Sentenza del 5 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Gli effetti della clausola compromissoria
statutariamente prevista non possono estendersi oltre le controversie che hanno
ad oggetto diritti disponibili (artt. 34-37 del d.lgs. 17.1.2003, n. 5), ambito
nel quale non rientra pacificamente l’azione tesa all’accertamento della
nullità del bilancio, venendo in rilievo la tutela di interessi generali, che
trascendono la posizione dei soci e vanno ricondotti alla sfera dei terzi i
quali, a vario titolo, entrano in contatto con la società.

La legittimazione ad agire del socio per
l’impugnazione della deliberazione assembleare è riconosciuta laddove la
perdita della qualifica di socio derivi dalla deliberazione impugnata (conf.
Trib. Milano, 27.2.2020; Trib. Torino, 13.7.2017).

Laddove risulti accertato che l’entità delle
perdite effettive supera il dato riportato nel bilancio approvato (oggetto di
impugnazione), il bilancio deve considerarsi non veritiero e pertanto affetto
da nullità.

La nullità della deliberazione di approvazione
del bilancio si riverbera sulla validità della conseguente deliberazione di
adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-ter c.c.: qualora sia
accertato che l’entità delle perdite effettive supera il dato riportato nel
bilancio approvato, i provvedimenti assunti con la deliberazione di riduzione
del capitale e contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo
legale devono ritenersi basati su un presupposto in fatto erroneo e si rivelano
insufficienti al ripristino del capitale minimo di legge, con conseguente
violazione dell’art. 2482-ter c.c. (conf. Trib. Milano, 25.9.2019). Nel
qual caso, trattandosi di norma volta a preservare l’integrità del capitale, a
tutela dell’interesse dei terzi, il vizio rilevato determina la nullità della
deliberazione per illiceità dell’oggetto (conf. Cass. n. 8221/2007).

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso dal socio di minoranza (titolare di una partecipazione pari a un terzo
del capitale sociale) di una società a responsabilità limitata di impugnazione
delle seguenti deliberazioni assembleari: i) deliberazione dell’assemblea
ordinaria di approvazione del bilancio; ii) deliberazione dell’assemblea
straordinaria di adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-
ter c.c. A fondamento delle proprie
domande, l’attore esponeva che le perdite effettive registrate dalla società
sarebbero state significativamente maggiori di quelle risultanti dal bilancio
impugnato.

La società si costituiva in giudizio
eccependo: i) in via pregiudiziale, l’incompetenza del tribunale ordinario alla
luce della clausola compromissoria prevista dallo statuto sociale; ii) in via
preliminare, la carenza di legittimazione attiva del socio, per non avere lo
stesso sottoscritto il versamento di capitale deliberato dall’assemblea
straordinaria, così perdendo la qualifica di socio; iii) nel merito, la
insussistenza dei vizi lamentati dall’attore.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 27 gennaio 2021 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott.ssa Vittoria Gabriele

La
responsabilità solidale delle società derivate da scissione rispetto ai debiti
della società scissa, prevista dall’art. 2506 quater, ultimo comma, cod.
civ., presuppone la prova, da parte del creditore, che i crediti vantati si
siano effettivamente originati in un periodo antecedente all’atto della
scissione.

Principio espresso all’esito del giudizio di appello promosso
dalla società derivata da scissione societaria, la quale impugnava la sentenza
di primo grado che l’aveva condannata al pagamento dei debiti contratti dalla
società scissa, ai sensi dell’art. 2506
quater,
ultimo comma, cod. civ.

(Massima a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza dell’8 gennaio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

Il socio che abbia partecipato, con voto determinante, all’adozione di una deliberazione assembleare poi impugnata da un altro socio è portatore di un interesse ad intervenire in giudizio per appoggiare le ragioni della società al fine di evitare che siano posti nel nulla gli effetti di un atto alla cui formazione egli ha contribuito (e che deve, pertanto, presumersi conforme alle sue scelte), interesse non già di mero fatto, bensì giuridicamente qualificato dalla condizione stessa di socio, il quale, per un verso, è titolare di diritti partecipativi che lo abilitano (nei limiti proporzionali della sua quota) ad influenzare secondo i propri intenti il processo decisionale dell’assemblea, e, per altro verso, è sì vincolato alle deliberazioni da quest’ultima adottate, ma sul presupposto che dette delibere (se prese nel rispetto della legge e dello statuto) vincolino allo stesso modo anche gli altri soci (conf. Cass. n. 4929/2003).

Con riferimento alle società di persone, salvo quanto diversamente previsto dallo statuto, non trova applicazione la disciplina legale in materia di metodo assembleare, tipica delle società di capitali, dovendosi fare riferimento ai principi generali sugli atti negoziali plurilaterali. Al riguardo, l’eventuale censura della decisione dei soci fondata sull’identità del soggetto che ha curato l’invio ai soci degli “avvisi di convocazione” non può trovare accoglimento, trattandosi di comunicazione non prescritta dalla legge.

In tema di impugnazione della decisione di trasformazione della società, il disposto dell’art. 2500-bis c.c. (“eseguita la pubblicità di cui all’art. 2550 c.c., l’invalidità dell’atto di trasformazione non può più essere pronunciata”) osta all’accoglimento di ogni domanda tesa alla dichiarazione di nullità ovvero all’annullamento dell’atto di trasformazione oggetto dell’impugnazione medesima, i cui effetti sono da ritenersi irreversibili una volta che siano stati pacificamente eseguiti gli adempimenti pubblicitari previsti dalla disciplina in materia di trasformazione di società.

In ipotesi di impugnazione della decisione di trasformazione della società fondata sulla mancata condivisione con i soci di minoranza della perizia di stima ex art. 2500-ter c.c., tale impugnazione non può trovare accoglimento non sussistendo alcun obbligo di informazione preventiva in favore dei soci finalizzato all’assunzione della decisione.

In ipotesi di impugnazione della decisione di trasformazione della società fondata sulla pretesa nullità dell’atto di trasformazione per la violazione di norme imperative derivante dalla difformità dei valori della perizia di stima ex art. 2500-ter c.c. rispetto ai valori patrimoniali recepiti in bilancio, la domanda non può trovare accoglimento attesa la manifesta diversità di funzioni e tenuto conto della considerazione per cui si tratta di documenti sottoposti a criteri di redazione distinti.

Il socio che esprime voto favorevole alla propria nomina come amministratore non versa per ciò solo in una situazione di conflitto di interesse con la società rilevante ai fini dell’art. 2373 c.c.

In tema di deliberazioni di nomina (o revoca) dei componenti dell’organo amministrativo, deve rilevarsi che: a) ciascun socio è libero di nominare amministratori di propria fiducia e gradimento, senza che ciò comporti, di regola, il perseguimento di un interesse “personale antitetico a quello sociale”; b) gli amministratori nominati dall’assemblea della società debbono, a loro volta, adempiere il loro mandato nel rispetto di precisi obblighi e responsabilità stabiliti nell’interesse della società amministrata (conf. Trib. Brescia, 9 aprile 2008). Da ciò ne consegue che tali deliberazioni possono ritenersi viziate per abuso della regola di maggioranza solo in casi del tutto particolari (si pensi, esemplarmente, al caso di nomina di un amministratore del tutto privo delle necessarie conoscenze tecniche, ispirata al fine di avvantaggiare una impresa concorrente alla quale è interessato il socio di maggioranza, o di un amministratore in palese e insuperabile conflitto di interesse con la società, sempre al fine di perseguire un interesse extra sociale della maggioranza), essendo la nomina delle persone cui affidare l’amministrazione naturalmente rimessa alla volontà della maggioranza, trattandosi di scelta che poggia tipicamente sull’elemento fiduciario.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso con atto di citazione dai soci di minoranza di una società in accomandita semplice con cui impugnavano le decisioni adottate dai soci di maggioranza di trasformazione della società medesima da s.a.s. in s.r.l. e di nomina ad amministratore unico di uno dei soci della società, con voto unanime dei presenti. Gli attori precisavano di non avere presenziato alle decisioni oggetto di impugnazione e, quanto alle censure poste a fondamento della impugnazione medesima, contestavano:

a) l’invalidità delle decisioni impugnate per “mancanza assoluta di informazione” e vizi di convocazione, lamentando la mancata ricezione dell’avviso di convocazione nel termine di legge e “senza il rispetto dei 10 giorni previsto dallo statuto”, la convocazione da parte di soggetti “privi del potere di convocazione dell’assemblea in quanto soggetti non amministratori” e la mancata condivisione preventiva della perizia di stima ex art. 2500-ter c.c. “nonostante le richieste in tal senso” della minoranza;

b) l’annullabilità delle delibere a causa della sussistenza (i) di un “conflitto di interessi per interesse personale extrasociale ex art. 2373 c.c.” in capo al nuovo amministratore della società e agli altri soci di maggioranza, nonché (ii) dell’abuso posto in essere dalla maggioranza ai danni della minoranza, affermando che l’operazione, inutile e costosa, sarebbe stata ideata ed eseguita al solo fine di esautorare il precedente amministratore della s.a.s. e affidare la gestione della s.r.l. al socio in conflitto di interesse, nominato nuovo amministratore;

c) l’illiceità delle delibere per contrarietà a norme imperative “alla luce dei dati contabili posti alla base dell’assemblea” con cui i soci hanno successivamente approvato il bilancio di esercizio e deliberato la ricapitalizzazione della società, considerata la difformità dei valori di cui alla perizia di stima ex art. 2500-ter c.c. rispetto ai valori patrimoniali recepiti in bilancio, con la conseguenza che “occorrerà verificare a mezzo di c.t.u. se alla data di efficacia della trasformazione esistevano i presupposti di legge (art. 2500-ter c.c.) per procedere con la trasformazione”.

Dichiarata la nullità ovvero pronunciato l’annullamento delle delibere oggetto di impugnazione, gli attori domandavano il risarcimento dei danni conseguenti alle delibere.

La società si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree. Si costituivano in giudizio altresì i soci di maggioranza spiegando intervento adesivo dipendente in favore della società, la cui ammissibilità veniva contestata dagli attori.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza dell’8 gennaio 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In tema di sequestro
conservativo, il requisito del periculum in mora
può essere integrato, in via anche alternativa, sia da elementi oggettivi,
riguardanti la consistenza del patrimonio del debitore sotto il profilo
qualitativo (ad esempio la liquidità dei beni ivi inclusi) e quantitativo, in
rapporto all’entità del credito fatto valere, sia da elementi soggettivi,
connessi al comportamento del debitore, laddove quest’ultimo agisca con
modalità tali da accrescere il ragionevole rischio di depauperamento del
patrimonio ovvero da evidenziare la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento.

I principi sono stati espressi
nel giudizio volto ad ottenere la concessione del sequestro conservativo nei
confronti dei sindaci di una s.p.a. per l’asserita responsabilità concorrente
di costoro in relazione a condotte omissive poste in essere dall’amministratore
unico della predetta società, conseguenti al mancato versamento di imposte e
contributi previdenziali.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 23 dicembre 2020 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

Nella società semplice, la mancata deliberazione in sede assembleare dell’esclusione del socio non costituisce circostanza idonea a determinare l’invalidità della decisione stessa (conf. Cass. n. 153/1998), in quanto, in assenza di formale previsione di un organo assembleare nella società semplice, a tal fine risulta idonea la raccolta delle singole manifestazioni di volontà dei soci (non direttamente interessati dal provvedimento) in numero sufficiente a formare la maggioranza richiesta per l’esclusione.

Nell’ipotesi in cui dalle circostanze concrete debba ritenersi che l’obbligazione di conferimento in capo ai soci dovesse essere eseguita mediante la concessione in godimento alla società di determinati beni, laddove detti beni siano concessi dagli stessi soci in affitto ad un terzo, pur essendo tale facoltà legittima ai sensi delle norme generali che regolano i rapporti di comodato (con cui i soci avevano concesso i beni oggetto del conferimento in godimento alla società), tale condotta appare astrattamente idonea ad integrare un’ipotesi di grave inadempienza del socio di cui al primo comma dell’art. 2286 c.c., pertanto suscettibile di fondare la conseguente decisione di esclusione. Infatti, se l’esclusione è consentita anche nei confronti di soci del tutto incolpevoli (salva l’ipotesi di “perimento del bene” per causa imputabile agli amministratori), a maggior ragione pare ammissibile l’esclusione nell’ipotesi in cui il perimento del bene (ovvero l’indisponibilità sopravvenuta del godimento da parte della società) derivi dall’esercizio di una facoltà del socio che, per quanto legittima, si risolva in un pregiudizio alla società, nella misura in cui rende meno agevole per quest’ultima il conseguimento dello scopo sociale (conf. Cass. n. 153/1998).

I principi sono stati espressi nel giudizio cautelare promosso con ricorso dai soci di una società semplice per l’opposizione, ai sensi dell’art. 2287 c.c., alla deliberazione con cui sono stati esclusi dalla società medesima.

Con il ricorso gli attori chiedevano la sospensione degli effetti della deliberazione di esclusione, lamentando: (i) da un lato, l’invalidità della decisione essendo stata assunta dalla maggioranza dei soci in spregio al metodo assembleare; e (ii) dall’altro, l’infondatezza nel merito della decisione, fondata sull’asserita distrazione da parte dei soci esclusi di beni sociali, costituiti da terreni agricoli (concessi in comodato alla società), mediante la loro concessione, da parte degli stessi soci esclusi, in affitto ad un terzo.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 23 dicembre 2020 – s.s., sospensione delibera esclusione soci




Decreto del 24 gennaio 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

Lo strumento previsto dall’art. 2409 c.c. è apprestato dall’ordinamento per una pronta reazione a gravi irregolarità degli organi sociali purché dotate di attuale potenzialità lesiva e, avendo natura cautelare “lato sensu”, non può essere diretto a censurare fatti decisamente remoti (quali i compensi aggiuntivi ai componenti del c.d.a. in misura eccessiva e la mancata distribuzione di utili a favore dei soci) e radicalmente privi di potenzialità lesiva (quale l’accantonamento degli utili).

La censura, relativa alla mancata distribuzione degli utili, risulta palesemente estranea all’alveo delle irregolarità suscettibili di denuncia ex art. 2409 c.c., essendo tale decisione affidata all’assemblea della società e, pertanto, non costituisce “grave irregolarità” degli amministratori, i quali, al più, proponendo le modalità di impiego degli utili, contribuiscono in tale ruolo alla formazione della volontà assembleare.

L’accantonamento degli utili, volti ad incrementare il patrimonio della società (eventualmente in danno del socio, che si vede privato della relativa distribuzione), difetta palesemente della “potenzialità lesiva” tipica dell’art. 2409 c.c., disponendo il socio del rimedio dell’impugnazione della deliberazione per far valere la sua illegittimità (in sostanza, per abuso di potere). Si tratta di un rimedio impugnatorio specifico e diretto a caducare la deliberazione (asseritamente) viziata, idoneo, dunque, a costituire adeguato strumento di tutela (a differenza del ricorso alla denuncia ex art. 2409 c.c.) della propria pretesa.    

Principi espressi rigettando il ricorso ex art. 2409 c.c. volto ad ottenere la censura di vicende sociali relative a gravi irregolarità nella gestione della società risalenti nel tempo (circa 9 anni prima del deposito del ricorso). È stata infatti ritenuta la inammissibilità del ricorso al rimedio di cui all’art 2409 c.c. per il difetto di tempestiva adozione da parte del ricorrente di specifici mezzi di impugnazione idonei a contestare la validità delle delibere assembleari o ad invocare la responsabilità degli amministratori per pretese condotte illecite.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza dell’11 dicembre 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

Il mantenimento dei valori delle immobilizzazioni al “costo storico”, pur in presenza di una perizia che attribuisce “valori attuali” di importo superiore, non può essere, almeno di regola, censurato, nella misura in cui risulta coerente con il principio generale di prudenza (art. 2423-bis c.c.) che governa la redazione del bilancio.

La perizia ex art. 2500-ter c.c. ed il bilancio di esercizio hanno manifesta diversità di funzioni: pertanto, il divario tra i valori contabili degli immobili e quelli di cui alla perizia, potendosi ritenere fisiologico e giustificabile, nell’ottica della prudenza, non implica necessariamente una violazione del principio di continuità nei criteri di valutazione, poiché detta violazione deve essere riscontrata attraverso l’esame del caso concreto.

La domanda di annullamento della delibera sociale per abuso della maggioranza, fondata sul presupposto delle perdite fittizie, è priva di fondamento, laddove nel caso concreto dette perdite non vengano riscontrate e venga constatato il perseguimento di un effettivo interesse sociale.

La decisione è stata resa in occasione dell’impugnazione delle delibere sociali di approvazione del bilancio e di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale, delle quali i soci di minoranza chiedevano l’annullamento per due motivi: da un lato, per illiceità dell’oggetto (violazione del principio di continuità dei criteri di valutazione contabile nonché di quelli di verità, chiarezza e correttezza del bilancio), rilevando il divario tra i valori contabili degli immobili indicati nel bilancio d’esercizio e quelli di cui alla perizia di stima ex art. 2500-ter c.c. effettuata in sede di precedente trasformazione della società da società in accomandita semplice a società a responsabilità limitata; dall’altro, per abuso della maggioranza, per aver rilevato perdite fittizie e ricostituito il capitale nell’auspicio che i soci di minoranza non fossero in grado di sottoscrivere il nuovo capitale.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 26 novembre 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

La eventuale determinazione di un sovrapprezzo in sede di delibera assembleare di aumento del capitale rileva ai fini della potenziale lesione dell’interesse individuale di un socio, dato dal fatto di avere pagato un corrispettivo “eccessivo” rispetto al valore reale del complesso di azioni sottoscritte; non incide, però, su interessi generali tali da evocare la sanzione della nullità.

Essa rappresenta infatti un’ipotesi diversa dalla delibera di approvazione del bilancio, rispetto alla quale l’eventuale violazione dei criteri di valutazione previsti dall’art. 2426 c.c. potrebbe astrattamente rilevare sotto il profilo della nullità, investendo interessi di portata generale (i.e. l’affidamento dei terzi sulla veridicità delle poste di bilancio).

La funzione del sovrapprezzo nell’ambito degli aumenti di capitale è quella di adeguare il prezzo di emissione delle nuove azioni alla consistenza patrimoniale della società, rappresentando la differenza tra tale prezzo e il valore nominale dell’azione, precisandosi che la previsione di un sovrapprezzo è di regola eventuale, salva l’ipotesi di cui all’art. 2441, comma 6, c.c. Il processo di determinazione del sovrapprezzo è normalmente ancorato alla valutazione effettiva del patrimonio netto della società, a valori correnti di mercato, anche nelle ipotesi in cui l’applicazione di tale criterio porti a valori non pienamente coerenti con le risultanze contabili, discendenti da un regime normativo autonomo.

La fissazione, in sede di aumento di capitale, di un prezzo di emissione delle nuove azioni, che assume ipoteticamente un valore patrimoniale della società maggiore di quello reale, si risolve a beneficio di creditori e terzi, nella misura in cui comporta una maggiore patrimonializzazione della società, con un corrispondente incremento della riserva da sovrapprezzo delle azioni.

I principi sono stati espressi nel corso di un procedimento finalizzato a dichiarare la nullità di una delibera assembleare di aumento di capitale per violazione delle norme in materia di bilancio ed in particolare dell’art. 2426 c.c., in ragione della sopravvalutazione del principale bene all’attivo della società, la quale aveva conseguentemente determinato la sopravvalutazione del sovrapprezzo deliberato dall’assemblea nell’ambito della ricapitalizzazione della società.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Ordinanza del 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Nonostante l’art. 2378 c.c. consenta alla parte di depositare un atto di citazione contenente al proprio interno l’istanza cautelare, ovvero di depositare un ricorso unitamente all’atto di citazione, anche in copia; e nonostante sia generalmente ammessa la possibilità che il ricorso cautelare sia depositato successivamente all’introduzione della causa di merito, è essenziale che il fascicolo di causa contenga tanto l’atto di citazione (eventualmente in copia) quanto il ricorso, affinché il giudice designato per la trattazione della causa di merito possa disporre di tutti gli elementi informativi utili alla valutazione della domanda cautelare.

Decisione resa a seguito della presentazione di un atto di citazione recante l’intestazione “ricorso ex art. 700 c.p.c.” pur in concreto avendo tutti i requisiti dell’atto di citazione per impugnare le deliberazioni assembleari di cui all’art. 2378 c.c.: rileva nel senso dell’inammissibilità della domanda la circostanza che nel ricorso la parte si sia limitata a preannunciare l’intenzione di avviare il giudizio di merito, anticipando le relative conclusioni ma omettendo di produrre copia dell’atto di citazione.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)