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Tribunale di Brescia, ordinanza del 14 ottobre 2023 – società a responsabilità limitata, azione di responsabilità, legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di responsabilità, impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi

Nella disciplina relativa alle s.r.l. non è prevista una norma analoga all’art. 2393, co. 2, c.c. il quale, in materia di s.p.a., prevede che la deliberazione inerente alla promozione dell’azione di responsabilità possa essere adottata – anche nell’eventualità in cui non sia indicata nell’elenco delle materie da trattare – in occasione della discussione del bilancio, sempre che si tratti di fatti di competenza dell’esercizio cui lo stesso bilancio si riferisce. La disposizione introduce, infatti, una deroga al principio generale della necessaria preventiva informazione circa l’oggetto delle delibere assembleari, avente quale ratio quella di consentire all’assemblea di adottare le opportune misure a tutela degli interessi della società, laddove dalla discussione del bilancio emergano inadempienze o responsabilità dell’organo di amministrazione, senza dover attendere i tempi di una ulteriore assemblea. Il legislatore, relativamente alle s.r.l., nemmeno prevede una disposizione analoga all’art. 2393, co. 5, c.c. il quale dispone che alla deliberazione dell’azione di responsabilità – adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale – consegue la revoca dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta i quali vengono, quindi, sostituiti dall’assemblea. La revoca automatica dall’ufficio degli amministratori, con contestuale sostituzione dell’organo a seguito dell’esperimento dell’azione di responsabilità, in forza di delibera adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, integra, infatti, una norma ulteriormente eccezionale, la cui estendibilità alle s.r.l. non pare giustificata da alcun vuoto normativo né da valutazioni di coerenza con l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2476 c.c.

Con riferimento alle s.r.l. la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità avverso gli amministratori è espressamente riconosciuta dall’art. 2476, co. 3, c.c. a ciascun socio, indipendentemente dalla misura della sua partecipazione sociale; tuttavia, non vi è un’esplicita disciplina inerente la legittimazione attiva della società, per quanto la stessa sia oramai unanimemente riconosciuta, sulla base del disposto dell’art. 2476 c.c., co. 5, il quale sancisce il potere della società di rinunciare o transigere l’azione. Conseguentemente a questo vuoto normativo, non è oggetto di regolamentazione nemmeno il concreto processo di formazione della volontà sociale in ordine all’esercizio dell’azione. 

La disciplina delle s.r.l. non stabilisce un divieto di voto per gli amministratori relativamente alle delibere inerenti alle loro responsabilità, diversamente da quanto accade per gli amministratori delle s.p.a. Viene unicamente prevista ex art. 2479-ter, co. 2, c.c., l’impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi ove suscettibile di arrecare danno all’ente.

Princìpi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare ex artt. 818, co. 2, e 838-ter, co. 4, c.p.c. promosso, nell’attesa della costituzione dell’arbitro, dall’amministratrice unica di una società a responsabilità limitata e volto ad ottenere la sospensione, in via d’urgenza, di una delibera assembleare che l’ha revocata dal suo ufficio adducendo la violazione delle maggioranze statutarie e l’assenza di indicazione dell’argomento all’ordine del giorno. 

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 3 ottobre 2023, n. 2466 – s.r.l., amministratore società, determinazione del compenso, responsabilità amministratore, mala gestio, condotte distrattive, inadempimento dell’amministratore e perdita del diritto al compenso

Il verbale di assemblea ordinaria di una società di capitali (che nel caso di specie ha determinato il compenso dell’amministratore) non rogato da notaio ha comunque efficacia probatoria poiché documenta quanto avvenuto in sede di assemblea (data in cui si è tenuta, identità dei partecipanti, capitale da ciascuno rappresentato, modalità e risultato delle votazioni, eventuali dichiarazioni dei soci) in funzione del controllo delle attività svolte anche da parte dei soci assenti e dissenzienti; non trattandosi però di atto dotato di fede privilegiata, i soci possono far valere eventuali sue difformità rispetto alla realtà effettuale con qualsiasi mezzo di prova; tuttavia, se i soci non assolvano a detto onere probatorio su di essi incombente, non possono mettere in discussione quanto documentato dal verbale (cfr. Cass. n. 33233/2019).

Qualora si contesti la veridicità di fatti e dichiarazioni che nel verbale di delibera assembleare ordinaria (non rogato da notaio) si attestino avvenuti, non deve essere proposta querela di falso, non trattandosi di atto dotato di fede privilegiata e potendo il documento essere contestato con libertà di mezzi.

La delibera di revoca di una precedente deliberazione, da un lato, implica e postula l’esistenza e l’efficacia dell’atto revocato, d’altro lato, che tale provvedimento non può spiegare effetti che per il futuro.

La delibera assembleare di riduzione del compenso annuo di un liquidatore di società di capitali, in assenza di accettazione da parte del liquidatore stesso, non può operare retroattivamente con riferimento a periodi antecedenti la data della decisione dei soci, non potendo incidere negativamente su diritti già acquisiti medio tempore dal liquidatore (cfr. Trib. Roma 16 aprile 2021).

Avendo la responsabilità dell’amministratore verso la società natura contrattuale, a fronte di somme o beni fuoriusciti dall’attivo della società (siano essi utili, compensi erogati, strumenti di lavoro, beni aziendali in genere), quest’ultima, nell’agire per il risarcimento del danno, può limitarsi ad allegare l’inadempimento, consistente nella distrazione di dette risorse, mentre compete all’amministratore la prova del corretto adempimento e dunque della destinazione del patrimonio all’estinzione di debiti sociali oppure allo svolgimento dell’attività sociale (cfr. Cass. n. 12567/2021).

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che su tali importi vengano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto e decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione essendo calcolati sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata (cfr. Cass. n. 4791/2007).

In tema di compenso spettante all’amministratore di società a responsabilità limitata, la società può far valere quale eccezione riconvenzionale, ai sensi degli artt. 1218 e 1460 c.c., l’inadempimento o l’inesatto adempimento degli obblighi assunti dall’amministratore in osservanza dei doveri imposti dalla legge o dall’atto costituivo, la cui violazione integra la responsabilità ex art. 2476, comma 1, c.c., venendo in rilievo non il rapporto di immedesimazione organica, bensì il nesso sinallagmatico di tipo contrattuale tra adempimento dei doveri e diritto al compenso (cfr. Cass. n. 29252/2021 e Cass. n. 40880/2021).

Nei contratti a prestazioni corrispettive, l’eccezione “inadimplenti non est adimplendum” è soggetta al principio di buona fede e correttezza sancito dall’art. 1375 c.c., in senso oggettivo, che impone di verificare se la condotta della parte inadempiente, avuto riguardo all’incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto, abbia influito sull’equilibrio sinallagmatico dello stesso, in rapporto all’interesse perseguito dalla parte, e perciò abbia legittimato, causalmente e proporzionalmente, la sospensione dell’adempimento dell’altra parte, l’eccezione in parola può, in concreto, essere ritenuta idonea a paralizzare il diritto al compenso dell’amministratore solo ove fondatamente basata su fatti collegati al periodo di carica (cfr. App. Milano n. 25.5.2021 e Trib. Milano 23.9.2020).

I princìpi sono stati espressi nel parziale accoglimento di una domanda promossa nei confronti dell’amministratore unico a seguito di numerosi atti di mala gestio, volta ad ottenerne la condanna al risarcimento dei danni cagionati alla società.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 25 settembre 2023 – società in nome collettivo, amministrazione disgiuntiva, diritto di opposizione ex art. 2257 comma 2 c.c. 

Il sistema di amministrazione delle società in nome collettivo, salvo diversa pattuizione, è quello disgiuntivo, conformemente al disposto dell’art. 2257 c.c., secondo cui “l’amministrazione della società spetta a ciascuno dei soci disgiuntamente dagli altri”; conseguentemente ciascun socio può, di propria iniziativa, legittimamente compiere tutti gli atti di gestione anche nell’interesse degli altri soci e senza il loro necessario preventivo consenso o parere.  Più nello specifico, in base a quanto previsto dal citato art. 2257 c.c., i caratteri distintivi del modello di amministrazione disgiuntiva sono: i) l’autonomo potere di ciascun socio amministratore di porre in essere i negozi giuridici attuativi dell’oggetto sociale anche disgiuntamente dagli altri soci; ii) il diritto, in capo a questi ultimi, di opporsi all’iniziativa del socio agente prima che l’atto sia compiuto; iii) il deferimento della decisione su tale opposizione alla collettività dei soci che decide a maggioranza.

L’art. 2257, 2° co., c.c. prevede che il diritto di opposizione debba essere esercitato -in modo specifico e non generico – prima che l’operazione contestata sia compiuta,  il che risponde perfettamente alla ratio del modello gestorio dell’amministrazione disgiuntiva, che accorda prevalenza alle necessità di semplicità, tempestività ed efficienza della gestione dell’impresa sociale, esigenze che vengono anteposte alla ponderazione che conseguirebbe dalla necessaria condivisione delle decisioni.

Qualora un socio e amministratore di una s.n.c. in regime di amministrazione disgiuntiva abbia ottenuto, in nome e per conto di questa, un decreto ingiuntivo per il pagamento di un credito dalla stessa vantato nei confronti di una società correlata, la successiva comunicazione di costui di volersi costituire nel giudizio di opposizione promosso dall’ingiunta non costituisce una autonoma “operazione” suscettibile di veto da parte degli altri soci amministratori, posto che con la richiesta e la notifica del decreto ingiuntivo l’operazione volta al recupero del credito vantato dalla società partecipata deve ritenersi compiuta, non essendo più possibile impedirne la realizzazione.

Per contro, la decisione assunta a maggioranza dei soci amministratori di una società in nome collettivo di non costituirsi – in pendenza del relativo termine – nella causa di opposizione al decreto ingiuntivo precedentemente richiesto ed ottenuto da uno di essi, non avendo ancora esaurito i propri effetti, è suscettibile di opposizione e va, in concreto, ritenuta intrinsecamente incompatibile con l’interesse della società la cui tutela richiede, pur sempre, una diligente e consapevole assunzione della difesa in giudizio (a prescindere dalla scelta di merito di coltivare o meno ed in quali termini il recupero effettivo del credito oggetto del procedimento monitorio).      

Princìpi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c. promosso da un socio amministratore di una società in nome collettivo volto a richiedere la sospensione, in via d’urgenza, della decisione con la quale era stato deliberato l’accoglimento, a maggioranza, dell’opposizione ex art. 2257, secondo comma, c.c. alla costituzione della società nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo dalla stessa ottenuto nei confronti di una società correlata. Più precisamente, con la decisione de quo la maggioranza dei soci aveva statuito che la società non dovesse costituirsi nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto nel suo interesse dal ricorrente del procedimento cautelare, il quale, di contro, aveva palesato la propria intenzione, poi opposta, di volervi procedere. 

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 25 settembre 2023 – s.n.c., amministrazione disgiuntiva, diritto di opposizione ex art. 2257 2° co. c.c.




Tribunale di Brescia, sentenza del 6 settembre 2023, n. 2229 – compravendita di diamanti con finalità di “investimento”, intermediazione di una banca, affidamento, responsabilità da contatto sociale, responsabilità contrattuale, pratica commerciale scorretta, risarcimento del danno, debito di valore

Il contatto sociale qualificato è fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi art. 1174 c.c., bensì obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, ai sensi degli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c.; esso opera anche nella materia contrattuale, prescrivendo un autonomo obbligo di condotta che si aggiunge e concorre con l’adempimento dell’obbligazione principale, in quanto diretto alla protezione di interessi ulteriori della parte contraente, estranei all’oggetto della prestazione contrattuale, ma comunque coinvolti dalla realizzazione del risultato negoziale programmato (cfr. Cass. n. 24071/2017).  

Il contatto sociale qualificato rientra tra gli atti o fatti idonei a produrre obbligazioni in conformità dell’ordinamento giuridico a norma dell’art. 1173 c.c. e in virtù del principio di atipicità delle fonti delle obbligazioni ivi consacrato, anche la violazione di obbligazioni specifiche che trovano la loro fonte non in un contratto ma – ex lege – nel contatto sociale qualificato, determina una responsabilità di tipo contrattuale.

La teoria del contatto sociale qualificato viene in rilievo ogni qualvolta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere un determinato comportamento, idoneo a tutelare l’affidamento riposto da altri soggetti sul corretto espletamento da parte sua di preesistenti, specifici doveri di protezione che egli abbia volontariamente assunto, pur in assenza d’un vincolo negoziale tra danneggiante e danneggiato, in quanto la natura qualificata dell’attività professionale svolta dal primo, sottoposta a specifici requisiti formali e abilitativi, fonda nel secondo il legittimo affidamento circa il rispetto delle regole di condotta che informano la suddetta attività, comportando l’assunzione in capo all’operatore di uno specifico obbligo di protezione e vigilanza, onde evitare che l’utente subisca nell’ambito di tale rapporto un danno (cfr. Cass. S.U. n. 12477/2018).

Pur compiendo un’attività giuridica in senso stretto – e non formalmente negoziale – l’operatore qualificato è tenuto all’obbligo di comportarsi in buona fede, in virtù della clausola generale di correttezza di cui all’art. 1175 c.c. (circa l’estensione della regola della buona fede in senso oggettivo a tutte le fonti delle obbligazioni ex art. 1173 c.c., ivi compreso l’atto giuridico non negoziale, cfr. Cass. n. 5140/2005), estrinsecantesi, in specie, nell’obbligo di una corretta informazione, tra cui la comunicazione di tutte le circostanze a lui note o conoscibili sulla base della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2, c.c..

In tema di contatto sociale qualificato vige il regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c., sicché, mentre l’attore deve provare che il danno si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sul convenuto incombe l’onere di dimostrare che l’evento dannoso è stato determinato da causa a sé non imputabile.

Ruolo e obblighi degli istituti di credito nella commercializzazione dei diamanti sono stati riconosciuti anche dalla Banca d’Italia che, in data 14 marzo 2018, ha emesso un comunicato con cui ha raccomandato che a fronte di tale attività, «le banche, oltre a considerare le caratteristiche finanziarie dei clienti cui è rivolta la proposta di acquisto, devono assicurare adeguate verifiche sulla congruità dei prezzi e predisporre procedure volte a garantire la massima trasparenza informativa sulle caratteristiche delle operazioni segnalate, quali le commissioni applicate, l’effettivo valore commerciale e la possibilità di rivendita delle pietre stesse». Tale raccomandazione indica regole di condotta che sono espressione di principi generali (ricavabili, come visto, dagli artt. 1173, 1175 e 1375 c.c.) applicabili anche ai contratto di acquisto di diamanti sottoscritti prima della data di adozione di tale comunicazione.

Il rapporto fiduciario esistente tra cliente e referente bancario nonché il generale credito riposto nella serietà e credibilità della banca sono elementi che possono risultare determinanti nella decisione finale di acquisto dei diamanti, avendo – del tutto verosimilmente – generato un legittimo affidamento circa la correttezza delle informazioni fornite: il coinvolgimento e la conseguente responsabilità della banca per i danni che da tale acquisto siano derivati non appaiono, pertanto, seriamente dubitabili. Invero, la banca intermediaria ha permesso di fatto la realizzazione della pratica commerciale scorretta (ossia la vendita di diamanti grezzi ad un prezzo doppio rispetto al loro valore reale, prospettando irrealistiche quotazioni di mercato che, in realtà, non erano altro che pubblicità a pagamento della stessa controparte venditrice dei diamanti, pubblicate su giornali nazionali), mettendo a disposizione la propria sede, promuovendo l’offerta ai consumatori e provvedendo a tutti i successivi adempimenti finalizzati all’acquisto.

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che su tale somma vadano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto: secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Cass. S.U. n. 1712/1995), tali interessi decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata (Cass. n. 4791/2007).

I principi sono stati espressi nell’accoglimento di una domanda di risarcimento proposta da un cliente nei confronti della propria banca a seguito dell’acquisto di diamanti (descritti come “bene rifugio” e l’investimento come “redditizio e sicuro”, della “durata di sette anni, con facile possibilità di rivendere i preziosi alla scadenza” e con “rendimento nell’ordine del 6-7% lordi”) da una nota società, poi fallita. In tal particolare il Tribunale ha affermato che detta fattispecie configuri un’ipotesi di responsabilità della banca intermediaria da contatto sociale qualificato. Infatti in quanto l’attività bancaria si caratterizza per la peculiare professionalità dei soggetti che vi operano, che si riflette necessariamente su tutte le attività svolte nell’esercizio dell’impresa bancaria e, quindi, sui rapporti che in quelle attività sono radicati, per la cui corretta attuazione gli operatori bancari dispongono di strumenti e di competenze che normalmente gli altri soggetti non hanno. Da ciò discende, per un verso, l’affidamento di tutti gli interessati nel puntuale espletamento dei compiti inerenti al servizio bancario, per altro verso, la specifica responsabilità in cui il banchiere incorre nei confronti di coloro che con lui entrano in contatto per avvalersi di quel servizio, ove, viceversa, non osservi le regole prescritte dalla legge.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 31 agosto 2023 – s.s., esclusione del socio, reclamo




Tribunale di Brescia, ordinanza del 22 luglio 2023 – s.s., esclusione del socio




Corte di Appello di Brescia, sentenza del 20 luglio 2023, n. 1241 – credito ai consumatori, mediazione obbligatoria, TAEG, piano di ammortamento c.d. “alla francese”, anatocismo

Il credito ai consumatori è regolato dagli artt. 121 ss. del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 – c.d. T.U.B.) ed è quindi riconducibile alla materia dei “contratti bancari e finanziari” di cui all’art. 5, comma 1 bis, del D. lgs. 4 marzo 2010, n. 28 (nella formulazione vigente ratione temporis e sostanzialmente “trasfusa” dal D. lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, c.d. “Riforma Cartabia”, nell’art. 5, comma 1, del citato D. lgs. 4 marzo 2010, n. 28) per la quale sussiste l’obbligo di esperimento della mediazione obbligatoria. L’insegnamento giurisprudenziale è, infatti, orientato nel senso di ritenere il riferimento ai “contratti bancari e finanziari” come un chiaro richiamo, non altrimenti alterabile, alla disciplina dei contratti bancari contenuta nel codice civile e nel T.U.B., nonché alla contrattualistica involgente gli strumenti finanziari di cui al D. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, c.d. T.U.F. (cfr. Cass. n. 30520/2019; Cass. n. 15200/2018).

In un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il mancato esperimento della mediazione obbligatoria va eccepito, a pena di decadenza, ovvero rilevato dal giudice, entro la prima udienza ed a seguito della decisione ex art. 648 o 649 c.p.c. circa la concessione ovvero la sospensione dell’esecuzione provvisoria. Ove l’improcedibilità non sia eccepita o rilevata entro tale termine è da intendersi sanata.

Il TAEG (o ISC) è solo un indicatore sintetico del costo complessivo dell’operazione di finanziamento, che comprende anche gli oneri amministrativi di gestione e, come tale, non rientra nel novero dei tassi, prezzi ed altre condizioni la cui mancata pattuizione nella forma scritta è sanzionata con la nullità, seguita dalla sostituzione automatica ex art. 117 del D. lgs. 1° settembre 1993, n. 385 (Cass. n. 4597/2023).

Nei contratti di mutuo ad ammortamento c.d. alla francese caratterizzati dalla previsione di rate ciascuna delle quali è composta da una quota di capitale, via via crescente nel tempo e da una quota di interessi, via via decrescente, si deve escludere di poter ritenere aprioristicamente sussistente il fenomeno anatocistico in quanto, la previsione di un simile piano restitutorio configura una mera modalità di adempimento delle due obbligazioni poste a carico del mutuatario e, segnatamente, la restituzione della somma ricevuta in prestito e la corresponsione degli interessi correlati al suo godimento (cfr. Cass. n. 11400/2014).

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di appello promosso da due mutuatari-consumatori i quali, inter alia, contestavano (i) che il giudice di prime cure avesse erroneamente escluso la necessità di esperire il tentativo di mediazione obbligatoria nell’ambito di una controversia inerente ad un contratto disciplinato dal T.U.B. (pur non avendo eccepito tempestivamente tale circostanza); (ii) che il contratto di finanziamento sarebbe stato nullo attesa l’erronea indicazione del TAEG; (iii) che la previsione di un ammortamento c.d. alla francese determinasse ex se un’implicita ed occulta capitalizzazione degli interessi a carico del mutuatario in violazione del divieto di anatocismo ex art. 1283 c.c.

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 19 luglio 2023, n. 686 – consorzio, cause e procedimento di esclusione del consorziato

Ove il consorzio non sia costituito in forma di società in forza dell’art. 2615-ter c.c., la normativa che presiede all’impugnazione delle delibere delle società di capitali e delle cooperative per azioni non può essere trasposta automaticamente al settore dell’impugnazione delle delibere consortili. In particolare, all’azione cautelare volta a ottenere la sospensione dell’efficacia della delibera di esclusione dal consorzio, si applica la disciplina di cui all’art. 700 c.p.c., secondo il procedimento delineato dall’art. 2606, c. 2, c.c., e non quella prevista dall’art. 2378, c. 3, c.c. (cfr. Trib. Matera 10.11.2001).

Tra le delibere impugnabili entro il termine decadenziale di trenta giorni di cui all’art. 2606 c.c., sebbene i riferimenti testuali della disposizione menzionata alla “maggioranza dei consorziati” e ai “consorziati assenti” evochino lo schema assembleare, rientrano anche le deliberazioni assunte dal consiglio direttivo, come sembra ragionevolmente intendersi dalla genericità della rubrica di tale articolo e dal richiamo, al primo comma, alle delibere relative “all’attuazione dell’oggetto del consorzio”.

La comunicazione della delibera di esclusione svolge la mera funzione di informare il consorziato delle ragioni ritenute in concreto dall’organo deliberante giustificative dell’esclusione; rispetto a tali motivazioni, il giudice dovrà verificare la coerenza con le previsioni di legge e di statuto, oltre ad accertarne la congruità (cfr. Trib. Venezia, 2.2.2023).

Princìpi espressi in un’ordinanza di rigetto di una istanza cautelare, promossa in pendenza di una causa di merito, finalizzata alla sospensione dell’efficacia della decisione di esclusione del ricorrente da un consorzio pronunciata dal consiglio direttivo del consorzio stesso. Il Tribunale ha rigettato il ricorso per l’inosservanza del termine di decadenza di cui all’art. 2606, c. 2, c.c., rilevando altresì la carenza del fumus boni iuris e del periculum in mora nel caso di specie.

(Massime a cura di Giovanni Gitti)




Tribunale di Brescia, sentenza del 18 luglio 2023, n. 1840 – impugnazione delibera approvazione bilancio

Qualora, in pendenza di un giudizio di impugnazione di una delibera di approvazione di un bilancio di esercizio, la società formi un nuovo bilancio che recepisce le cesure di parte attrice e lo stesso venga approvato dall’assemblea dei soci, si determina la cessazione della materia del contendere fra le parti. Tale circostanza deve essere valutata, secondo il criterio della soccombenza virtuale, ai soli fini della regolazione delle spese di lite.

È configurabile, accanto alla mediazione ordinaria, una mediazione negoziale cd. atipica, fondata su contratto a prestazioni corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (cd. mediazione unilaterale), qualora una parte, volendo concludere un singolo affare, incarichi altri di svolgere un’attività volta alla ricerca di una persona interessata alla sua conclusione a determinate e prestabilite condizioni. L’esercizio dell’attività di mediazione atipica, quando l’affare abbia ad oggetto beni immobili o aziende, ovvero, se riguardante altre tipologie di beni, sia svolta in modo professionale e continuativo, resta soggetta all’obbligo di iscrizione all’albo previsto dall’art. 2 della l. n. 39 del 1989, ragion per cui, il suo svolgimento in difetto di tale condizione esclude, ai sensi dell’art. 6 della medesima legge, il diritto alla provvigione (cfr. Cass. SS.UU. 19161/2017). La nullità di tale contratto comporta l’insussistenza del diritto alla provvigione del mediatore non iscritto, con conseguente necessità di non indicare nel (e, se indicato, di escludere dal) bilancio la relativa voce di debito.

A fronte dell’emissione da parte di uno studio professionale di note proforma relative alle prestazioni eseguite (che risultano essere state regolarmente registrate nella contabilità), il bilancio della società debitrice deve tener conto di tali registrazioni e riportare nel bilancio il debito corrispondente. 

In assenza della prova del conferimento di specifico incarico professionale e dell’effettiva esecuzione dello stesso, la società non può esporre in bilancio alcun debito verso un professionista per il pagamento di tali prestazioni; se esposto tale debito deve essere stornato.

Il contributo previdenziale integrativo esposto in una nota-proforma emessa da un professionista (nella fattispecie a favore di Inarcassa) non è credito cedibile nell’ipotesi in cui, a fronte del pagamento di tale credito, la fattura venga emessa dalla cessionaria che è una società non iscritta al relativo Albo bensì al Registro delle Imprese (nella fattispecie con oggetto sociale l’acquisto e la vendita, la permuta e la locazione di beni immobili ed altre attività tipicamente di stampo imprenditoriale). Invero, il contributo integrativo viene riscosso dal professionista iscritto ad una cassa di previdenza e da questi periodicamente riversato all’ente di appartenenza, unitamente al contributo soggettivo calcolato sul reddito professionale (adempimento a cui non è tenuta la società cessionaria). Pertanto, tale importo non deve essere esposto a bilancio quale credito e, se esposto, deve essere stornato.

Princìpi espressi agli esiti di un giudizio in cui sono state parzialmente accolte le censure mosse da alcuni soci di una s.r.l. dirette a ottenere la declaratoria di nullità o la pronuncia di annullamento di due delibere dell’assemblea dei soci di approvazione di un bilancio di esercizio (la prima aveva adottato il bilancio, mentre la seconda aveva approvato una versione emendata del medesimo bilancio al fine di recepire alcune delle censure formulate da parte attrice).

(Massime a cura di Giada Trioni)