Sentenza del 5 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Nel caso di opposizione al decreto
ingiuntivo emesso nei confronti del socio di s.r.l. per il versamento di somme
in conto capitale, la causa petendi attiene a rapporti sociali nell’ambito
di società di capitali, materia di competenza delle sezioni specializzate in
materia di impresa.

Nel giudizio di opposizione a decreto
ingiuntivo, in ipotesi di adesione della parte opposta all’eccezione di incompetenza
formulata dalla parte opponente, il provvedimento decisorio non può che
assumere la forma della sentenza (cfr. Cass. n. 14594/2012), poiché l’adesione
della parte opposta all’eccezione di incompetenza formulata dalla controparte comporta
non soltanto la cancellazione della causa dal ruolo, ma anche la revoca dell’ingiunzione,
essendo necessario un provvedimento espresso che impedisca al decreto
ingiuntivo di continuare a produrre effetti in pendenza del giudizio di merito
(cfr. Cass. n. 25180/2013).

I principi sono stati espressi
nel giudizio di opposizione promosso dal socio di una s.r.l. in liquidazione
avverso il decreto ingiuntivo,
provvisoriamente
esecutivo, che lo condannava al pagamento immediato di una somma “
a
titolo di versamento in conto capitale allo scopo di rendere proporzionale alle
quote sociali il contributo erogato dai soci per il sostegno delle attività
imprenditoriali” della società.

L’opponente, in particolare, formulava
eccezione di incompetenza basata sulla clausola compromissoria statutariamente
prevista, cui aderiva la convenuta, ritualmente costituitasi.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 12 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

La verifica della concreta ricorrenza
della fattispecie dell’abuso del diritto, evocata dal notaio verbalizzante per
il diniego dell’iscrizione della deliberazione (di riduzione del capitale
sociale per perdite nella misura di cui all’art. 2447 c.c., con contestuale
aumento nel rispetto del diritto di opzione e con delega al liquidatore per
l’assegnazione della parte inoptata) assunta dall’assemblea straordinaria di
una s.p.a. in pendenza di liquidazione, alla luce della complessità
dell’accertamento della sussistenza dei suoi elementi costitutivi, esula dal
controllo di legittimità spettante al notaio ai sensi dell’art. 2436 c.c.,
atteso che essa potrebbe difficilmente conciliarsi con la sommarietà del
predetto controllo e che la deliberazione annullabile risulta comunque idonea a
produrre effetti, salva la facoltà dei soci, ove legittimati, di esercitare
l’azione di annullamento, entro precisi limiti temporali.

In tema di s.p.a., deve essere negata
l’ammissibilità dell’iscrizione delle deliberazioni assunte dall’assemblea
straordinaria in pendenza di liquidazione aventi ad oggetto la “delega al
liquidatore per ulteriore aumento di capitale e/o versamenti in conto
finanziamenti infruttiferi dei soci anche non in proporzione alle azioni
possedute e secondo le necessità della liquidazione”
e la “delega al
liquidatore per l’acquisto di azioni proprie fino al 25% del capitale sociale
al valore nominale ex art. 2357, comma 3, c.c.”
, laddove le motivazioni di
tali delibere, difficilmente conciliabili con la fase liquidatoria, non siano
state esplicitate nel verbale assembleare né, successivamente, nel ricorso con
cui il liquidatore della società chiedeva al Tribunale di ordinarne
l’iscrizione.

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso con ricorso ai sensi dell’art. 2436, terzo comma, c.c. dal liquidatore
di una s.p.a. avverso il diniego da parte del notaio all’iscrizione nel
Registro delle Imprese delle deliberazioni assunte dall’assemblea straordinaria
aventi ad oggetto: 1. la variazione della sede sociale; 2. la variazione dello statuto
con la previsione dell’assemblea in videoconferenza; 3. la riduzione del
capitale sociale per perdite a norma dell’art. 2447 c.c.; 4. l’aumento del
capitale sociale con diritto di opzione; 5. la delega al liquidatore in materia
di assegnazione ai soci per la parte inoptata; 6. la delega al liquidatore per
un ulteriore aumento di capitale e/o per versamenti in conto finanziamenti
infruttiferi dei soci, anche non in proporzione alle azioni possedute e secondo
le necessità della liquidazione; 7. la delega al liquidatore per l’acquisto di
azioni proprie fino al 25% del capitale sociale al valore nominale ex art.
2357, comma 3, c.c.; 8. la modifica della delibera di determinazione del
compenso del liquidatore; 9. l’adeguamento dello statuto alla vigente normativa.

Con il proprio diniego all’iscrizione, il
notaio verbalizzante rilevava la probabile illegittimità delle deliberazioni
assunte dalla citata assemblea, sulla base delle seguenti considerazioni: (i)
la “riduzione del capitale ed il suo contestuale aumento, finalizzato al
ripianamento delle perdite risultanti dalla situazione patrimoniale potrebbe
essere una operazione non ammissibile o comunque inutile se posta in essere
durante la fase liquidatoria”; (ii) la fattispecie “potrebbe essere ricondotta
alla figura giurisprudenziale, oramai consolidata e comportante annullamento di
delibera, del c.d. abuso del diritto e/o eccesso di potere della maggioranza”.

Con il ricorso, il liquidatore rappresentava
in particolare che il deliberato aumento di capitale fosse funzionale al
reperimento di nuova liquidità per l’“indispensabile espletamento di ogni fase
prevista dalla legge per la liquidazione del patrimonio sociale”, in ragione
del fatto che “le casse della Società (…) risultavano essere pressoché vuote”.
Egli pertanto chiedeva di ordinare alla Camera di Commercio competente di
procedere all’iscrizione nel Registro delle Imprese dell’integrale contenuto
del verbale della predetta assemblea straordinaria.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 12 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Il lodo irrituale pronunciato secondo equità
emesso a definizione dell’impugnazione della deliberazione assembleare deve
ritenersi affetto da nullità per violazione dell’art. 36 del d.lgs. 5/2003, il
quale, in relazione alla materia, impone una decisione arbitrale resa secondo
diritto e mediante un lodo impugnabile ai sensi dell’art. 829, secondo comma,
c.p.c., ossia di un lodo rituale.

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso da una società a responsabilità limitata e da alcuni soci al fine di sentire
dichiarare inesistente o nullo, ovvero in subordine di vedere annullato, il
lodo irrituale emesso dall’arbitro unico in forza di clausola compromissoria
statutaria, a definizione dell’impugnazione della deliberazione assembleare
promossa dal socio convenuto (titolare di una quota pari al 45% del capitale
sociale).

Nel corso del giudizio, il giudice rilevava
d’ufficio la questione di potenziale nullità della clausola compromissoria
statutaria e del lodo, basato su detta clausola, per contrasto con l’art. 36
del d.lgs. 5/2003, trattandosi di lodo, in materia di validità di deliberazione
assembleare, irrituale e pronunciato secondo equità.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 5 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Gli effetti della clausola compromissoria
statutariamente prevista non possono estendersi oltre le controversie che hanno
ad oggetto diritti disponibili (artt. 34-37 del d.lgs. 17.1.2003, n. 5), ambito
nel quale non rientra pacificamente l’azione tesa all’accertamento della
nullità del bilancio, venendo in rilievo la tutela di interessi generali, che
trascendono la posizione dei soci e vanno ricondotti alla sfera dei terzi i
quali, a vario titolo, entrano in contatto con la società.

La legittimazione ad agire del socio per
l’impugnazione della deliberazione assembleare è riconosciuta laddove la
perdita della qualifica di socio derivi dalla deliberazione impugnata (conf.
Trib. Milano, 27.2.2020; Trib. Torino, 13.7.2017).

Laddove risulti accertato che l’entità delle
perdite effettive supera il dato riportato nel bilancio approvato (oggetto di
impugnazione), il bilancio deve considerarsi non veritiero e pertanto affetto
da nullità.

La nullità della deliberazione di approvazione
del bilancio si riverbera sulla validità della conseguente deliberazione di
adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-ter c.c.: qualora sia
accertato che l’entità delle perdite effettive supera il dato riportato nel
bilancio approvato, i provvedimenti assunti con la deliberazione di riduzione
del capitale e contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo
legale devono ritenersi basati su un presupposto in fatto erroneo e si rivelano
insufficienti al ripristino del capitale minimo di legge, con conseguente
violazione dell’art. 2482-ter c.c. (conf. Trib. Milano, 25.9.2019). Nel
qual caso, trattandosi di norma volta a preservare l’integrità del capitale, a
tutela dell’interesse dei terzi, il vizio rilevato determina la nullità della
deliberazione per illiceità dell’oggetto (conf. Cass. n. 8221/2007).

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso dal socio di minoranza (titolare di una partecipazione pari a un terzo
del capitale sociale) di una società a responsabilità limitata di impugnazione
delle seguenti deliberazioni assembleari: i) deliberazione dell’assemblea
ordinaria di approvazione del bilancio; ii) deliberazione dell’assemblea
straordinaria di adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-
ter c.c. A fondamento delle proprie
domande, l’attore esponeva che le perdite effettive registrate dalla società
sarebbero state significativamente maggiori di quelle risultanti dal bilancio
impugnato.

La società si costituiva in giudizio
eccependo: i) in via pregiudiziale, l’incompetenza del tribunale ordinario alla
luce della clausola compromissoria prevista dallo statuto sociale; ii) in via
preliminare, la carenza di legittimazione attiva del socio, per non avere lo
stesso sottoscritto il versamento di capitale deliberato dall’assemblea
straordinaria, così perdendo la qualifica di socio; iii) nel merito, la
insussistenza dei vizi lamentati dall’attore.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 27 gennaio 2021 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott.ssa Vittoria Gabriele

La
responsabilità solidale delle società derivate da scissione rispetto ai debiti
della società scissa, prevista dall’art. 2506 quater, ultimo comma, cod.
civ., presuppone la prova, da parte del creditore, che i crediti vantati si
siano effettivamente originati in un periodo antecedente all’atto della
scissione.

Principio espresso all’esito del giudizio di appello promosso
dalla società derivata da scissione societaria, la quale impugnava la sentenza
di primo grado che l’aveva condannata al pagamento dei debiti contratti dalla
società scissa, ai sensi dell’art. 2506
quater,
ultimo comma, cod. civ.

(Massima a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza dell’8 gennaio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

Il socio che abbia partecipato, con voto determinante, all’adozione di una deliberazione assembleare poi impugnata da un altro socio è portatore di un interesse ad intervenire in giudizio per appoggiare le ragioni della società al fine di evitare che siano posti nel nulla gli effetti di un atto alla cui formazione egli ha contribuito (e che deve, pertanto, presumersi conforme alle sue scelte), interesse non già di mero fatto, bensì giuridicamente qualificato dalla condizione stessa di socio, il quale, per un verso, è titolare di diritti partecipativi che lo abilitano (nei limiti proporzionali della sua quota) ad influenzare secondo i propri intenti il processo decisionale dell’assemblea, e, per altro verso, è sì vincolato alle deliberazioni da quest’ultima adottate, ma sul presupposto che dette delibere (se prese nel rispetto della legge e dello statuto) vincolino allo stesso modo anche gli altri soci (conf. Cass. n. 4929/2003).

Con riferimento alle società di persone, salvo quanto diversamente previsto dallo statuto, non trova applicazione la disciplina legale in materia di metodo assembleare, tipica delle società di capitali, dovendosi fare riferimento ai principi generali sugli atti negoziali plurilaterali. Al riguardo, l’eventuale censura della decisione dei soci fondata sull’identità del soggetto che ha curato l’invio ai soci degli “avvisi di convocazione” non può trovare accoglimento, trattandosi di comunicazione non prescritta dalla legge.

In tema di impugnazione della decisione di trasformazione della società, il disposto dell’art. 2500-bis c.c. (“eseguita la pubblicità di cui all’art. 2550 c.c., l’invalidità dell’atto di trasformazione non può più essere pronunciata”) osta all’accoglimento di ogni domanda tesa alla dichiarazione di nullità ovvero all’annullamento dell’atto di trasformazione oggetto dell’impugnazione medesima, i cui effetti sono da ritenersi irreversibili una volta che siano stati pacificamente eseguiti gli adempimenti pubblicitari previsti dalla disciplina in materia di trasformazione di società.

In ipotesi di impugnazione della decisione di trasformazione della società fondata sulla mancata condivisione con i soci di minoranza della perizia di stima ex art. 2500-ter c.c., tale impugnazione non può trovare accoglimento non sussistendo alcun obbligo di informazione preventiva in favore dei soci finalizzato all’assunzione della decisione.

In ipotesi di impugnazione della decisione di trasformazione della società fondata sulla pretesa nullità dell’atto di trasformazione per la violazione di norme imperative derivante dalla difformità dei valori della perizia di stima ex art. 2500-ter c.c. rispetto ai valori patrimoniali recepiti in bilancio, la domanda non può trovare accoglimento attesa la manifesta diversità di funzioni e tenuto conto della considerazione per cui si tratta di documenti sottoposti a criteri di redazione distinti.

Il socio che esprime voto favorevole alla propria nomina come amministratore non versa per ciò solo in una situazione di conflitto di interesse con la società rilevante ai fini dell’art. 2373 c.c.

In tema di deliberazioni di nomina (o revoca) dei componenti dell’organo amministrativo, deve rilevarsi che: a) ciascun socio è libero di nominare amministratori di propria fiducia e gradimento, senza che ciò comporti, di regola, il perseguimento di un interesse “personale antitetico a quello sociale”; b) gli amministratori nominati dall’assemblea della società debbono, a loro volta, adempiere il loro mandato nel rispetto di precisi obblighi e responsabilità stabiliti nell’interesse della società amministrata (conf. Trib. Brescia, 9 aprile 2008). Da ciò ne consegue che tali deliberazioni possono ritenersi viziate per abuso della regola di maggioranza solo in casi del tutto particolari (si pensi, esemplarmente, al caso di nomina di un amministratore del tutto privo delle necessarie conoscenze tecniche, ispirata al fine di avvantaggiare una impresa concorrente alla quale è interessato il socio di maggioranza, o di un amministratore in palese e insuperabile conflitto di interesse con la società, sempre al fine di perseguire un interesse extra sociale della maggioranza), essendo la nomina delle persone cui affidare l’amministrazione naturalmente rimessa alla volontà della maggioranza, trattandosi di scelta che poggia tipicamente sull’elemento fiduciario.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso con atto di citazione dai soci di minoranza di una società in accomandita semplice con cui impugnavano le decisioni adottate dai soci di maggioranza di trasformazione della società medesima da s.a.s. in s.r.l. e di nomina ad amministratore unico di uno dei soci della società, con voto unanime dei presenti. Gli attori precisavano di non avere presenziato alle decisioni oggetto di impugnazione e, quanto alle censure poste a fondamento della impugnazione medesima, contestavano:

a) l’invalidità delle decisioni impugnate per “mancanza assoluta di informazione” e vizi di convocazione, lamentando la mancata ricezione dell’avviso di convocazione nel termine di legge e “senza il rispetto dei 10 giorni previsto dallo statuto”, la convocazione da parte di soggetti “privi del potere di convocazione dell’assemblea in quanto soggetti non amministratori” e la mancata condivisione preventiva della perizia di stima ex art. 2500-ter c.c. “nonostante le richieste in tal senso” della minoranza;

b) l’annullabilità delle delibere a causa della sussistenza (i) di un “conflitto di interessi per interesse personale extrasociale ex art. 2373 c.c.” in capo al nuovo amministratore della società e agli altri soci di maggioranza, nonché (ii) dell’abuso posto in essere dalla maggioranza ai danni della minoranza, affermando che l’operazione, inutile e costosa, sarebbe stata ideata ed eseguita al solo fine di esautorare il precedente amministratore della s.a.s. e affidare la gestione della s.r.l. al socio in conflitto di interesse, nominato nuovo amministratore;

c) l’illiceità delle delibere per contrarietà a norme imperative “alla luce dei dati contabili posti alla base dell’assemblea” con cui i soci hanno successivamente approvato il bilancio di esercizio e deliberato la ricapitalizzazione della società, considerata la difformità dei valori di cui alla perizia di stima ex art. 2500-ter c.c. rispetto ai valori patrimoniali recepiti in bilancio, con la conseguenza che “occorrerà verificare a mezzo di c.t.u. se alla data di efficacia della trasformazione esistevano i presupposti di legge (art. 2500-ter c.c.) per procedere con la trasformazione”.

Dichiarata la nullità ovvero pronunciato l’annullamento delle delibere oggetto di impugnazione, gli attori domandavano il risarcimento dei danni conseguenti alle delibere.

La società si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree. Si costituivano in giudizio altresì i soci di maggioranza spiegando intervento adesivo dipendente in favore della società, la cui ammissibilità veniva contestata dagli attori.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza dell’8 gennaio 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In tema di sequestro
conservativo, il requisito del periculum in mora
può essere integrato, in via anche alternativa, sia da elementi oggettivi,
riguardanti la consistenza del patrimonio del debitore sotto il profilo
qualitativo (ad esempio la liquidità dei beni ivi inclusi) e quantitativo, in
rapporto all’entità del credito fatto valere, sia da elementi soggettivi,
connessi al comportamento del debitore, laddove quest’ultimo agisca con
modalità tali da accrescere il ragionevole rischio di depauperamento del
patrimonio ovvero da evidenziare la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento.

I principi sono stati espressi
nel giudizio volto ad ottenere la concessione del sequestro conservativo nei
confronti dei sindaci di una s.p.a. per l’asserita responsabilità concorrente
di costoro in relazione a condotte omissive poste in essere dall’amministratore
unico della predetta società, conseguenti al mancato versamento di imposte e
contributi previdenziali.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 23 dicembre 2020 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Nella società semplice, la mancata deliberazione in sede assembleare dell’esclusione del socio non costituisce circostanza idonea a determinare l’invalidità della decisione stessa (conf. Cass. n. 153/1998), in quanto, in assenza di formale previsione di un organo assembleare nella società semplice, a tal fine risulta idonea la raccolta delle singole manifestazioni di volontà dei soci (non direttamente interessati dal provvedimento) in numero sufficiente a formare la maggioranza richiesta per l’esclusione.

Nell’ipotesi in cui dalle circostanze concrete debba ritenersi che l’obbligazione di conferimento in capo ai soci dovesse essere eseguita mediante la concessione in godimento alla società di determinati beni, laddove detti beni siano concessi dagli stessi soci in affitto ad un terzo, pur essendo tale facoltà legittima ai sensi delle norme generali che regolano i rapporti di comodato (con cui i soci avevano concesso i beni oggetto del conferimento in godimento alla società), tale condotta appare astrattamente idonea ad integrare un’ipotesi di grave inadempienza del socio di cui al primo comma dell’art. 2286 c.c., pertanto suscettibile di fondare la conseguente decisione di esclusione. Infatti, se l’esclusione è consentita anche nei confronti di soci del tutto incolpevoli (salva l’ipotesi di “perimento del bene” per causa imputabile agli amministratori), a maggior ragione pare ammissibile l’esclusione nell’ipotesi in cui il perimento del bene (ovvero l’indisponibilità sopravvenuta del godimento da parte della società) derivi dall’esercizio di una facoltà del socio che, per quanto legittima, si risolva in un pregiudizio alla società, nella misura in cui rende meno agevole per quest’ultima il conseguimento dello scopo sociale (conf. Cass. n. 153/1998).

I principi sono stati espressi nel giudizio cautelare promosso con ricorso dai soci di una società semplice per l’opposizione, ai sensi dell’art. 2287 c.c., alla deliberazione con cui sono stati esclusi dalla società medesima.

Con il ricorso gli attori chiedevano la sospensione degli effetti della deliberazione di esclusione, lamentando: (i) da un lato, l’invalidità della decisione essendo stata assunta dalla maggioranza dei soci in spregio al metodo assembleare; e (ii) dall’altro, l’infondatezza nel merito della decisione, fondata sull’asserita distrazione da parte dei soci esclusi di beni sociali, costituiti da terreni agricoli (concessi in comodato alla società), mediante la loro concessione, da parte degli stessi soci esclusi, in affitto ad un terzo.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 23 dicembre 2020 – s.s., sospensione delibera esclusione soci




Decreto del 24 gennaio 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

Lo strumento previsto dall’art. 2409 c.c. è apprestato dall’ordinamento per una pronta reazione a gravi irregolarità degli organi sociali purché dotate di attuale potenzialità lesiva e, avendo natura cautelare “lato sensu”, non può essere diretto a censurare fatti decisamente remoti (quali i compensi aggiuntivi ai componenti del c.d.a. in misura eccessiva e la mancata distribuzione di utili a favore dei soci) e radicalmente privi di potenzialità lesiva (quale l’accantonamento degli utili).

La censura, relativa alla mancata distribuzione degli utili, risulta palesemente estranea all’alveo delle irregolarità suscettibili di denuncia ex art. 2409 c.c., essendo tale decisione affidata all’assemblea della società e, pertanto, non costituisce “grave irregolarità” degli amministratori, i quali, al più, proponendo le modalità di impiego degli utili, contribuiscono in tale ruolo alla formazione della volontà assembleare.

L’accantonamento degli utili, volti ad incrementare il patrimonio della società (eventualmente in danno del socio, che si vede privato della relativa distribuzione), difetta palesemente della “potenzialità lesiva” tipica dell’art. 2409 c.c., disponendo il socio del rimedio dell’impugnazione della deliberazione per far valere la sua illegittimità (in sostanza, per abuso di potere). Si tratta di un rimedio impugnatorio specifico e diretto a caducare la deliberazione (asseritamente) viziata, idoneo, dunque, a costituire adeguato strumento di tutela (a differenza del ricorso alla denuncia ex art. 2409 c.c.) della propria pretesa.    

Principi espressi rigettando il ricorso ex art. 2409 c.c. volto ad ottenere la censura di vicende sociali relative a gravi irregolarità nella gestione della società risalenti nel tempo (circa 9 anni prima del deposito del ricorso). È stata infatti ritenuta la inammissibilità del ricorso al rimedio di cui all’art 2409 c.c. per il difetto di tempestiva adozione da parte del ricorrente di specifici mezzi di impugnazione idonei a contestare la validità delle delibere assembleari o ad invocare la responsabilità degli amministratori per pretese condotte illecite.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)