Tribunale di Brescia, sentenza del 21 febbraio 2025, n. 741 – opposizione a decreto ingiuntivo, società a responsabilità limitata, nullità di delibere assembleari, remunerazione del socio-amministratore, irritualità della domanda

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In assenza di una norma specifica che permetta la formulazione dell’eccezione riconvenzionale quando il termine per la proposizione della domanda è scaduto, deve ritenersi che il termine di decadenza triennale previsto per l’azione di nullità ex art. 2479-ter, c. 3, c.c. sia riferito sia alla domanda che all’eccezione.

La violazione dell’art. 2389 c.c., essendo quest’ultimo qualificato alla stregua di norma imperativa (Cass. n. 20613/2024), può implicare l’illiceità dell’oggetto delle delibere assembleari assunte e la conseguente nullità ex art. 2479-ter, co. 3, c.c. delle stesse.

Il decorso del termine di decadenza previsto per l’azione di annullamento della delibera assembleare che quantifica il compenso dell’amministratore preclude l’accertamento della ragionevolezza dell’importo riconosciuto a titolo di trattamento di fine mandato.

In tema di contestazione di omessa indicazione di debiti a bilancio, la specifica indicazione, ad opera di parte contestante, della voce in cui sarebbe stato iscritto il debito della società a bilancio, al di là della regolarità contabile dell’annotazione, lascia presumere la regolare iscrizione del debito.

Nel caso in cui sia accordato agli amministratori cessati un compenso nella forma di trattamento di fine mandato, quest’ultimo diviene esigibile solo nel caso in cui non vi sia una successiva rielezione alla carica di amministratore, essendo irrilevante se tale carica sia assunta quale amministratore unico o quale membro del Consiglio di Amministrazione. Il relativo dies a quo per il decorso della prescrizione del credito è, quindi, da individuarsi nell’indomani dalla cessazione dalla carica di consigliere.

L’allegazione della sussistenza di una rinuncia al diritto nella memoria di replica alla comparsa conclusionale è certamente tardiva, costituendo questa un’eccezione non rilevabile d’ufficio (Cass. n. 29920/2020).

La mera allegazione di profili di responsabilità gestoria non è idonea a paralizzarne la pretesa creditoria dell’amministratore in relazione ai compensi a quest’ultimo accordati. L’allegazione può, infatti, solamente essere funzionale alla mera prospettazione di una futura azione risarcitoria e non implica, in assenza di specificazione sul punto, la prospettazione dell’eccezione inadimplenti non est adimplendum.

Essendo necessario, ai fini della qualificazione della domanda come lite temeraria, l’accertamento di profili di mala fede o colpa grave in capo alla parte soccombente (Cass. n. 22405/2018), la mera inconsistenza dei motivi addotti da parte attrice non può indurre alla condanna al pagamento dell’indennizzo ex art. 96, c. 3, c.p.c. qualora questi risultino comunque potenzialmente forieri di responsabilità e astrattamente idonea a paralizzare le pretese di controparte.

Princìpi espressi all’esito di un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo avviato dalla società ingiunta per ottenere, oltre alla dichiarazione di invalidità o la revoca del decreto ingiuntivo opposto, l’annullamento o la nullità di delibere assembleari relative alla quantificazione del trattamento di fine mandato del socio-amministratore per conflitto di interessi. Parte opponente adduce nel corso della trattazione del giudizio, oltre a quanto menzionato, l’inesatta iscrizione del debito all’interno dei bilanci di esercizio, la prescrizione del credito, nonché l’avvenuta rinuncia allo stesso e profili di responsabilità gestoria. Parte convenuta, costituitasi, chiede il rigetto delle domande attoree poiché irrituali e infondate nel merito, domandando la condanna di parte opponente al pagamento dell’indennizzo ex art. 96, c. 3, c.p.c.

(Massime a cura di Ilaria Porro)