1

Tribunale di Brescia, sentenza del 3 settembre 2022, n. 2197 – società cooperativa, nullità del contratto di raccolta del risparmio sociale per difetto di forma scritta, art. 117 d.lgs. 385/1993, art. 2467 c.c.

In materia di società cooperative, il contratto di raccolta di prestiti sociali è nullo qualora manchi la forma scritta ex art. 117 d.lgs. 385/1993 (t.u.b.). Tale nullità di protezione, relativa, è invocabile soltanto dal soggetto nel cui interesse è previsto, dalla normativa di settore, l’obbligo di forma scritta al fine di garantire la trasparenza del rapporto negoziale.

Considerata anche la diversa funzione del capitale sociale nelle società cooperative rispetto a quelle lucrative, il prestito sociale cooperativo non è assimilabile al finanziamento soci e, pertanto, non è fattispecie rientrante nell’ambito di applicazione dell’art. 2467 c.c., come, tra l’altro, previsto (a conferma dell’impostazione adottata dal Tribunale) dall’art. 1, comma 239, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 (provvedimento successivo all’instaurazione della causa de qua).

Princìpi espressi in esito ad un procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Brescia per il pagamento di somme di denaro a titolo di rimborso di prestiti sociali a favore di soci di una società cooperativa.

(Massime a cura di Demetrio Maltese)




Tribunale di Brescia, sentenza del 2 settembre 2022, n. 2196 – società cooperativa, rimborso del versamento dei soci, risparmio sociale, recesso, postergazione del credito

Nelle società cooperative, il diritto al rimborso spetta a ciascun socio che abbia esercitato il diritto di recesso, per il solo fatto di aver effettuato il versamento, a prescindere dalla liceità o meno della provvista impiegata, salvo che sia diversamente previsto nello statuto sociale.

La norma di cui all’art. 2467 c.c., prevista in tema di società a responsabilità limitata, che prevede la postergazione del rimborso dei finanziamenti eseguiti dai soci a favore di società rispetto al soddisfacimento degli altri creditori alla ricorrenza di determinati presupposti (ossia, l’eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto ovvero una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole effettuare un conferimento), non è applicabile alle società cooperative, tenuto conto, tra l’altro, della diversità di funzione che assolve il capitale in tale tipo sociale (funzionale alla gestione mutualistica), rispetto alle altre società lucrative. Ne consegue che deve ritenersi preclusa la possibilità di assimilare il prestito sociale cooperativo ai finanziamenti soci di cui all’art. 2467 c.c.

(Nel caso in esame, in ogni caso, la convenuta aveva omesso di allegare riferimenti concreti che avrebbero giustificato l’applicazione della norma invocata al tipo societario della società cooperativa).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da una società cooperativa, in qualità di cessionaria del credito costituito dal risparmio sociale maturato dai propri soci nei confronti di un’altra società cooperativa convenuta.

In particolare, la società attrice chiedeva, in via riconvenzionale, la condanna della società convenuta, beneficiaria della scissione parziale della società attrice, al pagamento in proprio favore del credito maturato dai soci a titolo di rimborso delle quote di risparmio sociale a seguito del loro recesso e poi ceduto all’attrice.

Secondo la tesi attorea, il suddetto credito avrebbe trovato il proprio fondamento, oltre che in una scrittura privata stipulata tra le due società cooperative e i rispettivi soci, nella scissione parziale della società attrice, con cui la stessa ha trasferito alla società beneficiaria convenuta tutte le sue passività, ad eccezione dei debiti della scissa nei confronti dei propri soci per il rimborso del risparmio sociale (non contemplati nel progetto di scissione).

La società convenuta si costituiva in giudizio chiedendo, tra l’altro, (i) di dichiarare l’inesistenza del credito ceduto costituito dal risparmio sociale, in quanto derivante da provviste conseguite dai soci illecitamente; (ii)  di accertare la postergazione del rimborso del risparmio sociale rispetto alla soddisfazione degli altri creditori ai sensi dell’art. 2467 c.c; in subordine (iii) di accertare l’estinzione del credito per confusione; in ogni caso, il rigetto della domanda riconvenzionale svolta dall’attrice.

Il tribunale ha accolto la domanda riconvenzionale formulata dalla società attrice, condannando la società convenuta al versamento del credito derivante dal risparmio sociale dei soci e al pagamento delle spese di lite.

(Massime a cura di Valentina Castelli)




Tribunale di Brescia, sentenza del 7 maggio 2022, n. 1239 – società cooperativa, invalidità delle deliberazioni sociali, esclusione del socio, opposizione del socio escluso

L’irregolarità delle comunicazioni relative all’esclusione del socio da una società cooperativa non configura un vizio insanabile del procedimento di contestazione e successiva deliberazione, laddove esista uno stretto collegamento tra la persona del socio e il luogo di notificazione delle comunicazioni, per quanto diverso dall’indirizzo annotato sul libro soci. Tale irregolarità avrebbe potuto, piuttosto, legittimare il socio a una tardiva allegazione delle proprie giustificazioni.

In materia di esclusione del socio “volontario” appare difficile distinguere la fattispecie del socio “volontario” che abbia cessato l’attività di volontariato presso la cooperativa, legittimante l’esclusione, da quella del socio “volontario” che abbia cessato di prestare la propria opera a favore della cooperativa, determinante la decadenza. Invero, una volta qualificato il socio “volontario” come colui che presta a favore della cooperativa la propria attività gratuitamente, esclusivamente per fini di solidarietà, non sembra assumere concreta pregnanza che tale attività coincida con lo stesso servizio offerto all’esterno dalla cooperativa, con altra attività “solidaristica” o con un’attività di carattere amministrativo o professionale resa gratuitamente dal socio e, comunque, idonea a consentire alla cooperativa di poter operare in vista del raggiungimento dei suoi scopi sociali (in quanto tale, anch’essa definibile come “volontariato”). In ogni caso, per poter rimanere nella compagine sociale della cooperativa occorre mantenere con la stessa un rapporto inquadrabile nelle tipologie sopra descritte. In caso contrario, il socio è soggetto ad esclusione o dichiarazione di decadenza.

I principi sono stati espressi nell’ambito del giudizio avente ad oggetto l’opposizione della delibera del consiglio di amministrazione di una società cooperativa sociale onlus di esclusione del socio dalla medesima ai sensi della quale lo stesso ha richiesto di accertare la nullità e/o l’annullamento della relativa comunicazione relativa alla delibera in quanto non preceduta da lettera di contestazione dell’addebito, priva dell’indicazione specifica dei fatti posti alla base dell’esclusione e inviata all’indirizzo di posta elettronica certificata di un soggetto giuridico diverso dall’attore. Con riferimento al merito del provvedimento opposto, il socio ha, inter alia, contestato che la presa d’atto che il socio cessato di prestare la propria opera di amministratore a favore della cooperativa rientrasse in una ipotesi delle ipotesi di esclusione tassativamente previste dallo statuto potendo al più essere inquadrata in un’ipotesi di decadenza, la quale, tuttavia, non era stata invocata nella delibera di esclusione.

Si costituiva in giudizio la società cooperativa sociale onlus negando la fondatezza delle allegazioni e deduzioni avversarie e chiedendo il rigetto delle domande attoree.

Il Tribunale rilevato che l’irregolarità delle comunicazioni relative all’esclusione del socio poteva legittimare l’attore a una tardiva allegazione delle proprie giustificazioni, facoltà che egli aveva, nondimeno, mancato di esercitare, avendo promosso tempestiva opposizione senza negare l’addebito contestatogli e senza addurre valida giustificazione allo stesso e, rilevato che, non emergeva alcun sostanziale interesse dell’attore a pretendere una qualificazione della propria situazione in termini di decadenza piuttosto che di esclusione, ha dichiarato la correttezza e legittimità del provvedimento di esclusione oggetto di opposizione e, pertanto, ha rigettato le domande attoree.

(Massime a cura di Simona Becchetti)




Sentenza del 18 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

L’indicazione dell’elenco delle materie da trattare
nel corso del c.d.a.
ha la duplice funzione di rendere edotti i soci circa gli argomenti sui quali
essi dovranno deliberare, per consentire la loro partecipazione al c.d.a. con la necessaria
preparazione ed informazione, e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli
assenti a seguito di deliberazione su materie non incluse nell’ordine del
giorno; a tal fine, non è necessaria una indicazione particolareggiata delle
materie da trattare, ma è sufficiente una indicazione sintetica, purché chiara
e non ambigua, purché specifica e non generica: diversamente, la conseguente
deliberazione consiliare
è affetta da invalidità.

L’eventuale violazione del dovere “di
agire in modo informato”, sostanziatasi nel mancato esame di un documento
informativo rilevante, pervenuto tardivamente (i.e. perizia tecnica
sull’immobile), potrebbe teoricamente esporre a responsabilità nei confronti
della società
i singoli amministratori, colpevoli di avere prematuramente approvato
l’operazione (in tesi dannosa), ma non incide necessariamente sulla validità
della manifestazione di volontà assunta dal plenum.

Le contestazioni sul prezzo di acquisto esulano
manifestamente dal processo di formazione della volontà consiliare, attenendo
all’opportunità della scelta, che è pertanto sottratta alla valutazione
giurisdizionale.

Principi
espressi nell’ambito del giudizio promosso dal socio di una società cooperativa,
volto ad ottenere l’annullamento di due delibere consiliari: la prima, per
violazione dell’art. 2381 c.c. e dell’art. 40 dello statuto della società per
le carenze informative della convocazione del c.d.a.; la seconda, in quanto
integrativa della precedente e pertanto illegittima per derivazione del vizio
di illegittimità di questa.

(Massima
a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 18 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Nel caso in cui l’ordine del
giorno contenuto nell’avviso di convocazione del consiglio di amministrazione non
sia coerente con il contenuto della corrispondente deliberazione, tale
deliberazione è annullabile per violazione dell’art. 2381, c. 1, c.c.

Se la delibera consiliare,assunta
in assenza di vizi, conferma il contenuto di una precedente delibera invalida,
tale deliberazione deve essere qualificata quale espressione di una “nuova
volontà” validamente formatasi.

I principi sono stati espressi
nel giudizio, promosso dall’amministratrice di una banca, di impugnazione di
due deliberazioni consiliari ai sensi dell’art. 2388 c.c. A fondamento delle
proprie domande l’attrice allegava:

(i) quanto alla prima
deliberazione impugnata, che l’oggetto della stessa non era incluso nell’ordine
del giorno della riunione, come indicato nell’avviso di convocazione trasmesso
ai consiglieri, deducendo pertanto la violazione dell’art. 2381 c.c.;

(ii) quanto alla seconda
deliberazione impugnata, ne rilevava l’inidoneità a sanare i profili di
invalidità allegati in relazione alla prima, trattandosi di deliberazione “
integrativa
e pertanto asseritamente “
illegittima per derivazione del vizio di
illegittimità della precedente delibera”.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 7 giugno 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

Nel giudizio promosso dal socio in opposizione alla delibera di esclusione della società, quest’ultima assume veste sostanziale di parte istante per la risoluzione del rapporto ed è, per l’effetto, tenuta a provare il fatto specifico in base al quale risulti adottata quella deliberazione, senza poter invocare in giudizio, a sostegno della legittimità della medesima, fatti distinti e diversi, ancorché potenzialmente idonei a giustificare l’interruzione del rapporto societario (conf. Trib. Milano 15.03.2017).

La deliberazione di esclusione del socio di società cooperativa deve rispondere ai canoni dell’autonomia e della completezza, nel senso che dal suo contenuto devono emergere i fatti specifici oggetto dell’addebito. La delibera di esclusione di un socio di società cooperativa, per le gravi conseguenze che ne derivano e che investono la stessa qualità di socio, richiede chiarezza e, in particolare, la precisa enunciazione dei fatti addebitabili a fondamento dell’esclusione. Pertanto, il provvedimento deve essere univoco ed autonomo, senza che sia necessario un collegamento con elementi desumibili in altro modo (conf. Trib. Roma 26.01.2018; conf. Cass. n. 4402/2017 e n. 22097/2013).

In ipotesi di opposizione del socio di società cooperativa avverso la deliberazione di esclusione, trattandosi di delibera che incide sui diritti individuali del socio medesimo, il rimedio applicabile è l’annullamento.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione promosso, ai sensi dell’art. 2533 c.c., dal socio di società cooperativa avverso la deliberazione di esclusione adottata dal consiglio di amministrazione della società medesima.

Al riguardo, il socio escluso deduceva la nullità delle comunicazioni pervenutegli in quanto generiche e prive di qualsivoglia riferimento agli addebiti oggetto di contestazione.

Inoltre, l’attore lamentava l’invalidità della deliberazione in quanto il provvedimento di esclusione sarebbe stato adottato sulla base di motivazioni infondate.

Sul punto il Tribunale, in accoglimento dell’opposizione, ha annullato la deliberazione consiliare nella parte in cui disponeva l’esclusione del socio.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 1° ottobre 2018 – Giudice designato: dott. Lorenzo Lentini

L’opposizione proposta dal socio di cooperativa ex art. 2533, 3° co., c.c. avverso la deliberazione consiliare di esclusione non richiede il possesso in capo all’opponente di una particolare quota di capitale, né appare applicabile in via analogica il requisito di legittimazione di cui all’art. 2377, 3° co., c.c., in ragione degli elementi di specialità che la norma da ultimo citata presenta.

Ove il socio di cooperativa di produzione e lavoro abbia avuto formale comunicazione della delibera di esclusione, oltre che del licenziamento, il termine di decadenza per l’impugnazione di cui all’art. 2533 c.c. opera anche in relazione alla denuncia dei vizi che attengano, non alla sussistenza dei presupposti sostanziali dell’esclusione, bensì alla formazione della volontà dell’organo societario legittimato ad adottare il provvedimento (conf. Cass. n. 3836/2016).

Nel caso in cui il presidente del c.d.a. versi in conflitto d’interessi, non sussiste alcun divieto di partecipazione alle riunioni del consiglio, posto che l’art. 2391 c.c. si limita a prevedere in capo a ciascun amministratore l’obbligo di comunicazione agli altri amministratori e al collegio sindacale degli interessi di cui è titolare in una determinata operazione della società.

Nell’ipotesi di omessa convocazione di taluno degli amministratori aventi diritto a partecipare alle riunioni consiliari, si determina impossibilità di costituzione dell’organo, con la conseguente sua inidoneità a riferire la propria volontà alla società, senza che rilevi che, anche a considerare voti contrari quelli dei soggetti non convocati, la maggioranza si sarebbe comunque conseguita (conf. Cass. n. 9314/1995).

La sospensione prevista dall’art. 2378, 3° co., c.c. risponde alla ratio di evitare che il diritto o l’interesse di chi agisce impugnando una deliberazione assembleare possa subire gravi pregiudizi nelle more del procedimento d’impugnazione della stessa. In tal senso assume rilevanza anche l’interesse a proteggere la società dal pericolo che la delibera impugnata venga prima eseguita e subito dopo annullata. Ne consegue che, ai fini della cautela provvisoria, non vi è distinzione tra esecuzione ed efficacia della stessa, dovendo l’atto risultare semplicemente suscettibile di produrre ulteriori effetti rispetto all’organizzazione sociale (conf. Trib. Milano 23.03.2016).

È lecito invocare la sospensione per tutte le delibere che, anche se non bisognevoli in senso proprio di “atti esecutivi”, o già iscritte presso il Registro delle Imprese con piena “efficacia” ed opponibilità nei confronti dei terzi, siano tuttavia suscettibili di esplicare i loro effetti pregiudizievoli per tutto il tempo in cui la situazione dalle stesse creata è destinata a perdurare. In altri termini, possono essere sospese tutte le delibere in relazione alle quali non possa dirsi concretata una “irreversibilità” degli effetti, cioè le delibere suscettibili di dispiegare “efficacia” in modo continuativo (conf. Trib. Bologna 24.01.2018).

L’art. 2378, co. 4, c.c. richiede al giudice del procedimento cautelare investito della sospensione dell’esecuzione della delibera la valutazione della sussistenza di un nesso causale fra l’esecuzione (ovvero la protrazione dell’efficacia) della deliberazione impugnata ed il pregiudizio temuto ed implica l’apprezzamento comparativo della gravità delle conseguenze derivanti, sia al socio impugnante sia alla società, dalla esecuzione e dalla successiva rimozione della deliberazione impugnata. Così, il provvedimento cautelare di sospensione dell’efficacia della delibera potrà essere concesso soltanto ove si ritenga prevalente, rispetto al corrispondente pregiudizio che potrebbe derivare alla società per l’arresto subito alla sua azione, il pregiudizio lamentato dal socio (conf. Trib. Roma 22.4.2018).

I principi sono stati espressi nel procedimento cautelare promosso, in corso di causa, con ricorso ex artt. 2378, co. 3, e 2388, co. 4, c.c. dal socio di società agricola cooperativa al fine di ottenere la sospensione in via cautelare dell’efficacia della deliberazione – impugnata con atto di citazione nel giudizio di merito – adottata dall’organo di amministrazione della società resistente avente ad oggetto l’esclusione del ricorrente dalla compagine sociale, nonché l’applicazione di penalità nei confronti del medesimo.

Sotto il profilo del fumus boni iuris, il ricorrente deduceva: (i) la nullità della deliberazione per eccessiva genericità e indeterminatezza della previsione statutaria in forza della quale era stata assunta; (ii) l’omesso invio al presidente della comunicazione di convocazione dell’organo di amministrazione, in violazione degli artt. 2381 e ss. c.c., nonché delle disposizioni dello statuto sociale in tema di funzionamento del suddetto organo; (iii) l’insussistenza dei presupposti di merito per l’adozione della deliberazione e l’infondatezza delle valutazioni; (iv) in ogni caso, la sproporzione delle sanzioni al medesimo inflitte rispetto alla violazione contestata, nonché la loro contraddittorietà, atteso che l’applicazione di penalità economiche presuppone la permanenza del vincolo sociale (reciso dal contestuale provvedimento di esclusione).

Sotto il profilo del periculum in mora, il ricorrente deduceva la difficoltà di reperire altro soggetto in ambito cooperativo in favore del quale eseguire i propri conferimenti e i conseguenti danni economici irreparabili derivanti dalla eventuale cessione dei medesimi al settore industriale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 31 marzo 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

È valida la clausola compromissoria di società cooperativa che attribuisca il potere di nomina dell’arbitro unico, a cui sia devoluta la decisione delle controversie insorte tra i soci e la società, al presidente di un ordine professionale che abbia prestato la propria opera in favore della società medesima; il presidente di un ordine professionale deve, infatti, considerarsi soggetto indipendente rispetto ad entrambe le parti ed eventuali ragioni di incompatibilità della persona fisica (che rivesta tale incarico) possono essere risolte mediante la sua astensione.

In tema di società cooperativa, non costituisce atto di licenziamento la deliberazione consigliare di esclusione del socio che comporti l’automatica estinzione del rapporto di lavoro in essere tra il socio e la società medesima, con conseguente possibilità di devolvere ad arbitri il relativo giudizio di impugnazione.

I principi sono stati espressi nei giudizi (riuniti per connessione oggettiva e soggettiva) di impugnazione delle deliberazioni consigliari di esclusione del socio di due società cooperative, promossi, dal socio escluso, in presenza, in entrambi gli statuti, di clausole compromissorie.

L’attore, in particolare, chiedeva: (i) preliminarmente, l’accertamento dell’invalidità delle clausole compromissorie, fondata su due ordini di ragioni: da un lato, la circostanza per cui il soggetto deputato alla designazione dell’arbitro unico era il presidente di un ordine professionale che aveva prestato la propria opera in favore delle società e, dall’altro, l’affermazione secondo cui la devoluzione ad arbitri di giudizi inerenti rapporti di lavoro implicherebbe la rinuncia ai diritti di difesa del lavoratore, in violazione dell’art. 2113 c.c.; (ii) nel merito, la declaratoria di nullità delle deliberazioni con cui i consigli di amministrazione delle due società cooperative l’avevano escluso e, conseguentemente, la riammissione come socio con reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno.

Sul punto il Tribunale, accertata la validità delle clausole compromissorie, esclusa la natura di atti di licenziamento delle deliberazioni di esclusione del socio, ha dichiarato il difetto di competenza del giudice ordinario, in favore di quella arbitrale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 12 dicembre 2014 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

L’appartenenza ad un gruppo non esclude l’autonomia giuridica e patrimoniale di ciascuna delle società che vi fanno parte e non può giustificare il compimento di atti che contrastino con gli interessi delle stesse separatamente considerati, lasciando ferma in tal caso la responsabilità degli amministratori per i danni da essi arrecati al patrimonio della singola società.

Ciò posto, si rileva che: da un lato, la pura e semplice appartenenza ad un gruppo societario non costituisce, di per sé sola, un vantaggio idoneo a compensare eventuali danni arrecati al patrimonio della società; dall’altro, ben può prodursi un danno per il patrimonio della società anche in presenza di risultati di bilancio positivi.

(Conforme a Cass. n. 16707/2004).

La sussistenza di vantaggi compensativi, ai fini dell’esclusione della responsabilità di cui all’art. 2497 c.c., deve essere valutata con riferimento a deliberazioni societarie che illustrino analiticamente il contenuto e le caratteristiche dell’operazione (dalla quale si assumono derivare i vantaggi compensativi), motivandone la correlazione con gli specifici interessi di gruppo, come richiesto dall’art. 2497 ter c.c.

Ai fini della valutazione della sussistenza di vantaggi compensativi, di cui all’art. 2497 c.c., non risultano, almeno allo stato, elementi per determinare la portata e l’effettivo “valore economico” della controprestazione pattuita nell’obbligo di non concorrenza tra società di gruppo (a fronte della cessione di un credito), che, pertanto, si palesa inafferrabile.

Le operazioni di modesta entità relative all’assunzione di partecipazioni in altre società facenti parte del consorzio e alla prestazione di fideiussioni a favore di talune di esse possono verosimilmente trovare adeguata giustificazione nell’ambito della solidarietà di gruppo e delle finalità mutualistiche tra società consorziate, non essendo perciò, di per sé, suscettibili di censura.

La notevole sproporzione tra la rilevante entità del credito risarcitorio e il patrimonio del debitore integra il requisito del periculum in mora (c.d. oggettivo) ai fini del sequestro conservativo cautelare ai danni del debitore.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento di reclamo promosso dall’amministratore delegato di una società cooperativa consorziata avverso l’ordinanza che ha disposto in suo danno il sequestro conservativo a fronte dell’accertamento della responsabilità per mala gestio del medesimo verso la società. Nello specifico, l’importo della cautela è stato circoscritto all’ammontare del residuo debito del consorzio essendo stata esclusa l’illiceità di talune operazioni gestorie censurate in un primo momento.

Ord. 12.12.2014

(Massima a cura di Marika Lombardi)