Tribunale di Brescia, ordinanza del 26 agosto 2024 – marchio, registrazione in malafede, decadenza, contraffazione

La registrazione di un marchio in malafede, prevista dagli artt. 19, 2° co., c.p.i. e 59, 1° co., lett. b), reg. UE n. 1001/2017, costituisce una causa di nullità del segno che si verifica laddove il registrante, consapevole della legittima aspettativa di tutela di un terzo su un determinato segno distintivo, proceda alla sua registrazione al precipuo scopo di arrecare pregiudizio a tale soggetto, senza un effettivo utilizzo commerciale del marchio.

La decadenza del marchio per non uso non impedisce al titolare di domandarne una nuova registrazione, purché nel frattempo non sia stata depositata, da parte di terzi, domanda di registrazione del medesimo segno per i prodotti o servizi originariamente contraddistinti dal marchio decaduto, o non sia intervenuto il legittimo utilizzo effettivo dello stesso segno da parte di terzi.

La reiterazione della registrazione di un marchio decaduto per non uso non integra automaticamente un’ipotesi di registrazione in malafede, posto che tale condotta può essere considerata illegittima solamente nel caso in cui sia finalizzata esclusivamente a eludere la decadenza stessa (cfr. Cass. n. 24637/2008).

Sussiste contraffazione di un marchio registrato, ai sensi dell’art. 20, 1° co., lett. b), c.p.i., in caso di utilizzo da parte di terzi di un segno identico o simile a detto marchio per prodotti o servizi identici o affini, qualora possa sussistere un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni. La riproduzione di un marchio con marginali variazioni fonetiche (ad esempio, l’aggiunta di prefissi o la sostituzione di lettere), prive di effettiva capacità distintiva, non è sufficiente a escludere il rischio di confusione laddove permanga una sostanziale somiglianza tra i segni.

L’utilizzo non autorizzato di un marchio registrato può compromettere lo sfruttamento economico dello stesso, integrando il requisito del periculum in mora necessario per l’adozione di misure cautelari.

Principi espressi nell’ambito di un procedimento di reclamo promosso avverso l’ordinanza che aveva accolto le istanze cautelari formulate da una società a responsabilità limitata, volte a ottenere la descrizione e l’inibitoria: i) della produzione e commercializzazione di prodotti recanti marchi costituenti contraffazione di segni registrati, nonché ii) dell’utilizzo di segni interferenti con i marchi di titolarità dell’istante. Il Tribunale di Brescia ha, in larga parte, confermato il provvedimento impugnato.

(Massime a cura di Andrea Di Gregorio)




Tribunale di Brescia, ordinanza del 30 luglio 2024, n. 893 – marchio, malafede, registrazione del marchio

La malafede nella registrazione di un marchio si concretizza esclusivamente qualora ricorrano elementi oggettivi e concordanti che dimostrino l’intento di pregiudicare gli interessi di terzi o di ottenere un diritto esclusivo per finalità estranee alla funzione distintiva del marchio stesso. La malafede non può, dunque, essere presunta dal mancato svolgimento di un’attività economica corrispondente ai prodotti e servizi indicati al momento della presentazione della domanda di registrazione, in quanto il richiedente non è tenuto a specificare né a conoscere con esattezza l’uso che intende fare del marchio richiesto; il richiedente dispone, difatti, di un termine pari a cinque anni per dare avvio a un uso effettivo del marchio, conforme alla sua funzione essenziale (Corte Giustizia Unione Europea, Sez. IV, 29/01/2020, n. 371/18).

La nuova registrazione di un marchio identico a quello oggetto di decadenza per il mancato utilizzo del segno nel quinquennio non implica automaticamente la sussistenza di malafede nella registrazione del nuovo marchio: il titolare del marchio decaduto ha, difatti, la facoltà di riprendere l’uso del segno, qualora quest’ultimo non sia stato medio tempore registrato o utilizzato da altri soggetti. Coerentemente, egli potrà validamente procedere a una nuova registrazione del marchio stesso (cfr. Cass. civ., Sez. I, n. 7970/2017).

La malafede nella registrazione di un marchio deve essere ravvisata nel comportamento di chi, eventualmente a conoscenza dell’utilizzo altrui del segno, depositi una domanda di registrazione di marchio senza l’intenzione reale di voler utilizzare quel segno, ma, sostanzialmente, per precludere ingiustificatamente ad altri di poterlo utilizzare sul mercato.

Il rischio di confusione per il pubblico dei consumatori può derivare dall’identità fonetica o da minime variazioni grafiche, come l’aggiunta di prefissi privi di autonoma capacità distintiva, che non alterano il nucleo semantico del marchio registrato.

Principi espressi nell’ambito di un procedimento cautelare promosso da una società a responsabilità limitata per chiedere la descrizione e l’inibitoria della produzione e commercializzazione, nonché il ritiro dal commercio, di dispositivi farmaceutici contraffattori. I resistenti si costituivano eccependo, inter alia, la sussistenza di malafede nella registrazione del marchio da parte del ricorrente.

(Massima a cura di Andrea Di Gregorio)




Tribunale di Brescia, sentenza del 28 dicembre 2023, n. 3416 – registrazione della denominazione, marchio, concorrenza sleale

In materia di società di capitali, l’imprenditore che per primo adotti una determinata denominazione sociale acquista il diritto all’uso esclusivo della stessa, con conseguente obbligo di differenziazione per chi, successivamente, utilizzi una denominazione uguale o simile idonea a generare un rischio di confusione.

Quando due società assumono la medesima denominazione sociale, il conflitto tra le stesse deve essere risolto sulla base del criterio temporale dell’anteriorità nella registrazione della denominazione sociale nel registro delle imprese. A tal proposito, non assume rilievo né il mero pregresso utilizzo della stessa denominazione da parte di altra società, che ha cessato da tempo di operare e che faceva capo a familiari del socio di una della società registrata per seconda, né il fatto che la denominazione di quest’ultima coincida con il cognome di uno di tali soci (cfr. Cass. n. 13921/2021).

La domanda risarcitoria per gli atti di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c. deve comprendere gli elementi puntuali per quantificare il danno asseritamente subito. Il fatto che la società concorrente abbia assunto la stessa denominazione e operi nel medesimo mercato non è sufficiente a tali fini.

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio di merito promosso da una società a responsabilità limitata al fine di sentire accertare e dichiarare che l’utilizzo, da parte della convenuta, della medesima denominazione sociale costituiva una violazione di quanto previsto dall’art. 2569 c.c.

In particolare, l’attrice chiedeva – oltre al ritiro ed al sequestro dal commercio di tutti i prodotti della convenuta recanti il segno in oggetto – il cambio della denominazione sociale, l’inibitoria dell’utilizzo del segno oggetto di marchio registrato nonché il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, patiti in conseguenza della condotta di contraffazione.

(Massime a cura di Edoardo Compagnoni)




Tribunale di Brescia, sentenza del 28 dicembre 2023, n. 3415 – diritto al nome, marchio, concorrenza sleale

Il diritto al nome, disciplinato dall’art. 6 c.c., costituisce una specificazione del c.d. diritto all’identità personale e implica la possibilità di azionare la tutela prevista dall’art. 7 c.c. consistente nella facoltà di richiedere giudizialmente la cessazione dell’utilizzo non autorizzato del proprio nominativo. In difetto di apposita autorizzazione dell’avente diritto, infatti, l’utilizzo del suo nome è illecito e dà luogo a tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. oltre che alla possibilità, per l’autorità giudiziaria, di ordinare la pubblicazione della sentenza.

La presenza non autorizzata di un nominativo associato a prodotti recanti un determinato marchio su un sito internet ovvero su cataloghi pubblicitari di una società è meritevole di tutela inibitoria ex art. 7 c.c. ove sia proposta apposita domanda.

La tutela risarcitoria ex artt. 7 e 2043 c.c. può essere accordata – anche in via equitativa qualora ricorra l’impossibilità o l’estrema difficoltà di provare l’ammontare del danno – soltanto laddove venga debitamente allegato il tipo di danno sofferto e la dimostrazione della sua esistenza. A tali fini la mera presenza non autorizzata su un sito internet e su cataloghi commerciali del nome di un ex collaboratore di una società, congiuntamente all’affermazione che l’indicazione di tale nominativo abbia comportato per controparte vantaggi economici, non sono elementi idonei di per sé ad integrare un’allegazione circa il tipo e l’entità del danno sofferto risultando così non liquidabile, nemmeno in via equitativa.

L’ordine di pubblicazione della sentenza, per estratto, in una o più testate giornalistiche, radiofoniche o televisive e in siti internet ex art. 120 c.p.c. costituisce oggetto di un potere discrezionale del giudice volto ad impartire una sanzione autonoma che, grazie alla conoscenza da parte della collettività della reintegrazione del diritto offeso, assolve ad una funzione riparatoria strumentale ad evitare ulteriori effetti dannosi dell’illecito (cfr. Cass. n. 21651/2023). Tale potere discrezionale non può essere esercitato in una controversia vertente in materia di utilizzo non autorizzato di un nome, qualora l’illecito sia cessato a seguito della notificazione dell’atto di citazione, giacché, in tale ipotesi, non è ravvisabile la necessità di scongiurare, in via preventiva, ulteriori propagazioni di effetti dannosi.

La domanda di risarcimento del danno ex artt. 7 e 2043 c.c. e la domanda riconvenzionale di tipo risarcitorio fondata su asserite lesioni di diritti di proprietà industriale e presunte condotte di concorrenza sleale non si pongono, tra loro in rapporto di connessione oggettiva ex art. 36 c.p.c. che concede al convenuto la facoltà di proporre domanda riconvenzionale sempreché essa dipenda dal titolo dedotto in giudizio dall’attore o da quello che già appartiene alla causa come mezzo di eccezione.

Princìpi espressi in ipotesi di rigetto di una domanda proposta da un ex collaboratore di una società volta ad ottenere il risarcimento del danno asseritamente subito in conseguenza del fatto che la convenuta, cessato il rapporto di collaborazione, aveva indebitamente indicato, per anni, il suo nominativo sul proprio sito internet e su cataloghi commerciali di macchine progettate dall’attore e recanti un marchio originariamente di proprietà di una società della sua famiglia.

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 24 ottobre 2023, n. 2699 – marchio, contraffazione, inibitoria

L’utilizzo di un segno simile al marchio registrato per prodotti o servizi identici o affini integra la contraffazione del marchio se a causa della somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni, secondo quanto disposto dall’art. 20, lett. b), c.p.i.

Il principio in questione è stato espresso nell’ambito di un’azione di accertamento di contraffazione di un marchio registrato e della sussistenza di atti di concorrenza sleale.

(Massima a cura di Cristina Evanghelia Papadimitriu)