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Sentenza dell’11 settembre 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

Il mancato deposito dei bilanci relativi agli esercizi pregressi nonché quello di apertura della liquidazione, non consentendo di ricostruire in alcun modo le cause del depauperamento del patrimonio sociale, costituisce circostanza sufficiente a considerare integrata una condotta illecita del socio unico, amministratore unico e poi liquidatore della società, essendo ignota la sorte delle rilevanti attività risultanti dall’ultimo bilancio approvato.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di un’azione volta nei confronti del socio unico ex amministratore e liquidatore per ottenere il risarcimento del danno patito per la definitiva perdita del credito. In particolare, la società attrice aveva provveduto inizialmente a chiedere in via bonaria alla società debitrice il pagamento della somma dovuta, avendo poi appreso che la società era stata posta in liquidazione volontaria e successivamente cancellata dal Registro delle Imprese, ha richiesto il pagamento del danno al liquidatore della società, in assenza di giustificazioni dello stesso in ordine alla cancellazione della società nonostante risultasse dall’ultimo bilancio approvato un rilevante attivo patrimoniale e un consistente patrimonio netto positivo.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 4 giugno 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

È inammissibile, perché nuova, la domanda di risarcimento del danno presentata nei confronti di una s.r.l. e del socio, qualora l’attore, con la memoria ex art. 183, 6° comma, n. 1, c.p.c., aggiunga alla domanda originaria una domanda (nuova) di condanna nei confronti del socio stesso quale liquidatore della società, abbandonando la domanda nei confronti della società perché cancellata dal Registro delle Imprese. Alla medesima conclusione si perviene anche qualora si ritenga tale domanda siccome sostitutiva dell’originaria proposta nei confronti della società, perché avanzata verso un soggetto diverso da quello originario, a nulla rilevando la (occasionale) presenza in giudizio del convenuto nella differente veste di socio della società cancellata.

Principi espressi nel rigettare l’azione volta ad ottenere la condanna di una s.r.l. in liquidazione e dei soci al pagamento del compenso professionale per l’incarico di liquidatore svolto e subordinatamente al risarcimento in via equitativa per presunto inadempimento contrattuale.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 20 novembre 2019 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

La vendita del bene immobile di proprietà della società amministrata senza incasso (della gran parte) del relativo prezzo (e con rinuncia all’ipoteca legale) integra una condotta contrastante con i più elementari obblighi di diligenza dell’amministratore o del liquidatore, idonea a cagionare un altrettanto palese danno al patrimonio sociale, soprattutto in caso di conclamata insussistenza di risorse finanziarie (o di altra natura) in capo alla società acquirente. 

Integra un atto di mala gestio del liquidatore l’erogazione a proprio favore di pagamenti per compensi dallo stesso deliberati in misura eccessiva in qualità di socio unico della società fallita, trattandosi di una condotta che si pone in contrasto con la situazione di crisi, o più verosimilmente di insolvenza, in cui versava la società, che avrebbe ragionevolmente imposto una più moderata quantificazione del compenso spettante al socio unico per l’attività di liquidazione auto-affidatasi.

Il pagamento “preferenziale” eseguito dall’amministratore o dal liquidatore in favore di un creditore della società poi fallita, anche se non presenta gli estremi dell’illecito penale, è in ogni caso idoneo a cagionare un danno al patrimonio della società di cui il curatore può domandare il ristoro, costituendo violazione degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori. In tali casi il danno non è rappresentato dall’intera somma pagata al creditore, ma dalla differenza fra detta somma e l’importo che, in difetto di pagamento, sarebbe a questo spettato in sede di riparto fallimentare.

Principi espressi dal Tribunale in accoglimento dell’azione di responsabilità proposta dalla curatela nei confronti dell’amministratore unico e poi liquidatore di una s.r.l., per la condanna dello stesso al risarcimento dei danni cagionati al patrimonio della società fallita per effetto di condotte contrarie ai doveri propri delle cariche ricoperte, come la vendita di un immobile sociale senza incasso di gran parte del relativo prezzo, prelievi ingiustificati dai conti correnti della società, pagamenti a sé stesso per compensi del di liquidatore in misura eccessiva e ulteriori pagamenti preferenziali effettuati a favore di alcuni creditori sociali.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza dell’8 ottobre 2019 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

La competenza in tema di azione revocatoria ordinaria si determina in relazione al credito cautelato con tale azione (conf. Cass. n. 5402/2004).

Costituisce una condotta che rivela un’inescusabile negligenza del liquidatore e determina un chiaro danno per i creditori sociali, ai quali sono stati sottratti i beni (o il loro ricavato) destinati alla loro soddisfazione, l’alienazione della gran parte dei beni strumentali della società in liquidazione e la contestuale, immediata e inspiegabile rinuncia, da parte del liquidatore, del credito nei confronti della società acquirente.

In tema di azione revocatoria, sono soggetti a revoca, ai sensi dell’art. 2901 c.c., i contratti definitivi stipulati in esecuzione di un contratto preliminare, ove sia provato il carattere fraudolento del negozio con il quale il debitore abbia assunto l’obbligo poi adempiuto, e tale prova può essere data nel giudizio introdotto con la domanda revocatoria del contratto definitivo, indipendentemente da un’apposita domanda volta a far dichiarare l’inefficacia del contratto preliminare.

Il contratto preliminare di vendita di un immobile non produce effetti traslativi e, conseguentemente, non è configurabile quale atto di disposizione del patrimonio, assoggettabile all’azione revocatoria ordinaria, che può, invece, avere ad oggetto l’eventuale contratto definitivo di compravendita successivamente stipulato; pertanto, la sussistenza del presupposto dell’“eventus damni” per il creditore va accertata con riferimento alla stipula del contratto definitivo, mentre l’elemento soggettivo richiesto dall’art. 2901 c.c. in capo all’acquirente va valutato con riguardo al momento della conclusione del contratto preliminare, momento in cui si consuma la libera scelta delle parti (conf. Cass. n. 15215/2018).

Principi espressi in accoglimento parziale dell’azione volta ad ottenere la condanna del liquidatore di s.r.l nonché la declaratoria di revoca dell’atto di alienazione dei beni da parte del liquidatore alla moglie, in attuazione degli accordi contenuti nel verbale di separazione.

L’attore lamentava di aver maturato un credito nei confronti della società e che, dopo aver ottenuto decreto ingiuntivo, le parti avevano concordato lo stralcio del credito garantito da cambiali con scadenza mensile, titoli che a loro volta non erano più stati soddisfatti. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)