Sentenza del 5 gennaio 2021 – Giudice designato: Dott. Stefano Franchioni

Ai sensi dell’art. 67, comma 2, l.f. sono revocati i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili compiuti entro sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento, se la curatela dimostra che l’altra parte conosceva lo stato d’insolvenza del debitore e, laddove alla domanda di concordato preventivo sia seguita la dichiarazione di fallimento, l’art. 69 bis, comma 2, l.f. prevede la retrodatazione del termine iniziale di decorrenza del c.d. “periodo sospetto” al giorno della pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese. 

Rappresentano circostanze che consentono di fondare l’accertamento della scientia decoctionis la mancanza di contestazioni da parte della debitrice circa l’esistenza dei crediti azionati, l’accettazione da parte della creditrice di pagamenti rateali del debito a fronte della disponibilità di un titolo giudiziale esecutivo, l’inadempimento della debitrice rispetto ai primi due piani di rientro accordati ed il pagamento del terzo piano di rientro mediante cambiali (conf. Cass. n. 24937/2007). 

La prova della scientia decoctionis non è ricavabile dalla mera esistenza di esecuzioni individuali in quanto non soggette a forme pubblicitarie. Siffatta prova può essere raggiunta attraverso la dimostrazione della diffusione di notizie sulla situazione di dissesto in cui versa una società di rilevanti dimensioni in considerazione dell’elevatissimo numero di procedure esecutive incardinate tra gli operatori del settore territorialmente contigui (conf. Cass. n. 5256/2010).

Principi espressi in caso di accoglimento della domanda ex art 67 l.f., con la quale il fallimento ha agito per la revoca di pagamenti eseguiti dalla società in bonis nel semestre anteriore alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso per concordato preventivo c.d. “con riserva” presentato dalla società poi fallita. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 26 ottobre 2019 – Giudice designato: Dott. Stefano Franchioni

La ratio della revocatoria fallimentare di cui all’art. 67 l. fall. è quella di tutelare la par condicio creditorum attraverso la ricostituzione del patrimonio dell’impresa, eventualmente depauperato nel periodo antecedente al fallimento. 

Con l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. (che esclude dalla revocatoria “i pagamenti di beni e servizi effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso”) si è inteso evitare che l’impresa in difficoltà si potesse trovare in una situazione di “isolamento” e paralisi, ma ciò limitatamente ai beni e servizi strumentali all’esercizio dell’ordinaria attività tipica, non potendosi estendere l’esenzione ad ogni pagamento tempestivamente effettuato con mezzi normali per qualsivoglia obbligazione contratta dall’imprenditore.

Con l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. f), l. fall. (che esclude dalla revocatoria “i pagamenti dei corrispettivi per prestazioni di lavoro effettuate da dipendenti ed altri collaboratori, anche non subordinati, del fallito”) si è inteso tutelare, oltre ai dipendenti, i creditori privilegiati per prestazioni di lavoro rese personalmente con particolare riferimento, a titolo esemplificativo, ai professionisti ex art. 2751-bis, comma 1, n. 2, c.c., agli agenti ex art. 2751-bis, comma 1, n. 3, c.c. (per questi ultimi è possibile sostenere anche l’applicabilità della lett. a), nonché ai lavoratori parasubordinati.

La conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo contraente, rilevante ai fini della revocatoria ex art. 67, comma 2, l. fall., deve sì essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività (ex multis, Cass. Civ. n. 3854/2019).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da un fallimento nei confronti di un fornitore per ottenere la revocatoria ex art. 67, comma 2, l. fall. di un pagamento eseguito nel semestre anteriore alla dichiarazione di fallimento. Parte convenuta aveva eccepito la non revocabilità del pagamento ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. a) e f), l. fall.

Si è esclusa l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. a), l. fall. atteso che il servizio fornito dalla convenuta (analisi di eventuali anomalie nei contratti di leasing e finanziamento) era estraneo all’ordinaria attività della società poi fallita (commercio di calzature sanitarie e prodotti accessori) con la conseguenza che il relativo pagamento non poteva essere ritenuto irrevocabile ai sensi della disposizione invocata per il solo fatto di essere stato effettuato nei termini e tramite bonifico bancario.

Si è altresì esclusa l’esenzione di cui all’art. 67, comma 3, lett. f), l. fall. atteso che parte convenuta (società per azioni) con cui la società fallita era entrata in contatto per la prima volta in prossimità del fallimento e che per sua stessa ammissione si è avvalsa di soggetti esterni per l’espletamento dell’incarico, non poteva essere considerata un “collaboratore” della fallita ai sensi della richiamata disposizione.

Sulla scorta di dichiarazioni testimoniali e dalle informazioni riportate negli appunti scritti da una collaboratrice esterna della società convenuta (e a questa trasmessi) si è ritenuta accertata la sussistenza di indizi gravi, precisi e concordanti circa la conoscenza dello stato di insolvenza della società poi fallita.

(Massime a cura di Filippo Casini)




Sentenza del 5 settembre 2019 – Giudice designato: dott. Stefano Franchioni

L’ordinanza di assegnazione del credito pignorato, emanata a seguito della positiva dichiarazione del terzo, rappresenta l’atto conclusivo del procedimento di espropriazione presso terzi e determina il trasferimento coattivo del credito pignorato dal debitore esecutato al creditore. Non rileva a tal fine il disposto dell’art. 2928 c.c., secondo il quale il diritto dell’assegnatario verso il debitore si estingue solo con la riscossione del credito assegnato: tale disposizione infatti non ha l’effetto di perpetuare la procedura esecutiva, ma ha solo effetti sostanziali a maggior tutela del creditore in modo da consentirgli, in caso di mancata riscossione, di intraprendere un nuovo procedimento esecutivo in base al medesimo titolo (conf. Cass. 3.8.2017, n. 19394).

L’art. 168, co. 1, l.f., che fa divieto ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore “dalla data della presentazione del ricorso per l’ammissione al concordato fino al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione”, non può ritenersi applicabile anche al pagamento del terzo pignorato effettuato in adempimento dell’ordinanza di assegnazione del credito emessa prima del deposito del ricorso per concordato preventivo.

Non essendo applicabili al concordato preventivo gli artt. 44 e 64 ss. l.f., non richiamati dall’art. 169 l.f., il pagamento di un debito preconcordatario deve ritenersi in sé legittimo, in quanto atto di ordinaria amministrazione, purché non integri l’ipotesi di un atto “diretto a frodare le ragioni dei creditori”,  sanzionabile con la dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 173, co. 2, e revocabile in forza dell’art. 167, co. 2, l.f. Tale ipotesi non ricorre nel caso in cui il creditore che ha instaurato un pignoramento presso terzi abbia ricevuto il pagamento da parte del debitor debitoris per ordine del giudice, in forza di un’ordinanza di assegnazione che sia stata emessa anteriormente al deposito del ricorso per concordato preventivo (conf. Cass.  07.06.2016, n. 11660).

In caso di soddisfacimento delle ragioni dei creditori mediante espropriazione presso terzi, gli atti soggetti a revocatoria ex art. 67 l.f. compiuti nel c.d. “periodo sospetto” non sono i provvedimenti del giudice dell’esecuzione (assegnazione di un credito vantato dal fallito presso terzi), ma i soli successivi (e distinti) atti di pagamento coattivo in tal modo conseguiti, per cui, ai fini del computo di detto “periodo sospetto”, occorre far riferimento, al pari del pagamento spontaneo, alla data in cui il soddisfacimento sia stato concretamente ottenuto con la ricezione, da parte del creditore, della somma ricavata dall’esecuzione (conf. Cass. 18.06.2014, n. 13908).

La conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo deve essere effettiva, ma può essere provata anche con indizi e fondata su elementi di fatto, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di tale effettività (conf. Cass. 08.02.2019, n. 3854).

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di una domanda di revocatoria fallimentare ex art. 67, 2° co., l.f. In particolare, la vicenda trae origine dal mancato pagamento di un debito per forniture da parte di una società, la quale, a causa del suo perdurante inadempimento, costringeva il creditore, ottenuto il decreto ingiuntivo al quale veniva apposta la formula esecutiva a seguito della mancata opposizione, a notificare il pignoramento presso terzi, chiamando come debitor debitoris un istituto di credito dal quale riceveva, dopo la pronuncia dell’ordinanza di assegnazione delle somme emanata dal giudice dell’esecuzione, il pagamento del credito. 

Nelle more del procedimento esecutivo la società debitrice depositava domanda di concordato preventivo con riserva exart. 161, 6° co., l.f. e, a seguito di rinuncia a tale domanda, veniva dichiarata fallita dal Tribunale di Brescia. Il Curatore del fallimento di detta società conveniva quindi in giudizio la società creditrice assegnataria del credito pignorato per ottenere la declaratoria di inefficacia ex art. 168 l.f. o, in subordine, ex art. 67, 2° co., l.f., del pagamento da questa ottenuto ad esito del pignoramento presso terzi e la condanna della stessa alla restituzione alla Curatela della somma incassata, oltre interessi.

Sul punto il Tribunale ha affermato che la procedura esecutiva (pignoramento presso terzi) si è conclusa prima del deposito del ricorso ex art. 161, 6° co., l.f. da parte della società debitrice, e precisamente con l’emissione da parte del giudice dell’esecuzione dell’ordinanza di assegnazione delle somme. Per tale motivo il tribunale non ha ritenuto applicabile al caso di specie l’art. 168 l.f., il quale vieta di (iniziare o) proseguire azioni esecutive pendenti al momento del deposito del ricorso, non potendo considerarsi tale il pignoramento presso terzi oggetto di causa. Infatti, anche se il pagamento da parte del debitor debitoris era avvenuto dopo il deposito da parte della società debitrice della domanda di concordato preventivo, detto pagamento non poteva ritenersi riconducibile al disposto dell’art. 168, 1° co., l.f., dal momento che al concordato preventivo non si applicano l’art. 44 l.f., che sancisce l’inefficacia rispetto ai creditori concorsuali degli atti e dei pagamenti eseguiti o ricevuti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, né gli artt. 64 ss. l.f., essendo applicabili le sole disposizioni richiamate dall’art. 169 l.f., tra le quali non figurano le norme citate. Ne consegue che il pagamento di un debito preconcordatario deve ritenersi in sé legittimo, in quanto atto di ordinaria amministrazione, purché non integri l’ipotesi di un atto “diretto a frodare le ragioni dei creditori”, e, quindi, sanzionabile con la dichiarazione di fallimento ai sensi dell’art. 173, 2° co., l.f. e revocabile in forza dell’art. 167, 2° co., l.f.. Poiché nel caso di specie non sono stati ritenuti ravvisabili i presupposti della frode dei creditori ex art. 173 l.f., avendo il creditore ricevuto il pagamento da parte del debitor debitoris per ordine del giudice, emesso anteriormente al deposito del ricorso per concordato preventivo, il tribunale bresciano ha escluso la sussistenza dei presupposti per dichiarare inefficace detto pagamento ex art. 168 l.f.

Il Tribunale di Brescia ha ritenuto invece sussistenti i presupposti dell’azione revocatoria ex art. 67, 2° co., l.f., con riguardo agli atti di pagamento coattivo conseguito dal creditore procedente, trattandosi del pagamento di un debito liquido ed esigibile effettuato nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento ed essendo stata fornita la prova della scientia decoctionis del creditore, che si era trovato nella necessità di agire esecutivamente contro la debitrice per ottenere il pagamento coattivo del proprio credito.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)