
a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 10 luglio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

La responsabilità degli amministratori ex art. 2476, co., 3 c.c. non può essere affermata laddove le doglianze dei soci siano genericamente indicate e laddove non risulti provato un danno per la società.

Il conflitto di interessi postula un rapporto d’incompatibilità fra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di un terzo che egli a sua volta rappresenti; rapporto che va riscontrato non in termini astratti e ipotetici, ma con riferimento al singolo atto, concentrandosi esclusivamente sul contratto le cui intrinseche caratteristiche consentano un vantaggio di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell’altro (conf. Cass. n. 19045/2005). 

La sussistenza dei presupposti per la postergazione dei crediti dei soci stabiliti dall’art. 2467 c.c. non è ostativa alla compensazione tra il credito del socio per finanziamenti e il suo debito da sottoscrizione dell’aumento di capitale, atteso che la trasformazione, mediante la compensazione, del credito da finanziamento in capitale di rischio concorre alla protezione degli interessi dei creditori terzi tutelati dall’art. 2476 c.c. Deve ritenersi, in definitiva, che l’estinzione per compensazione non sia illegittima e che non arrechi alcun pregiudizio ai creditori della società (e tantomeno alla partecipazione dei soci).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dai soci di una s.r.l. ex art. 2476, co. 3, c.c. nei confronti dei componenti del consiglio di amministrazione. A fondamento delle proprie pretese gli attori deducevano il compimento, da parte degli amministratori, di atti di mala gestio tra cui l’aver consentito la liberazione del capitale sociale (dapprima ricostituito e poi aumentato) mediante compensazioni in favore dei soci in violazione dell’art. 2467 c.c.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 19 giugno 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani

Oggetto
della denuncia ex art. 2409 c.c. è il fondato sospetto di gravi
irregolarità nella gestione, sempre che queste siano attuali e idonee a
produrre pregiudizi per la società gestita. L’intervento giudiziario richiesto
ex art. 2409 c.c. non può essere accordato, in mancanza di potenzialità del
danno, allorquando l’azione lesiva, già verificatasi a distanza di tempo, abbia
esaurito i propri effetti in assenza di elementi tali da far ipotizzare una
verosimile reiterazione.

Si
deve ritenere esclusa l’applicazione del controllo giudiziario a tutte quelle
irregolarità c.d. informative o puramente formali che, per quanto gravi, non
sono normalmente idonee a produrre effetti negativi immediati e diretti sul
patrimonio o sull’attività sociale.

Il
requisito dell’idoneità delle irregolarità denunciate ex art. 2409 c.c.
a recare danno alla società o a sue controllate ha trasformato il procedimento
in parola in strumento diretto a interrompere comportamenti di mala gestio idonei
a danneggiare la società, se non interrotti.

Ai
fini dell’applicazione dell’art 2409 c.c. risultano irregolarità rilevanti
quelle relativi ad atti di gestioni propri della società nel cui interesse è
promosso il procedimento, e ciò sia quando venga prospettato un danno per
questa stessa società, sia allorché la lesione abbia quale possibile
destinataria una società controllata.

Principi
espressi in ipotesi di rigetto di un ricorso ex art 2409 c.c., in difetto dei
requisiti di tempestività e attualità, promosso dal alcuni soci nei confronti
nei confronti dell’amministratore, nonché socio di maggioranza, asseritamente
responsabile di gravi irregolarità nella gestione della società.

Nel
dettaglio, le ricorrenti contestavano:

  1.  condotte dell’amministratore apparentemente poste in essere al fine di estromettere le stesse dalla attività sociale e
  2. il trasferimento di assets della società in favore dello stesso e/o di soggetti a lui riconducibili che avrebbe prefigurato un grave pregiudizio per la società. 

(Massime
a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 15 giugno 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

L’apposizione del timbro postale ai fini della “data certa” sul documento che contiene il contratto, nulla dice quanto al luogo della sua conclusione, atteso che il documento può essere stato senz’altro sottoscritto in un luogo e successivamente, nel corso della stessa giornata, presentato presso un ufficio postale in una provincia diversa per l’apposizione del timbro.

Il corrispettivo del trasferimento delle quote sociali è rappresentato dal pagamento del relativo prezzo. In caso di cessione di quota, i vari apporti di denaro eseguiti dai soci in favore della società non sono necessariamente ricompresi nel sinallagma contrattuale, in difetto di idonea prova quanto alla effettiva natura dei versamenti, dal momento che gli stessi possono avere forma di finanziamenti ordinari (con conseguente credito restitutorio “pieno”), di finanziamenti ex art. 2467 c.c. (con conseguente credito restitutorio postergato) o anche di meri conferimenti di capitale di rischio, potendo quindi circolare anche indipendentemente dal trasferimento delle quote. 

Qualora le parti abbiano contrattualmente stabilito il trasferimento della quota sociale senza il pagamento di alcun prezzo, l’eccezione di inadempimento relativa al mancato rimborso della quota dei versamenti effettuati medio tempore dal socio “quali finanziamenti alla società” non può utilmente essere invocata dal socio a sostegno dell’eccezione ex art. 1460 c.c. (Conf. Cass. n. 2720/2009).

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di un’azione volta ad ottenere l’ordine al convenuto di procedere a tutti gli adempimenti necessari per l’effettiva corretta intestazione della quota in esecuzione di una scrittura privata con la quale le parti avevano riconosciuto che la quota del capitale sociale della società era stata sottoscritta dall’attore in misura del 50% in nome e per conto proprio e in misura del restante 50% in nome proprio ma per conto, su mandato fiduciario, del convenuto.

Sempre in forza della medesima scrittura, il convenuto si era obbligato a cedere all’attore, a sua semplice richiesta, la quota detenuta in forza del mandato fiduciario conferitogli, senza alcuna somma a titolo di prezzo della stessa essendo già stato oggetto di accordo tra le parti. Il convenuto si era dichiarato disponibile al trasferimento della quota, ma subordinatamente al rimborso dei finanziamenti eseguiti nel frattempo in favore della società, sollevando altresì eccezione di inadempimento, che è stata ritenuta impropriamente svolta.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)