Sentenza del 12 agosto 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani
La disciplina del rapporto tra nudo proprietario e usufruttuario nelle società di persone deve essere ricercata nelle norme del contratto sociale e nei principi generali (ricavabili anche dalle disposizioni in materia di società capitali, laddove aventi carattere non eccezionale e, pertanto, suscettibili di applicazione analogica). In particolare, in tema recesso del socio nudo proprietario, deve escludersi, ai fini del legittimo esercizio di tale facoltà, il necessario concorso della volontà del titolare di usufrutto sulla quota oggetto di recesso. A sostegno di tale impostazione militano i seguenti argomenti:
a) l’opinione assolutamente prevalente in dottrina – formatasi in relazione all’art. 2352 c.c. ante e post riforma, estendibile, in considerazione della sua portata generale, alle società di persone – secondo cui il recesso non è qualificabile – se non parzialmente e per difetto – come mero diritto amministrativo, essendo maggiormente accostabile alle facoltà il cui esercizio incide direttamente sulla partecipazione societaria o sulla sua misura (come il diritto di opzione o come la stessa vicenda traslativa): la quasi totalità degli interpreti ha, conseguentemente, sostenuto che, in presenza di vincoli sulle partecipazioni, la titolarità del diritto di recesso rimanga di competenza esclusiva del socio, ancorché nudo proprietario o debitore pignoratizio;
b) la tesi avallata, ante riforma, dalla Corte di Cassazione, che ha ulteriormente escluso che il titolare del diritto parziario (in quel caso un creditore pignoratizio) possa esercitare il recesso in via surrogatoria ex art. 2900 c.c., affermando il seguente principio giuridico: “il creditore pignoratizio delle azioni – ancorché, ai sensi dell’art. 2352 cod. civ., a lui competa, in luogo del socio suo debitore, il diritto di voto (anche) nelle deliberazioni concernenti il cambiamento dell’oggetto o del tipo della società o il trasferimento della sede sociale all’estero – non è legittimato ad esercitare il diritto di recesso di cui all’art. 2437 cod. civ., configurandosi questo come un atto di disposizione in ordine alla partecipazione societaria, di esclusiva spettanza del socio, ed essendo d’altra parte la tutela del creditore pignoratizio affidata, in presenza di una diminuzione del valore delle azioni conseguente a quei deliberati mutamenti societari, all’istituto della vendita anticipata ex art. 2795 cod. civ.” (Cass. n. 10144/2002);
c) la considerazione secondo cui attribuire all’usufruttuario il diritto di recesso contrasterebbe con il principio di cui all’art. 981, co. 1, c.c., che impone al titolare del diritto reale parziario l’obbligo di rispettare la destinazione economica del bene, nonché con lo stesso art. 832 c.c., poiché si verrebbe a creare una limitazione al diritto esclusivo di disposizione del proprietario non prevista dalla legge;
d) argomento contrario a tale tesi non può, infine, essere ricavato dall’art. 1000 c.c., che, attenendo alla mera “riscossione” di capitali fruttiferi e riferendosi non già al “consenso” dell’usufruttuario, bensì al solo “concorso” dello stesso nelle operazioni esecutive di liquidazione, non può essere applicato estensivamente alla manifestazione di volontà inerente lo scioglimento del vincolo sociale.
Il credito relativo alla liquidazione della quota del socio uscente, avendo fin dall’origine ad oggetto una somma di denaro, ha natura pecuniaria e costituisce, quindi, un credito di valuta (conf. Cass. n. 11598/1995 e Cass. n. 5548/2004). Inoltre, l’impugnazione del socio recedente della delibera societaria che giustifica l’esercizio del diritto di recesso (nel caso di specie, della delibera di trasformazione della società da s.a.s. a s.r.l.) determina il venir meno dei requisiti di certezza ed esigibilità del credito, sicché deve escludersi che la società, che ometta il richiesto pagamento della quota di liquidazione, abbia assunto un comportamento inadempiente che giustifichi l’applicazione degli interessi moratori secondo il regime “sanzionatorio” previsto dall’art. 1284, co. 4, c.c.
I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dal socio accomandante di una s.a.s., titolare della piena proprietà del 10% del capitale sociale e della nuda proprietà del 35% del predetto capitale sociale, quota quest’ultima gravata da usufrutto, nei confronti della società, al fine di far accertare il proprio intervenuto recesso dalla stessa e ottenere la condanna della convenuta alla liquidazione in proprio favore della quota di cui all’epoca del recesso risultava titolare.
A fondamento della domanda l’attore ha esposto che i soci avevano deliberato, senza la sua partecipazione e senza che lo stesso fosse stato avvisato dello svolgimento della riunione, la trasformazione della s.a.s. in s.r.l. con contestuale aumento del capitale sociale.
(Massime a cura di Marika Lombardi)