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Ordinanza del 2 luglio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

La sussistenza di un adeguato fumus boni iuris in materia di concorrenza sleale deve essere costituita da elementi diversi e ulteriori rispetto alla mera e fisiologica concorrenza tra imprese.

In merito allo sviamento di clientela, l’eventuale sussistenza di coincidenze in relazione alla perdita di clienti non può considerarsi di per sé sottrazione di clientela in mancanza di allegazioni sufficientemente precise, in quanto la mera conoscenza delle abitudini ed esigenze dei clienti rientra nel patrimonio professionale e personale del lavoratore (specialmente quando si discute di un numero limitato di clienti). 

Per quanto attiene, invece, allo sfruttamento altrui di segreti ovvero di informazioni riservate, la parte danneggiata è tenuta ad allegare specificamente le caratteristiche di tali informazioni e di produrne in giudizio evidenza documentale. 

Con riferimento, poi, allo storno di dipendenti, affinché il fatto possa essere sussunto nella relativa fattispecie a tutela della concorrenza, non è sufficiente il mero storno unitariamente considerato, essendo altresì necessario valutare i mezzi concretamente utilizzati dal concorrente, le modalità di reclutamento del personale e gli effetti destrutturanti sull’altrui organizzazione aziendale, oltre a elementi come il numero di dipendenti e le mansioni ad essi attribuite. 

Infine, ai fini della qualificazione di un determinato comportamento nella categoria della concorrenza sleale parassitaria, l’elemento determinante consiste nel «continuo e sistematico operare sulle orme dell’imprenditore concorrente attraverso l’imitazione non tanto dei prodotti ma piuttosto di rilevanti iniziative imprenditoriali di quest’ultimo, mediante comportamenti idonei a danneggiare l’altrui azienda».

Tali principi sono stati espressi nel corso di un procedimento finalizzato all’ottenimento di un provvedimento inibitorio tra una società e un ex dipendente, che ha dato vita a nuova realtà imprenditoriale operante nel medesimo settore. 

(Massime a cura di Marta Arici)




Sentenza del 22 gennaio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Il messaggio di posta elettronica (c.d. e-mail)
costituisce un documento elettronico che contiene la rappresentazione
informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che, seppure privo
di firma, rientra tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni
meccaniche di cui all’art. 2712 c.c. e, pertanto, forma piena prova dei fatti e
delle cose rappresentate se colui contro il quale viene prodotto non ne
disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime (conf. Cass. n.
11606/2018). Tale disconoscimento tuttavia deve essere chiaro, circostanziato
ed esplicito, dovendosi concretizzare nell’allegazione di elementi attestanti
la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (conf. Cass. n.
19155/2019).

I requisiti ai fini della protezione delle
informazioni aziendali possono essere così puntualizzati: a) novità, in
quanto l’informazione non deve essere generalmente nota ovvero agevolmente
accessibile da terzi; b) valore economico, idoneo ad attribuire un
vantaggio competitivo, che viene meno laddove l’informazione sia resa pubblica,
con la precisazione che tale requisito presuppone l’effettuazione di uno sforzo
economico per ottenere (ovvero duplicare) tali informazioni; c)
segretezza, intesa come sottoposizione delle informazioni a misure
ragionevolmente adeguate alla protezione, di ordine fisico (es. password)
e giuridico (es. non disclosure agreement), con la precisazione che la
segretezza non equivale ad una assoluta inaccessibilità (condizione, peraltro,
di difficile se non impossibile verificazione), bensì presuppone che
l’acquisizione delle informazioni segrete richieda da parte del terzo non
autorizzato sforzi non indifferenti, con la conseguenza che non possono essere
tutelate informazioni soggette, per loro natura ovvero in ragione di altre
circostanze, a diffusione incontrollata o incontrollabile.

Il difetto di allegazione in punto di
descrizione del know-how asseritamente sottratto è tale da precludere
non soltanto la concessione della tutela ex art. 98 c.p.i., ma finanche
la stessa identificazione delle informazioni riservate di cui si lamenta
l’altrui sfruttamento.

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso da una s.n.c. operante nel settore della carpenteria meccanica nei
confronti di una s.r.l. concorrente e dei due ex dipendenti, attuali soci e
amministratori della società concorrente convenuta. In particolare, parte
attrice lamentava la commissione a propri danni dei seguenti atti di
concorrenza sleale: i) lo sfruttamento indebito di
know-how tecnico (disegni e progetti) e
commerciale (tempi, offerti, prezzi) da parte degli ex dipendenti, già assunti
come impiegati tecnici, attuato mediante la sottrazione dei
file
contenuti nella casella aziendale
dropbox, finalizzato ad agganciare la
clientela dell’attrice; ii) lo sviamento di clientela, posto in essere in
costanza di rapporto di lavoro. Alla luce delle suddette circostanze, la
società attrice chiedeva l’inibitoria delle condotte anticoncorrenziali
descritte, con fissazione di penale per l’eventuale violazione e pubblicazione
del provvedimento, oltre che il risarcimento dei danni subiti.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 4 agosto 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

È fondata l’eccezione di incompetenza del Tribunale a conoscere della domanda di risarcimento danni per gli atti di mala gestio, asseritamente compiuti dall’amministratore di una società, quando l’azione, diretta a verificare la correttezza dell’operato dell’organo gestorio della società, coinvolge “diritti disponibili relativi al rapporto sociale”, che risultano ricompresi nella clausola compromissoria prevista statutariamente in forza della quale sono devolute alla cognizione di un arbitro le eventuali controversie insorte fra i soci o fra i soci e la società, anche se promosse da amministratori e sindaci o revisore, ovvero nei loro confronti, anche non soci e che abbiano per oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.

Ai fini dell’accoglimento di un’azione di illecito concorrenziale, volta all’accertamento della fattispecie di sviamento di clientela e al conseguente risarcimento del danno, l’attore deve fornire la prova di specifiche condotte di natura illecita in contrasto con le regole di corretta concorrenza e dell’effettiva incidenza causale di dette condotte rispetto al danno patito.

In tema di illecito concorrenziale, il mero dato del sensibile calo del fatturato realizzato dall’attore nei confronti del cliente costituisce un elemento indiziario, privo peraltro dei necessari caratteri di precisione e gravità, che non consente di ritenere provata un’effettiva attività illecita produttiva di un danno.

In tema di illecito concorrenziale, si esclude la sussistenza di alcun danno patito dall’attore con riferimento a particolari clienti, quando il fatturato realizzato nei confronti di detti clienti sia andato progressivamente aumentando raggiungendo il suo picco proprio prima della proposizione dell’azione.

Principi espressi in relazione all’azione proposta da una società tesa ad ottenere il risarcimento di tutti i danni cagionati, per atti di mala gestio, dall’ex amministratore e quale corresponsabile di illecito concorrenziale commesso nella (nuova) qualità di direttore del settore vendita della società concorrente.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Ordinanza del 25 marzo 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

In tema di concorrenza sleale confusoria, il giudizio di somiglianza tra segni distintivi, ancorché non oggetto di registrazione, deve essere effettuato in via d’insieme, tenendo conto della percezione del consumatore medio di riferimento, avuto riguardo all’impressione complessiva prodotta dai segni, del livello di attenzione variabile a seconda del tipo di servizio correlato e del fatto che il consumatore non effettua un confronto diretto tra i segni, bensì mnemonico.

In ipotesi di identità geografica e merceologica del mercato di riferimento, tenuto conto della particolarità del tipo di “consumatore” cui sono destinati i servizi e del suo scarso livello di attenzione sul segno distintivo (trattandosi, nel caso di specie, di pazienti di due poliambulatori operanti in un ambito territoriale circoscritto), la discordanza di una sola lettera tra gli acronimi inseriti nei segni figurativi utilizzati nelle insegne e nel materiale pubblicitario da imprese concorrenti apporta una differenza marginale, tale da passare inosservata agli occhi del destinatario dei servizi, per il quale quindi si determina in concreto un rischio di confusione e di indebita associazione.

Il rischio di confusione e associazione tra segni distintivi integra di per sé un pregiudizio imminente e irreparabile, essendo astrattamente idoneo a cagionare la diluzione della forza attrattiva del segno già noto nel mercato di riferimento, sicché, laddove accertato, possono ritenersi sussistenti i requisiti necessari per la concessione della misura cautelare dell’inibitoria.

La fattispecie dello storno di dipendenti presuppone modalità di reclutamento, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, abnormi, ossia tali da eccedere i normali limiti di tollerabilità. In particolare, laddove non risulti che l’impresa stornata abbia dovuto sostenere ingenti sforzi aggiuntivi o difficoltà di altro genere al fine di predisporre la riorganizzazione aziendale, deve concludersi che lo storno non abbia dato luogo a una situazione di eccezionalità sotto il profilo gestionale e pertanto non è sanzionabile. A ciò si aggiunga che il requisito necessario ai fini della configurazione della fattispecie di cui all’art. 2598, n. 3, c.c. è l’animus nocendi, in mancanza del quale non può dirsi che la migrazione di professionisti verso un’impresa concorrente possa presentare i tratti di una sottrazione parassitaria di avviamento, non esorbitando i normali limiti della competizione.

L’accertamento della fattispecie dello sviamento di clientela presuppone la dimostrazione dell’esistenza di perdite patrimoniali dell’impresa che ha subito lo sviamento corrispondenti a un equivalente incremento (patrimoniale) dell’impresa concorrente.

Non integra la fattispecie degli atti denigratori di cui all’art. 2598, n. 2, c.c. la diffusione di notizie (in relazione ad un’impresa concorrente) relative all’introduzione di un sistema di prenotazioni mediante call center in luogo del corrispondente servizio offerto dal personale amministrativo, data la mancanza di profili di disvalore sulla qualità dei servizi di impresa. Analoghe considerazioni valgono in ordine alla diffusione della notizia del trasferimento dell’impresa concorrente presso altro indirizzo, in quanto parimenti inidonea ad integrare un atto denigratorio.

Principi espressi nel giudizio di reclamo avverso l’ordinanza emessa all’esito del ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da una s.r.l. nei confronti dell’ex dipendente e della società concorrente, al fine di ottenere la tutela inibitoria e il risarcimento dei danni patiti in conseguenza di condotte contrarie a buona fede e di concorrenza sleale.

Nel dettaglio, la ricorrente/reclamante lamentava lo storno di dipendenti (medici), lo sviamento di clienti (pazienti), la diffusione di informazioni false o denigratorie e l’utilizzo di un segno grafico distintivo idoneo ad ingenerare confusione (costituito da un acronimo).

(Massima a cura di Marika Lombardi)