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Tribunale di Brescia, sentenza dell’11 luglio 2023, n. 1791 – s.p.a., compenso dell’amministratore, eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. 

Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, il sinallagma alla cui tutela è predisposto il rimedio di cui all’art. 1460 c.c. va considerato separatamente per ogni singola prestazione in cui si articola il contratto perché l’esecuzione ha luogo per coppie di prestazioni da eseguirsi contestualmente e con funzione corrispettiva. Ogni prestazione eseguita costituisce un adempimento integrale e completo cui deve conseguire una controprestazione corrispondente, senza possibilità di sollevare un’eccezione di inadempimento, che non esiste in relazione a quella coppia specifica di prestazione-controprestazione. Ne deriva che l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere utilmente fatta valere solo allorché attenga temporalmente e logicamente alla prestazione di riferimento, rispetto alla controprestazione richiesta all’eccipiente (cfr. Cass. n. 4225/2022 e Cass. n. 7550/2012)

In materia di compenso spettante all’amministratore di società di capitali, esiste un nesso sinallagmatico di tipo contrattuale (sia pure originato all’interno di un rapporto di natura associativa) tra adempimento dei doveri dell’amministratore (la cui violazione è altresì fonte di responsabilità) e diritto al relativo compenso, pertanto la società può sollevare l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. per opporsi alla richiesta del suo ex amministratore di ottenere il pagamento del compenso, allegando l’inadempimento o il non corretto adempimento degli obblighi dal medesimo assunti. In tal caso il giudice è tenuto a procedere ad una valutazione comparativa dei comportamenti delle parti contrapposte, tenendo conto non solo dell’elemento cronologico, ma anche dei rapporti di causalità e proporzionalità esistenti tra le prestazioni inadempiute e della loro incidenza sulla funzione economico-sociale del contratto (cfr. Cass. n. 29252/2021; Cass. n. 12978/2002). Ne consegue che il rifiuto della società di pagare il compenso dell’ex amministratore sollevando l’eccezione di inadempimento è ammissibile limitatamente al corrispettivo maturato nel periodo relativamente al quale sussistono i lamentati inadempimenti.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso da una società per contestare la richiesta di pagamento del compenso formulata in sede monitoria dal suo ex amministratore sollevando l’eccezione di cui all’art. 1460 c.c. L’opposizione è stata rigettata in quanto gli inadempimenti allegati dall’opponente consistevano in condotte realizzate nel corso dell’esercizio precedente rispetto a quello in cui erano maturati i compensi oggetto di ingiunzione, sicché è stato ritenuto insussistente il rapporto sinallagmatico tra detti inadempimenti e l’obbligazione di pagamento degli emolumenti azionati dall’ex amministratore. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni) 




Sentenza del 12 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

La natura della responsabilità dell’amministratore ex art.
2395 c.c. è, secondo l’opinione largamente prevalente in giurisprudenza,
extracontrattuale. Oggetto di risarcimento è il danno “direttamente” subito dal
socio o dal terzo: infatti “[l]’art. 2395 c.c. esige, ai fini dell’esercizio
dell’azione di responsabilità del socio nei confronti degli amministratori, che
il pregiudizio subito dal socio non sia il mero riflesso dei danni
eventualmente arrecati al patrimonio sociale, ma gli derivi direttamente come
conseguenza immediata del comportamento illecito degli amministratori” (Cass.
n. 15220/2010).

L’inadempimento
contrattuale di una società di capitali non implica automaticamente la
responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell’altro
contraente ai sensi dell’art. 2395 c.c., atteso che tale responsabilità, di
natura extracontrattuale, richiede la prova di una condotta dolosa o colposa
degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il
danno patito dal terzo contraente (Cass. n. 15822/2019). Infatti, la
responsabilità ai sensi dell’art. 2395 c.c. presuppone un fatto illecito dell’amministratore,
consistente nella violazione, dolosa o colposa, di uno dei doveri inerenti alla
carica gestoria, causalmente idoneo a determinare un danno che incide
direttamente sul patrimonio del socio o del terzo.

Anche
a voler attribuire all’assegno una generica funzione di rafforzamento della
sicurezza dei traffici commerciali, in quanto pagabile “a vista”, in presenza
di debiti accumulati dalla società cliente per precedenti forniture non pagate,
la garanzia associata alla consegna di assegni postdatati apparirebbe oltremodo
labile a qualunque fornitore non del tutto sprovveduto: ne deriva la
consapevole assunzione, da parte del fornitore, del rischio di mancato
pagamento delle forniture corrispondenti agli assegni medesimi, situazione che
elide il nesso di causa necessario ai fini dell’accertamento della
responsabilità dell’amministratore per danno diretto procurato al terzo.

Principi
espressi a seguito del giudizio intrapreso ai sensi dell’art. 2395 c.c. dal
fornitore nei confronti dell’amministratore unico della società cliente, il
quale gli aveva offerto assegni postdatati a pagamento della fornitura, assegni
dei quali veniva successivamente denunciato lo smarrimento da parte
dell’amministratore, impedendone l’incasso.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Decreto del 12 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

La verifica della concreta ricorrenza
della fattispecie dell’abuso del diritto, evocata dal notaio verbalizzante per
il diniego dell’iscrizione della deliberazione (di riduzione del capitale
sociale per perdite nella misura di cui all’art. 2447 c.c., con contestuale
aumento nel rispetto del diritto di opzione e con delega al liquidatore per
l’assegnazione della parte inoptata) assunta dall’assemblea straordinaria di
una s.p.a. in pendenza di liquidazione, alla luce della complessità
dell’accertamento della sussistenza dei suoi elementi costitutivi, esula dal
controllo di legittimità spettante al notaio ai sensi dell’art. 2436 c.c.,
atteso che essa potrebbe difficilmente conciliarsi con la sommarietà del
predetto controllo e che la deliberazione annullabile risulta comunque idonea a
produrre effetti, salva la facoltà dei soci, ove legittimati, di esercitare
l’azione di annullamento, entro precisi limiti temporali.

In tema di s.p.a., deve essere negata
l’ammissibilità dell’iscrizione delle deliberazioni assunte dall’assemblea
straordinaria in pendenza di liquidazione aventi ad oggetto la “delega al
liquidatore per ulteriore aumento di capitale e/o versamenti in conto
finanziamenti infruttiferi dei soci anche non in proporzione alle azioni
possedute e secondo le necessità della liquidazione”
e la “delega al
liquidatore per l’acquisto di azioni proprie fino al 25% del capitale sociale
al valore nominale ex art. 2357, comma 3, c.c.”
, laddove le motivazioni di
tali delibere, difficilmente conciliabili con la fase liquidatoria, non siano
state esplicitate nel verbale assembleare né, successivamente, nel ricorso con
cui il liquidatore della società chiedeva al Tribunale di ordinarne
l’iscrizione.

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso con ricorso ai sensi dell’art. 2436, terzo comma, c.c. dal liquidatore
di una s.p.a. avverso il diniego da parte del notaio all’iscrizione nel
Registro delle Imprese delle deliberazioni assunte dall’assemblea straordinaria
aventi ad oggetto: 1. la variazione della sede sociale; 2. la variazione dello statuto
con la previsione dell’assemblea in videoconferenza; 3. la riduzione del
capitale sociale per perdite a norma dell’art. 2447 c.c.; 4. l’aumento del
capitale sociale con diritto di opzione; 5. la delega al liquidatore in materia
di assegnazione ai soci per la parte inoptata; 6. la delega al liquidatore per
un ulteriore aumento di capitale e/o per versamenti in conto finanziamenti
infruttiferi dei soci, anche non in proporzione alle azioni possedute e secondo
le necessità della liquidazione; 7. la delega al liquidatore per l’acquisto di
azioni proprie fino al 25% del capitale sociale al valore nominale ex art.
2357, comma 3, c.c.; 8. la modifica della delibera di determinazione del
compenso del liquidatore; 9. l’adeguamento dello statuto alla vigente normativa.

Con il proprio diniego all’iscrizione, il
notaio verbalizzante rilevava la probabile illegittimità delle deliberazioni
assunte dalla citata assemblea, sulla base delle seguenti considerazioni: (i)
la “riduzione del capitale ed il suo contestuale aumento, finalizzato al
ripianamento delle perdite risultanti dalla situazione patrimoniale potrebbe
essere una operazione non ammissibile o comunque inutile se posta in essere
durante la fase liquidatoria”; (ii) la fattispecie “potrebbe essere ricondotta
alla figura giurisprudenziale, oramai consolidata e comportante annullamento di
delibera, del c.d. abuso del diritto e/o eccesso di potere della maggioranza”.

Con il ricorso, il liquidatore rappresentava
in particolare che il deliberato aumento di capitale fosse funzionale al
reperimento di nuova liquidità per l’“indispensabile espletamento di ogni fase
prevista dalla legge per la liquidazione del patrimonio sociale”, in ragione
del fatto che “le casse della Società (…) risultavano essere pressoché vuote”.
Egli pertanto chiedeva di ordinare alla Camera di Commercio competente di
procedere all’iscrizione nel Registro delle Imprese dell’integrale contenuto
del verbale della predetta assemblea straordinaria.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza dell’8 gennaio 2021 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In tema di sequestro
conservativo, il requisito del periculum in mora
può essere integrato, in via anche alternativa, sia da elementi oggettivi,
riguardanti la consistenza del patrimonio del debitore sotto il profilo
qualitativo (ad esempio la liquidità dei beni ivi inclusi) e quantitativo, in
rapporto all’entità del credito fatto valere, sia da elementi soggettivi,
connessi al comportamento del debitore, laddove quest’ultimo agisca con
modalità tali da accrescere il ragionevole rischio di depauperamento del
patrimonio ovvero da evidenziare la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento.

I principi sono stati espressi
nel giudizio volto ad ottenere la concessione del sequestro conservativo nei
confronti dei sindaci di una s.p.a. per l’asserita responsabilità concorrente
di costoro in relazione a condotte omissive poste in essere dall’amministratore
unico della predetta società, conseguenti al mancato versamento di imposte e
contributi previdenziali.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 26 novembre 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

La eventuale determinazione di un sovrapprezzo in sede di delibera assembleare di aumento del capitale rileva ai fini della potenziale lesione dell’interesse individuale di un socio, dato dal fatto di avere pagato un corrispettivo “eccessivo” rispetto al valore reale del complesso di azioni sottoscritte; non incide, però, su interessi generali tali da evocare la sanzione della nullità.

Essa rappresenta infatti un’ipotesi diversa dalla delibera di approvazione del bilancio, rispetto alla quale l’eventuale violazione dei criteri di valutazione previsti dall’art. 2426 c.c. potrebbe astrattamente rilevare sotto il profilo della nullità, investendo interessi di portata generale (i.e. l’affidamento dei terzi sulla veridicità delle poste di bilancio).

La funzione del sovrapprezzo nell’ambito degli aumenti di capitale è quella di adeguare il prezzo di emissione delle nuove azioni alla consistenza patrimoniale della società, rappresentando la differenza tra tale prezzo e il valore nominale dell’azione, precisandosi che la previsione di un sovrapprezzo è di regola eventuale, salva l’ipotesi di cui all’art. 2441, comma 6, c.c. Il processo di determinazione del sovrapprezzo è normalmente ancorato alla valutazione effettiva del patrimonio netto della società, a valori correnti di mercato, anche nelle ipotesi in cui l’applicazione di tale criterio porti a valori non pienamente coerenti con le risultanze contabili, discendenti da un regime normativo autonomo.

La fissazione, in sede di aumento di capitale, di un prezzo di emissione delle nuove azioni, che assume ipoteticamente un valore patrimoniale della società maggiore di quello reale, si risolve a beneficio di creditori e terzi, nella misura in cui comporta una maggiore patrimonializzazione della società, con un corrispondente incremento della riserva da sovrapprezzo delle azioni.

I principi sono stati espressi nel corso di un procedimento finalizzato a dichiarare la nullità di una delibera assembleare di aumento di capitale per violazione delle norme in materia di bilancio ed in particolare dell’art. 2426 c.c., in ragione della sopravvalutazione del principale bene all’attivo della società, la quale aveva conseguentemente determinato la sopravvalutazione del sovrapprezzo deliberato dall’assemblea nell’ambito della ricapitalizzazione della società.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 11 settembre 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice Relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Ai
fini della valutazione della competenza del tribunale correttamente adito
secondo i criteri di competenza di cui al d.lgs. 168/2003, in difetto di
espressa previsione legislativa, la chiamata in garanzia di un soggetto avente
personalità giuridica di diritto straniero non può determinare l’incompetenza
sopravvenuta, né con
riferimento alla causa di garanzia, ove la chiamata del terzo sia stata
autorizzata dal giudice al fine di realizzare il simultaneus processus, né tantomeno in relazione alla
causa principale, rispetto alla quale la società straniera non è neppure parte
(conf. Trib.
Bologna, 7 marzo 2018, Trib. Brescia, ord. 16.2.2019).

La
responsabilità dell’organo di amministrazione nell’ambito di una operazione di
acquisizione societaria che si è rilevata successivamente economicamente
sfavorevole non può essere ravvisata per il solo fatto che esso non ha
abbandonato l’operazione, ma deve essere valutata alla luce delle modalità con
le quali sono stati gestiti i rischi emersi dalle analisi di due diligence, dovendosi ricordare che l’attività di impresa presenta rischi intrinseci
che non possono essere del tutto azzerati e certi settori, come quelli ad
elevata vocazione tecnologica (caratteristica che connotava l’attività della
società in esame
) risultano naturalmente più rischiosi di altri. (Nel
caso di specie, il collegio ha valutato favorevolmente la scelta dell’organo di
amministrazione di strutturare diversamente l’operazione a fronte dei profili
di attenzione segnalati nel report della
due diligence optando per una
soluzione che fornisse ulteriori elementi informativi idonei a supportare la
congruità del valore economico dell’operazione concordata tra le parti
).

In presenza di
situazioni di conflitto di interessi in capo ad alcuni amministratori tali da
far ritenere il principio della business judgment rule non pienamente
applicabile all’operazione, l’adozione di una serie di misure “rafforzate”,
procedurali e di governance, possono essere idonee a sterilizzare i
rischi associati alla stessa. ( Nel caso di specie, il collegio ha ritenuto
che l’adozione di misure rafforzate quali: l’affidamento ad un professionista
indipendente del compito di accertare la congruità del prezzo dell’Operazione
dal punto di vista dell’acquirente, la costituzione di un comitato ristretto
composto da consiglieri disinteressati, il coinvolgimento del collegio
sindacale e il mancato voto in consiglio da parte degli amministratori
portatori di interessi in conflitto, siano state idonee a sterilizzare i rischi
connessi alla presenza situazioni di conflitto di interesse che riguardavano
l’operazione in questione).

La mancata
attivazione della clausola contrattuale di indennizzo da parte degli
amministratori previsto nel contratto di acquisizione della quota di
partecipazione rappresenta una perdita di chance, impendendo alla società la
chance di ottenere ristoro del pregiudizio subito, in via amichevole o a
seguito di contenzioso. In questa ipotesi, le valutazioni in punto di nesso
eziologico impongono di ritenere sussistente il danno – in conseguenza
dell’omissione – solo qualora l’applicazione di criteri probabilistici porti ad
accertare che, in mancanza dell’omissione stessa, il risultato vittorioso
sperato sarebbe stato ottenuto (conf. Cass. n.22026/04, Cass. n. 10966/04, Cass. n. 21894/04, Cass. n. 6967/06,
Cass. n. 9917/2010). La prova della sussistenza del nesso eziologico e del
danno è a carico del soggetto danneggiato, sul quale in riferimento alla
consistenza della chance incombe l’onere di provare la sussistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in
termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza
di un pregiudizio economicamente valutabile (conf. Cass. n. 15385/2011).

Principi
espressi in ipotesi di rigetto dell’azione di responsabilità sociale promossa
dalla società, poi dichiarata fallita in corso causa, nei confronti degli amministratori
in carica all’epoca dei fatti, i quali avrebbero concluso, asseritamente in
violazione dei doveri propri di amministratori, una operazione di acquisizione
di partecipazioni di una società, la quale è risultata economicamente
pregiudizievole per la società acquirente avendo registrato la società
acquisita un notevole decremento del proprio fatturato sin dall’anno successivo
all’operazione.

Nel
caso di specie, l’attore lamenta che:

  1. gli amministratori avrebbero concluso
    tale operazione con una società riconducibile ad uno degli amministratori del
    proprio consiglio di amministrazione, pertanto in presenza di un evidente
    conflitto di interessi, ad un prezzo di molto superiore rispetto al reale
    valore della società;
  2. la mancata attivazione degli obblighi
    di indennizzo previsti nel contratto di cessione della quota di partecipazione
    a fronte della incorrettezza delle dichiarazioni e garanzie rilasciate dalla
    società venditrice.

(Massime a cura di Giorgio Peli)




Sentenza 17 marzo 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

In tema di offerta pubblica di acquisto (c.d. o.p.a.), la responsabilità degli amministratori della società emittente per le inesattezze o carenze del comunicato ex art. 103 T.U.F. può essere affermata solo quando risultino omesse o falsamente rappresentate informazioni rilevanti in ordine ai dati realmente utili per l’apprezzamento dell’offerta o quando la valutazione operata dall’organo gestorio si fondi su presupposti macroscopicamente errati o risulti in palese contrasto con le informazioni correttamente acquisite. Ne consegue che laddove risulti la sostanziale adeguatezza delle informazioni relative ai dati utili per l’apprezzamento dell’offerta e la correttezza della valutazione dell’o.p.a. da parte degli amministratori, non potrà trovare accoglimento l’azione di responsabilità promossa individualmente dai soci ex art. 2395 c.c.

Principio espresso nel giudizio promosso dai soci di una s.p.a. ex art. 2395 c.c. contro i componenti del consiglio di amministrazione, al fine di ottenerne la condanna solidale al risarcimento dei danni direttamente subiti dai soci-attori, in conseguenza dell’asserita inadeguatezza del contenuto del comunicato ex art. 103, co. 3, Testo Unico della Finanza.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 21 gennaio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani

Ai fini dell’applicazione del disposto di cui all’art 2409 c.c., non è incompatibile con la presenza di un organo amministrativo collegiale la denuncia di gravi irregolarità mossa nei confronti di una parte soltanto dei componenti di detto organo, posto che la presenza di un consiglio di amministrazione non implica che le decisioni assunte a maggioranza dei suoi membri siano soggettivamente riferibili, quali gravi irregolarità, sempre e comunque a tutti i suoi componenti.

I requisiti richiesti ai fini dell’accoglimento del ricorso ex art 2409 c.c. sono l’attualità delle irregolarità censurate e il potenziale danno per la società. Tale procedimento, infatti, ha natura e finalità latu sensu cautelari, in quanto diretto all’emanazione di provvedimenti, disposti nell’interesse della società ad una corretta amministrazione, che si esauriscono in misure cautelari e provvisorie (conf. Cass. n. 30052/2011 e Cass. n. 6615/2005).

Sotto il primo profilo, le condotte oggetto di denuncia devono essere attuali, non essendo consentita l’adozione di provvedimenti da parte del tribunale laddove i comportamenti censurati abbiano esaurito i loro effetti, posto che il procedimento ex art. 2409 c.c. mira al riassetto amministrativo e non ha finalità immediatamente sanzionatorie (conf. App. Milano, 27.2.1992; App. Cagliari, 13.2.2004.

Sotto il secondo profilo anzidetto, le gravi irregolarità che possono essere denunciate ex art 2409 c.c. devono caratterizzarsi per potenzialità lesiva nei riguardi della società o di una sua controllata ed essere idonee a porre in pericolo il patrimonio sociale o a procurare grave turbamento all’attività sociale. Pertanto, deve ritenersi esclusa l’applicazione del controllo giudiziario a tutte quelle irregolarità informative o puramente formali che, nonostante possano essere gravi, non sono normalmente idonee a produrre effetti negativi immediati e diretti sul patrimonio o sull’attività sociale.

Principi espressi in ipotesi di rigetto di ricorso ex art 2409 c.c. promosso da alcuni soci della società nei confronti di alcuni membri del consiglio di amministrazione asseritamente responsabili di gravi irregolarità nella gestione della società.

(Massime a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 24 settembre 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Alessia Busato

Nel giudizio proposto dalla curatela fallimentare per la condanna al pagamento di un debito di un terzo nei confronti del fallito, l’eccepibilità in compensazione di un credito dello stesso terzo verso il fallito non è condizionata alla preventiva verificazione di tale credito, purché sia stata fatta valere come eccezione riconvenzionale; solo l’eventuale eccedenza del credito del terzo verso il fallito non può essere oggetto di sentenza di condanna nei confronti del fallimento, ma deve essere oggetto di autonomo procedimento di insinuazione al passivo (Cass. n. 287/2009; Cass. n. 15552/2011; Cass. n. 64/2012; Cass. n. 14418/2013; Cass. n. 30298/2017).

La qualità di lavoratore subordinato non è compatibile con quella di amministratore unico di società di capitali datrice di lavoro (e, deve ritenersi, di liquidatore unico legale rappresentante) non essendo configurabile il vincolo di subordinazione ove manchi la soggezione del prestatore ad un potere sovraordinato di controllo e disciplina, escluso dalla immedesimazione in un unico soggetto della veste di esecutore della volontà sociale e di quella di unico organo competente ad esprimerla (conf. Cass. 5352/1998, Cass. n. 1726/1999; Cass. n. 909/2005).

Il pagamento del liquidatore eseguito in favore di un terzo per prestazioni professionali in assenza di incarico scritto, in assenza di accordo sul compenso ed in assenza di rilievo della prestazione professionale eseguita (dal terzo), costituisce comportamento, almeno superficialmente, idoneo a determinare la responsabilità del liquidatore per l’ammanco conseguente il pagamento.

Principi espressi in ipotesi di azione esercitata dalla curatela di una s.p.a. fallita contro il liquidatore unico al fine di ottenere il risarcimento del danno conseguente alla indebita riscossione, diretta o indiretta, di somme nei confronti della società.

 (Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 1° marzo 2019, n. 225 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

Di regola il trasferimento di risorse dalla capogruppo a favore di società controllate, sottoposte a comune attività di direzione e coordinamento, non determina di per sé un depauperamento patrimoniale a danno della capogruppo, laddove il conseguente incremento di valore delle partecipate trovi adeguata rappresentazione nel bilancio della controllante. A differenza, dunque, dei trasferimenti di risorse “verso l’alto”, ossia dalle controllate in favore della capogruppo, laddove i rischi di sottrazione di valore e di distrazione patrimoniale sono insiti nella natura dell’operazione e richiedono perciò la configurazione di vantaggi compensativi, nel caso opposto l’apporto finanziario a sostegno delle società del gruppo, a prescindere dalla veste in concreto assunta (versamento in conto capitale ovvero copertura di perdite), in assenza di profili di anormalità non può essere sindacato ex post e riqualificato.

In tema di sequestro conservativo (richiesto ante causam) a fronte dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., qualora le operazioni contestate (agli amministratori) siano caratterizzate dal conflitto di interessi e siano altresì qualificabili come “operazioni personali”, in quanto aventi per oggetto (e per effetto) quello di mettere a disposizione dei soci e amministratori (o comunque di soggetti a loro correlati in quanto familiari o titolari di cariche all’interno di società del gruppo) beni aziendali per finalità personali, l’onere di provare la congruità delle operazioni incombe sugli amministratori, stante una presunzione semplice di iniquità delle condizioni praticate, derivante dalle predette circostanze.

Ai fini della concessione del sequestro conservativo ante causam, il requisito del periculum in mora può essere integrato, in via anche alternativa, sia da elementi oggettivi, riguardanti la consistenza del patrimonio del debitore sotto il profilo qualitativo (ad esempio liquidità dei beni ivi inclusi) e quantitativo, in rapporto all’entità del credito fatto valere, sia da elementi soggettivi, connessi al comportamento del debitore, laddove quest’ultimo agisca con modalità tali da evidenziare la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento.

I principi sono stati espressi nei giudizi di reclamo (poi riuniti) promossi dagli amministratori (e soci) di una società per azioni, poi fallita, avverso l’ordinanza pronunciata ante causam, strumentale all’avvio dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., che aveva concesso il sequestro conservativo di tutti i beni ed i crediti di cui questi erano titolari. 

Sotto il profilo del fumus boni iuris, l’ordinanza attribuiva rilevanza alle seguenti contestazioni: (i) l’erogazione di finanziamenti da parte della capogruppo in favore di società controllate, seguiti dalla rinuncia alla restituzione delle somme finanziate; (ii) l’omessa riscossione dei canoni di locazione dell’immobile locato ad alcuni dei reclamanti e a persone legate all’altro amministratore da rapporti di parentela, stante il conflitto di interessi ravvisabile in capo agli amministratori/reclamanti; (iii) la prosecuzione dell’attività a dispetto dell’avvenuta perdita del capitale sociale, occultata mediante l’inserimento a bilancio di poste contabili attive fittizie o comunque erronee.

Sotto il profilo del periculum in mora, l’ordinanza cautelare risultava motivata, sul piano oggettivo, dal carattere ingente dei danni cagionati dagli amministratori alla società e ai creditori e dalla consistenza qualitativa dei loro patrimoni, peraltro sproporzionati rispetto all’importo dei presumibili danni sino alla concorrenza del quale la misura cautelare veniva concessa, e, sul piano soggettivo, dall’atteggiamento dei resistenti, orientato al perseguimento di interessi personali a discapito di quelli societari.

(Massima a cura di Marika Lombardi)