Anche in difetto di una previsione normativa espressa, in tema di azioni di massa volte alla ricostituzione della garanzia patrimoniale del debitore, la legittimazione attiva spetta necessariamente al curatore quale esclusivo titolare dell’azione di risarcimento del danno al patrimonio sociale. Da ciò consegue che le norme che prevedono espressamente il “trasferimento” della legittimazione attiva dai creditori al curatore (artt. 66 L.F., 165 C.C.I.I., 146 L.F., 255 C.C.I.I.) non configurano norme eccezionali, bensì espressione del suddetto principio generale (in senso conforme, Cass. n. 18610/2021, Cass. n. 24725/2021 e Cass. n. 29840/2023).
In tema di responsabilità della banca, sia che la condotta abusiva pregiudizievole si esprima nella violazione di obblighi specifici (l’illegittima prosecuzione di un finanziamento già in corso), sia che si realizzi per effetto della violazione del generale obbligo di buona fede di cui all’art. 1375 c.c. (la conclusione di un finanziamento disattendendo gli obblighi di prudente ed accorto operato professionale), si tratta di responsabilità da inadempimento di un’obbligazione preesistente, ossia di responsabilità contrattuale, con ogni conseguenza in punto di onere della prova (in senso conforme, Cass. n. 18610/2021).
In riferimento al danno patito dal ceto creditorio della società poi fallita, l’azione di risarcimento ha natura extracontrattuale, stante l’insussistenza di un rapporto obbligatorio preesistente tra la Banca e i creditori dell’impresa finanziata (in senso conforme, Cass. n. 18610/2021).
In tema di prescrizione dell’azione dei creditori della società poi fallita, il dies a quo non decorre dalla data di concessione del finanziamento, ma dal momento in cui l’incapienza patrimoniale diviene oggettivamente e concretamente percepibile dai terzi. A tal proposito, deve ritenersi sussistere una presunzione juris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data di insorgenza e percepibilità dello stato di incapienza patrimoniale, con la deduzione di fatti sintomatici di assoluta evidenza, la cui valutazione spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se non per vizi di motivazione che la rendano del tutto illogica o lacunosa, ex art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (in senso conforme, Cass. n. 24715/2015 e Cass. n. 3552/2023).
L’abusiva erogazione del credito, effettuata con dolo o colpa da parte del soggetto finanziatore ad un’impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria e in assenza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere questi venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, obbligando il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda un aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività di impresa (in senso conforme, Cass. n. 18610/2021 e Cass. n. 29840/2023).
Ai fini della configurabilità della responsabilità del soggetto finanziatore per le condotte di abusiva erogazione di credito tali da agevolare l’indebita prosecuzione dell’attività di impresa, il curatore è tenuto a dedurre e provare: a) la condotta che viola le regole che disciplinano l’attività bancaria, caratterizzata da dolo o almeno da colpa (in relazione alla responsabilità contrattuale verso la società, l’onere in parola concerne la sola allegazione); b) il danno-evento, dato dalla prosecuzione dell’attività d’impresa in perdita; c) il danno-conseguenza, rappresentato dall’aumento del dissesto; d) il rapporto di causalità fra tali danni e la condotta tenuta dal finanziatore. Rigore particolare merita la verifica del nesso causale, ai sensi dell’art. 1223 c.c., alla stregua della nota teoria della causalità adeguata, stante il “doveroso rispetto del punto di equilibrio tra opposti valori meritevoli di tutela, quali, da un lato, la posizione giuridica del finanziato e dei suoi creditori e, dall’altro lato, la libertà contrattuale del banchiere” (in senso conforme, Cass. n. 18610/2021).
In materia di risarcimento del danno, qualora venga accertato che più soggetti hanno dato un contributo causale (se pure in misura diversa tra loro) al verificarsi dell’evento dannoso, tutti sono tenuti in solido nei confronti del danneggiato, e non è consentito al giudice di merito limitare la condanna alla rispettiva quota – parte di responsabilità (in senso conforme, Cass. n. 6599/1998; Cass. n. 2814/1999; Cass. n. 23918/2006).
In caso di ammissione del debitore al concordato preventivo, la compensazione tra i suoi debiti e i crediti da lui vantati nei confronti dei creditori postula, ai sensi dell’art. 56 l. fall. – applicabile in quanto espressamente richiamato dall’art. 169 l. fall. – che i rispettivi crediti siano preesistenti al deposito della domanda di concordato; essa, pertanto, non può operare nell’ipotesi in cui il debitore abbia conferito ad una banca, anche di fatto, un (mero) mandato all’incasso di un proprio credito e la banca abbia ritenuto di compensare il relativo importo con crediti da essa vantati. Ciò in quanto, a differenza della cessione di credito, il mandato all’incasso non determina il trasferimento del credito in favore del mandatario, ma della sola legittimazione all’incasso, con conseguente obbligo di quest’ultimo di restituire al mandante la somma riscossa. Tale obbligo non sorge al momento del conferimento del mandato, ma soltanto all’atto della riscossione del credito, con la conseguenza che, qualora quest’ultima abbia avuto luogo dopo la presentazione della domanda di ammissione al concordato preventivo, non sussistono i presupposti per la compensazione con crediti anteriori (in senso conforme, Cass. n. 22277/2017; Cass. n. 10548/2009).
La formalità di cui all’art. 2914 c.c. è applicabile anche alle procedure concorsuali per effetto dell’art. 45 l. fall., con la conseguenza che occorre che la cessione sia stata notificata al debitore ceduto o sia stata dal medesimo accettata con atto avente data certa anteriore alla pubblicazione della domanda di concordato.
Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da un fallimento per ottenere: (i) l’accertamento della responsabilità per abusiva concessione del credito da parte della banca convenuta e la condanna di quest’ultima al risarcimento del danno subito dalla società e dalla massa dei creditori; (ii) la revoca dei pagamenti e degli atti estintivi di debiti effettuati dalla società poi fallita nei periodi rilevanti ai sensi dell’art. 67 l. fall; (iii) la condanna alla restituzione delle somme versate alla banca da terzi clienti della società in seguito all’apertura nel periodo successivo alla presentazione della domanda di concordato preventivo.
(Massime a cura di Raffaele Verdicchio)

