Tribunale di Brescia, sentenza del 2 maggio 2024, n. 1755 – società a responsabilità limitata, gestione dell’organo amministrativo sostanzialmente liquidatoria, par condicio creditorum, responsabilità dell’organo amministrativo verso i creditori sociali

La responsabilità degli amministratori di s.r.l. verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, già prima della novella dell’art. 2476, c. 6, c.c. operata dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, era principio affermato dalla giurisprudenza (sul punto, cfr. Cass. n. 23452/2019), applicando analogicamente l’art. 2394 c.c.

Qualora la gestione ordinaria di una società a responsabilità limitata sia di fatto cessata tramutandosi in una gestione sostanzialmente liquidatoria e l’attivo patrimoniale sia insufficiente a soddisfare il ceto creditorio, dovrà essere rispettato dall’organo amministrativo il principio della par condicio creditorum nel pagamento dei debiti della società, salvi gli eventuali diritti di preferenza dei creditori aventi una causa di prelazione, a pena di responsabilità ex art. 2394 c.c. o ex art. 2476, c. 6, c.c., nel testo attualmente vigente. L’organo amministrativo risponde pertanto nei confronti dei creditori non soddisfatti per l’inadempimento dei doveri di conservazione del patrimonio sociale nella peculiare conformazione – comportante il rispetto della regola della par condicio creditorum pur in una fase antecedente al formale avvio del procedimento di liquidazione – che questi assumono nello scenario evocato.

In presenza dei presupposti summenzionati (gestione sostanzialmente liquidatoria e attivo patrimoniale insufficiente a soddisfare l’intero ceto creditorio), il mancato rispetto da parte dell’organo amministrativo del principio della par condicio creditorum nel pagamento dei debiti della società, secondo il loro ordine di preferenza, espone altresì gli amministratori a responsabilità ex art. 2395 c.c. o ex art. 2476, c. 7, c.c., nella versione attualmente vigente, nei confronti del creditore pretermesso nel pagamento dei debiti sociali in violazione della par condicio creditorum e, pertanto, direttamente danneggiato dalla condotta degli amministratori.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di primo grado, promosso da un creditore di una società a responsabilità limitata nei confronti dell’amministratore unico, deducendo la responsabilità dell’amministratore per avere omesso, in violazione del principio della par condicio creditorum, il pagamento del suo credito (in parte garantito da privilegio) – diversamente da altri crediti anche di rango inferiore vantati pure da imprese riconducibili al convenuto – in una situazione di cessazione della gestione ordinaria della società e avvio di fatto della liquidazione.

(Massime a cura di Giovanni Gitti)




Tribunale di Brescia, decreto n. 57 del 26 aprile 2024 – società a responsabilità limitata, convocazione giudiziaria dell’assemblea sociale, applicabilità dell’articolo 2367 c.c. alle s.r.l., esclusione, forme alternative di convocazione dell’assemblea

Appare inestensibile la disciplina prevista dall’art. 2367 c.c. in tema di s.p.a., stante il mancato richiamo nella disciplina novellata delle s.r.l. Ciò in quanto tale disciplina, nel testo risultante dalla riforma di cui al d. lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, ha differenziato fortemente la disciplina delle s.r.l. da quella delle s.p.a., eliminando la tecnica del rinvio in favore di un principio di autonomia e potenziale onnicomprensività della normativa sulla s.r.l. Deve pertanto escludersi l’estensione analogica del meccanismo procedurale di convocazione previsto dall’art. 2367 c.c., già in linea di principio dissonante con la rigidità dei diversi tipi societari (Cass. n. 10821/2016).

Nel silenzio della legge e nell’eventuale silenzio dello statuto, il meccanismo alternativo per la convocazione dell’assemblea della s.r.l., in caso di omessa convocazione da parte degli amministratori, può essere correttamente individuato nel potere di convocazione dell’assemblea da parte del socio di maggioranza, titolare di almeno un terzo del capitale, in caso di inerzia dell’organo di gestione (Cass. n. 10821/2016).

Principi espressi in relazione a un caso di ricorso ex art. 2367 c.c. promosso per la convocazione dell’assemblea di una s.r.l., asseritamente omessa in modo abusivo dall’amministratore, da parte di un creditore pignoratizio possessore della totalità delle quote della predetta società nei confronti della società medesima e dei suoi soci.

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 6 febbraio 2024 – società a responsabilità limitata, controllo dei soci non amministratori ex art. 2476, 2° co., c.c.

Il diritto del socio di s.r.l. previsto dall’art. 2476, 2° co., c.c., che contempla tanto il diritto di ricevere informazioni attraverso la richiesta di notizie sullo svolgimento degli affari, quanto il diritto alla consultazione dei libri sociali e relativa documentazione, consiste in un diritto potestativo di ampia portata, il cui esercizio non richiede alcuna specifica motivazione, né ammette alcun limite, salvo quelli tradizionali del: a) rispetto del canone generale di buona fede, b) contemperamento tra diritti parimenti meritevoli di tutela, sempre che sussistano i presupposti per un bilanciamento. In altre parole, il diritto di informazione non può essere oggetto di protezione laddove il suo esercizio sia animato da scopi meramente emulativi, laddove esso integri un’ipotesi di abuso del diritto o, infine, laddove esso contrasti con un preminente diritto altrui.

Ai fini del riconoscimento del diritto di cui all’art. 2476, 2° co., c.c. è irrilevante che in precedenza il socio non abbia manifestato interesse per la partecipazione sociale, posto che  tale diritto non è attribuito su base “premiale” in relazione all’esercizio “virtuoso” dei diritti sociali, né la sua esclusione può avere un fondamento di tipo “punitivo”.

Il semplice timore di impiego per finalità concorrenziali delle informazioni acquisite nell’esercizio del diritto di cui all’art. 2476, 2° co., c.c., non sorretto da adeguate allegazioni sul compimento effettivo di attività concorrenziale, non consente alla società di impedirne l’esercizio. Alla medesima conclusione deve giungersi nel caso sussista il timore di un utilizzo illecito di informazioni riservate ex art. 98 c.p.i., in assenza di adeguate allegazioni in merito alla tipologia ed al contenuto delle medesime, a maggior ragione qualora il socio istante abbia manifestato la disponibilità a sottoscrivere accordi di non divulgazione.

Il rifiuto della società a consentire l’accesso del socio alla documentazione sociale preclude di fatto la facoltà di quest’ultimo di svolgere un’adeguata due diligence, comprimendo indebitamente il suo diritto di alienare la quota detenuta.

Per quanto riguarda la dedotta mancanza di periculum in mora rilevante in sede cautelare, il diritto del socio ex art. 2476, 2° co., c.c. ha natura strumentale rispetto all’esercizio degli ulteriori diritti sociali, talché deve ritenersi che il tempestivo esercizio di questi ultimi non può che richiedere il tempestivo accesso alle informazioni e alla documentazione sociale. Nelle more del giudizio di cognizione il diritto sociale, cui l’accesso alla documentazione sociale risulta preordinato, verrebbe inevitabilmente compromesso, con pregiudizio non riparabile o non agevolmente riparabile per equivalente.

Principi espressi nell’ambito  di un procedimento  di reclamo avverso un’ordinanza cautelare richiesta dal socio di  una società a responsabilità limitata per l’accertamento del suo diritto, quale socio non amministratore, di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di sua fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione, come disposto dall’art. 2476, 2° co., c.c. Nell’ordinanza di rigetto del reclamo il Collegio precisa la portata  ed i limiti di tale diritto.

(Massime a cura di Edoardo Abrami)




Tribunale di Brescia, sentenza del 12 gennaio 2024, n. 117 – società a responsabilità limitata, azione sociale di responsabilità, responsabilità dell’amministratore unico

L’art. 2476, c. 3, c.c. legittima espressamente ciascun socio di s.r.l. a promuovere l’azione di responsabilità contro gli amministratori senza che sia necessario alcun atto autorizzativo da parte della società, e quindi anche in assenza di previa delibera assembleare. Infatti, nell’ambito della disciplina della s.r.l., non è riprodotta una disposizione analoga a quella di cui all’art. 2393, c. 1, c.c. e non pare possibile l’applicazione analogica delle norme in tema di s.p.a. alle s.r.l., a fronte delle differenze anche strutturali tra i due tipi di società e della scelta legislativa di differenziare le due discipline. Essendo ciascun socio della s.r.l. legittimato all’azione di responsabilità sociale, senza alcuna limitazione in merito alla percentuale di quote possedute, sarebbe incoerente con tale previsione imporre alla società, diretta danneggiata, di promuovere l’azione sociale solamente previa delibera assunta con le maggioranze previste dal codice o dallo statuto.

Nell’ambito dell’azione di responsabilità introdotta dai soci nei confronti dell’amministratore, la società, pur formalmente convenuta (in quanto litisconsorte necessario), assume la veste sostanziale di attrice, quantomeno in considerazione del fatto che essa è la beneficiaria della domanda di condanna formulata dai soci.

Come affermato dalla giurisprudenza precedente, «l’azione di responsabilità sociale promossa contro amministratori e sindaci di società di capitali ha natura contrattuale, dovendo di conseguenza l’attore provare la sussistenza delle violazioni contestate e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi, mentre sul convenuto incombe l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso alla sua condotta, fornendo la prova positiva dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi imposti» (cfr. Cass. n. 2975/2020). Tale onere probatorio non si atteggia in modo diverso nel caso in cui l’azione sociale sia promossa dai soci, trattandosi di una mera sostituzione processuale. Ne deriva che, in un giudizio nel quale sia contestato l’utilizzo del denaro della società da parte dell’amministratore unico, è onere della parte attrice allegare l’effettuazione di operazioni non connesse all’oggetto sociale o comunque all’attività della società, con ciò allegando l’inadempimento dei doveri incombenti sullo stesso a tutela del patrimonio aziendale, il danno e il nesso di causa tra l’inadempimento e il danno. È invece onere del convenuto provare che tali prelievi erano in qualche modo giustificati o che sono stati eseguiti da terzi.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio instaurato a seguito dell’esercizio, da parte di due soci di una società a responsabilità limitata semplificata, dell’azione sociale di responsabilità contro il precedente amministratore unico, nel corso del quale gli attori avevano chiesto la condanna di quest’ultimo al risarcimento di asseriti danni subiti dalla società derivanti dall’utilizzo di denaro da parte dell’amministratore a favore di se stesso e di terzi (nel caso di specie, anche a seguito dell’assunzione di prove testimoniali, il Tribunale ha tuttavia riconosciuto che le somme prelevate erano dovute all’amministratore ed esigibili a titolo di compenso per l’attività svolta in virtù di accordi non formalizzati tra i soci).

(Massime a cura di Vanessa Battiato)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 14 ottobre 2023 – società a responsabilità limitata, azione di responsabilità, legittimazione attiva all’esercizio dell’azione di responsabilità, impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi

Nella disciplina relativa alle s.r.l. non è prevista una norma analoga all’art. 2393, co. 2, c.c. il quale, in materia di s.p.a., prevede che la deliberazione inerente alla promozione dell’azione di responsabilità possa essere adottata – anche nell’eventualità in cui non sia indicata nell’elenco delle materie da trattare – in occasione della discussione del bilancio, sempre che si tratti di fatti di competenza dell’esercizio cui lo stesso bilancio si riferisce. La disposizione introduce, infatti, una deroga al principio generale della necessaria preventiva informazione circa l’oggetto delle delibere assembleari, avente quale ratio quella di consentire all’assemblea di adottare le opportune misure a tutela degli interessi della società, laddove dalla discussione del bilancio emergano inadempienze o responsabilità dell’organo di amministrazione, senza dover attendere i tempi di una ulteriore assemblea. Il legislatore, relativamente alle s.r.l., nemmeno prevede una disposizione analoga all’art. 2393, co. 5, c.c. il quale dispone che alla deliberazione dell’azione di responsabilità – adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale – consegue la revoca dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta i quali vengono, quindi, sostituiti dall’assemblea. La revoca automatica dall’ufficio degli amministratori, con contestuale sostituzione dell’organo a seguito dell’esperimento dell’azione di responsabilità, in forza di delibera adottata con il voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale, integra, infatti, una norma ulteriormente eccezionale, la cui estendibilità alle s.r.l. non pare giustificata da alcun vuoto normativo né da valutazioni di coerenza con l’azione di responsabilità prevista dall’art. 2476 c.c.

Con riferimento alle s.r.l. la legittimazione attiva all’esercizio dell’azione sociale di responsabilità avverso gli amministratori è espressamente riconosciuta dall’art. 2476, co. 3, c.c. a ciascun socio, indipendentemente dalla misura della sua partecipazione sociale; tuttavia, non vi è un’esplicita disciplina inerente la legittimazione attiva della società, per quanto la stessa sia oramai unanimemente riconosciuta, sulla base del disposto dell’art. 2476 c.c., co. 5, il quale sancisce il potere della società di rinunciare o transigere l’azione. Conseguentemente a questo vuoto normativo, non è oggetto di regolamentazione nemmeno il concreto processo di formazione della volontà sociale in ordine all’esercizio dell’azione. 

La disciplina delle s.r.l. non stabilisce un divieto di voto per gli amministratori relativamente alle delibere inerenti alle loro responsabilità, diversamente da quanto accade per gli amministratori delle s.p.a. Viene unicamente prevista ex art. 2479-ter, co. 2, c.c., l’impugnabilità della delibera assunta con la partecipazione del socio in conflitto di interessi ove suscettibile di arrecare danno all’ente.

Princìpi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare ex artt. 818, co. 2, e 838-ter, co. 4, c.p.c. promosso, nell’attesa della costituzione dell’arbitro, dall’amministratrice unica di una società a responsabilità limitata e volto ad ottenere la sospensione, in via d’urgenza, di una delibera assembleare che l’ha revocata dal suo ufficio adducendo la violazione delle maggioranze statutarie e l’assenza di indicazione dell’argomento all’ordine del giorno. 

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 12 ottobre 2023, n. 2584 – società a responsabilità limitata, concorrenza, clausola di restrizione della concorrenza, trasferimento di partecipazioni sociali

Alla luce di una interpretazione secondo buona fede del divieto di concorrenza, previsto in una clausola contenuta in un contratto per l’ipotesi di trasferimento della partecipazione sociale e cessazione del ruolo attivo all’interno della società, la manifestazione dell’impegno alla pronta cessazione dell’attività concorrenziale, seguita dalla immediata messa in liquidazione volontaria e cancellazione dal Registro delle Imprese della società concorrente, rappresenta idonea correzione alla violazione anche laddove siano superati i termini stabiliti dalla clausola, purché le tempistiche siano coerenti, tenuto anche conto del periodo feriale, con il pronto adeguamento alla richiesta.

La mancata chiusura del sito web non costituisce prova della continuazione “de facto” dell’attività di impresa ad opera della società cancellata.

Principi espressi in caso di rigetto della domanda promossa da una società volta ad ottenere, a seguito del trasferimento della partecipazione sociale e delle dimissioni dalla carica di consigliere da parte del convenuto, la condanna di quest’ultimo al pagamento della penale pattuita per la violazione del divieto di concorrenza.

(Massime a cura di Vanessa Battiato)




Tribunale di Brescia, sentenza del 29 giugno 2023, n. 1618 – società a responsabilità limitata, contratto di compravendita di quote, aliud pro alio, legittimazione passiva degli amministratori

L’amministratore di una società a responsabilità limitata, anche laddove ne sia socio, non ha legittimazione passiva rispetto all’azione di risoluzione di un contratto stipulato dalla società, alla conclusione del quale egli ha partecipato quale mero legale rappresentante della società medesima. Al contrario, il socio amministratore di una società di persone è titolare di detta legittimazione passiva in sede di cognizione ordinaria, dal momento che la sua responsabilità è personale e diretta, benché di carattere sussidiario, operando il beneficium excussionis di cui all’art. 2304 c.c. solo in sede esecutiva.

Le partecipazioni sociali costituiscono beni di “secondo grado”, in quanto non sono del tutto distinte e separate dai beni compresi nel patrimonio sociale. Questi ultimi, pertanto, non possono essere considerati totalmente estranei all’oggetto di un contratto di cessione di dette quote, sia qualora le parti di esso vi abbiano fatto specifico riferimento mediante la previsione di garanzie ad hoc, sia qualora l’affidamento del cessionario al riguardo debba ritenersi giustificato alla stregua del principio di buona fede. Conseguentemente, la differenza tra l’effettiva consistenza quantitativa del patrimonio sociale rispetto a quella indicata nel contratto può integrare la mancanza delle qualità essenziali della cosa giustificando la risoluzione ex art. 1497 c.c. Alla risoluzione ordinaria ex art. 1453 c.c. potrebbe, invece, ricorrersi nel caso in cui i beni siano assolutamente privi della capacità funzionale a soddisfare i bisogni dell’acquirente, quindi “radicalmente diversi” da quelli pattuiti (Cass. n. 22790/2019; Cass. n. 18181/2004). In questo contesto, la vendita di aliud pro alio sussiste allorquando “la cosa venduta appartenga ad un genere del tutto diverso o presenti difetti che le impediscano di assolvere alla sua funzione naturale o a quella ritenuta essenziale dalle parti” (Cass. n. 22790/2019; Cass. n. 6596/2016; Cass. n. 20996/2013).

Prìncipi espressi nell’ambito di un giudizio promosso da parte della società acquirente per ottenere, tra l’altro, la risoluzione del contratto di cessione di una partecipazione totalitaria in una s.r.l., adducendo che si fosse trattato di una vendita di aliud pro alio, dal momento che le tre centrali idroelettriche facenti parte del patrimonio della società acquisita avrebbero avuto, secondo la ricostruzione attorea,  una capacità produttiva di gran lunga inferiore a quella promessa in sede di preliminare.

(Massime a cura di Chiara Alessio)




Tribunale di Brescia, sentenza del 4 aprile 2023 n. 755 – società a responsabilità limitata, organo di controllo, collegio sindacale, compenso dei sindaci, prescrizione presuntiva, prescrizione quinquennale, ripartizione dell’onere della prova

Le prescrizioni presuntive, tra cui quella prevista all’art. 2956 n. 2 c.c., operano esclusivamente nell’ambito dei rapporti contrattuali che si svolgono in assenza di formalità, in cui, ordinariamente, il compenso per la prestazione ricevuta è versato senza dilazione né rilascio di quietanza di pagamento, viceversa, non trovando applicazione con riferimento ai crediti sorti per effetto di un contratto stipulato in forma scritta (tornando ad essere applicabili per l’eventuale parte del credito derivante dall’esecuzione di prestazioni che non hanno fondamento nel documento contrattuale). Ne consegue che, nei rapporti tra società di capitali e sindaci, non trova applicazione la prescrizione presuntiva ex art. 2956 n. 2 c.c., in quanto i compensi per l’esercizio dell’attività di sindaco trovano fondamento in un rapporto a carattere formale (tenuto conto, nel caso di specie, delle deliberazioni assembleari di nomina del sindaco e di successive deliberazioni assembleari aventi ad oggetto il rinnovo della carica).

Con riferimento ai crediti a titolo di compenso per l’esercizio dell’attività di sindaco del collegio sindacale di una società a responsabilità limitata trova applicazione la prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c., trattandosi di credito riconducibile al rapporto societario. Peraltro, ai fini della decorrenza del termine di prescrizione, occorre tenere conto che il compenso del sindaco matura annualmente a conclusione di ciascun esercizio sociale ai sensi dell’art. 2402 c.c.

In tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve provare esclusivamente la fonte (negoziale o legale) del proprio diritto e il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. Ne consegue che, con riferimento al credito relativo al compenso maturato dal sindaco di una società a responsabilità limitata, in mancanza di prova da parte della società debitrice dell’avvenuto adempimento, il relativo credito deve ritenersi provato sulla scorta dei verbali di assemblea contenenti la deliberazione di nomina del sindaco effettivo e i successivi rinnovi.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dagli eredi legittimi del sindaco di una società a responsabilità limitata, poi deceduto, per ottenere la condanna della società convenuta al pagamento dei compensi maturati dal sindaco per l’attività svolta nel corso di tre annualità, sino alla data di cessazione dalla carica.

La società si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda attorea, eccependo (i) l’applicazione della prescrizione presuntiva ex art. 2956 n. 2 c.c. dei crediti per compensi e, in via subordinata, (ii) l’applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2959 c.c. con riferimento al compenso maturato per una delle tre annualità.

Il tribunale, in parziale accoglimento della domanda attorea, ha condannato la società convenuta al pagamento, in favore di parte attrice, dell’importo rideterminato alla luce dell’accoglimento parziale dell’eccezione di prescrizione formulata dalla società convenuta.

(Massime a cura di Alice Rocco)




Tribunale di Brescia, sentenza del 15 dicembre 2022, n. 3032 – società a responsabilità limitata, fallimento, azione di responsabilità amministratore, art. 2476 c.c.

Per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore di una società di capitali non è sufficiente invocare genericamente il compimento di atti di “mala gestio” e riservare una più specifica descrizione di tali comportamenti nel corso del giudizio, atteso che per consentire alla controparte l’approntamento di adeguata difesa, nel rispetto del principio processuale del contraddittorio, la “causa petendi” deve sin dall’inizio sostanziarsi nell’indicazione dei comportamenti asseritamente contrari ai doveri imposti agli amministratori dalla legge o dallo statuto sociale. Ciò vale tanto che venga esercitata un’azione sociale di responsabilità quanto un’azione dei creditori sociali, perché anche la mancata conservazione del patrimonio sociale può generare responsabilità non già in conseguenza dell’alea insita nell’attività di impresa, ma in relazione alla violazione di doveri legali o statutari che devono essere identificati già nella domanda nei loro estremi fattuali (cfr. Cass n. 23180/2013 e Cass. n. 28669/2013). Tale onere di specifica allegazione si estende a tutti gli elementi costitutivi dell’azione di responsabilità sicché l’attore deve fornire indicazioni altrettanto puntuali in ordine all’esistenza del danno, del suo ammontare e del fatto che esso sia stato causato dal comportamento illecito di un determinato soggetto (cfr. Cass. n. 7606/2011).

Costituisce violazione degli obblighi di corretta gestione societaria, azionabile in via risarcitoria dalla curatela fallimentare, il comportamento degli amministratori che, sia negli anni anteriori alla messa in liquidazione della società che successivamente, hanno sistematicamente omesso di provvedere al regolare pagamento dei debiti tributari e contributivi, in tal modo palesando la loro incapacità di correttamente gestire le risorse finanziare sociali ed arrecando pregiudizio al patrimonio sociale, quantificabile nell’aggravio del debito originario, aumentato per accessori, sanzioni, interessi e somme aggiuntive.

L’omessa rilevazione della perdita del capitale sociale e la conseguente prosecuzione indebita dell’attività di impresa, con conseguente aggravio del deficit comportano, per giurisprudenza ormai costante (recepita d’altronde dall’art. 2486, comma terzo, nuovo testo, c.c.), la responsabilità risarcitoria degli amministratori per un importo coincidente – di norma – proprio con l’incremento del deficit patrimoniale (al netto, peraltro, dei cc.dd. costi normali di liquidazione), secondo il noto criterio della differenza fra netti patrimoniali. Tuttavia, l’effettivo aggravio del deficit non può, come ovvio, ritenersi coincidente col mero dato dell’incremento del debito bancario, che potrebbe essere, in ipotesi, opportunamente bilanciato dall’incremento di poste attive (o dalla corrispondente diminuzione di altre poste passive).

Princìpi espressi in relazione ad una causa promossa dal fallimento di una società a responsabilità limitata che ha convenuto in giudizio gli amministratori della stessa per ottenerne la condanna, in solido, al risarcimento dei danni cagionati alla società, poi fallita, in conseguenza di vari atti di mala gestio compiuti.

(Massime a cura di Carola Passi)




Tribunale di Brescia, sentenza del 3 novembre 2022, n. 2656 – società, società a responsabilità limitata, invalidità delle decisioni dei soci

Il socio che ha impugnato il bilancio di esercizio per violazione dei principi inderogabili di rappresentazione chiara, veritiera e corretta ha interesse ad impugnare, per i medesimi vizi, anche le deliberazioni di approvazione dei bilanci relativi agli esercizi successivi. Tale interesse non dipende unicamente dalla frustrazione dell’aspettativa del socio  a percepire un dividendo o, comunque, un immediato vantaggio patrimoniale derivante da una diversa e più corretta formulazione del bilancio, ma anche dal fatto  che la poca chiarezza o la scorrettezza del bilancio non permette al socio di avere tutte le informazioni – destinate a riflettersi anche sul valore della singola quota di partecipazione – che tale documento contabile dovrebbe fornire, ed alle quali il socio impugnante legittimamente aspira attraverso la declaratoria di nullità e il conseguente obbligo degli amministratori di predisporre un nuovo bilancio emendato dai vizi del precedente..  Pertanto, sino a che gli amministratori non abbiano ottemperato all’obbligo di adottare i provvedimenti conseguenti all’accoglimento dell’impugnazione avente ad oggetto la deliberazione di approvazione del bilancio di esercizio precedente, il socio impugnante preserva il proprio interesse (con correlata facoltà) a esercitare l’azione di impugnazione delle delibere di approvazione dei bilanci successivi, ancorché le impugnazioni siano tutte fondate sui medesimi motivi.

Assolvendo il bilancio una funzione rappresentativa della situazione patrimoniale e finanziaria della società cui si riferisce, nonché del suo risultato economico al termine dell’esercizio, tale da fornire ai soci e ai terzi tutte le informazioni previste dagli artt. 2423 e ss. c.c., devono considerarsi irrilevanti, rispetto alle  domande di invalidità della delibera di approvazione del bilancio, deduzioni incentrate su illeciti perpetrati dagli amministratori – seppur lesivi dell’integrità e del valore del patrimonio sociale –in assenza di allegazioni con riguardo alla violazione di norme e principi che presiedono alla loro corretta rappresentazione in bilancio.

Al fine di garantire la veridicità e correttezza del bilancio devono essere osservate le norme di dettaglio che indicano per ciascuna voce le condizioni per la relativa appostazione e le disposizioni codicistiche in materia di bilancio, completate e integrate dai principi contabili di riferimento. La violazione delle predette disposizioni tuttavia determina la non veridicità del bilancio solo quando le conseguenze di tali irregolarità sono “rilevanti” e arrecano un effettivo pregiudizio alla funzione informativa del bilancio.

L’effettuazione di operazioni in conflitto di interessi, anche se non concluse a normali condizioni di mercato, non pregiudica la veridicità del bilancio qualora venga fornita adeguata informazione in nota integrativa.

I principi sono stati espressi nell’ambito di un giudizio promosso dal socio di una società a responsabilità limitata in stato di liquidazione, finalizzato ad accertare l’invalidità della deliberazione di approvazione del più recente bilancio di esercizio di detta società.

La società convenuta, costituendosi, innanzitutto ha eccepito la carenza di un interesse ad agire dell’attore sostenendo che lo stesso, avendo impugnato il bilancio di esercizio precedente per violazione dei principi inderogabili di rappresentazione chiara, veritiera e corretta, non  avesse un interesse giuridicamente rilevante ad impugnare, per i medesimi vizi, il bilancio relativo agli esercizi successivi e, in secondo luogo, ha contestato la genericità e l’indeterminatezza della domanda dell’attore, essendo la stessa diretta a contestare atti gestori asseritamente negligenti e dannosi piuttosto che la violazione dei principi contabili adottati dal redattore nella predisposizione del bilancio e la violazione delle norme di cui agli artt. 2423 s.s. c.c. Nel merito la convenuta contestava le allegazioni dell’attore e chiedeva il rigetto della domanda da questo formulata.

Il Tribunale, nel merito, ha rigettato in toto la domanda dell’attore rilevando, inter alia, la scarsa attinenza tra i fatti allegati in atto di citazione ed eventuali vizi del bilancio e, pertanto, lo ha condannato a tenere indenne la società convenuta delle spese di lite.

(Massime a cura di Giada Trioni)