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Ordinanza del 20 dicembre 2019 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In tema di società a responsabilità limitata, deve ritenersi esclusa la possibilità di proporre ante causam la richiesta cautelare di cui all’art. 2476, comma 3, c.c. (conf., ex multis, Trib. Brescia 26.07.2010).

Le motivazioni di detto orientamento sono note e fondate, in primo luogo, sul tenore letterale della norma, ove è previsto che il socio possa “altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca degli amministratori” (connettendo l’iniziativa cautelare di revoca all’esercizio dell’azione di responsabilità), nonché sull’intenzione del legislatore, ricavabile dalla relazione ministeriale illustrativa della riforma di cui al d.lgs. 6/2003, ove si legge (par. 11) che “….da questa soluzione consegue coerentemente il potere di ciascun socio di promuovere l’azione sociale di responsabilità e di chiedere con essa la provvisoria revoca giudiziale dell’amministratore in caso di gravi irregolarità”. 

Detta interpretazione trova conforto anche in indicazioni di carattere sistematico, quali la presenza nell’ordinamento del diritto societario post riforma di ulteriori ipotesi di provvedimenti cautelari ammissibili esclusivamente in corso di causa: si pensi, ad esempio, al rimedio previsto dall’art. 2378, comma 3, c.c. con riferimento alla sospensione dell’esecuzione della deliberazione assembleare oggetto di impugnazione. 

Infine non può essere trascurata la constatazione generale che la portata di un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori, che incide significativamente nella vita di una società di capitali, richiede in capo al giudice un livello adeguato di conoscenza delle ragioni a fondamento dell’azione di responsabilità, ragioni che, di regola, soltanto l’esame dell’atto introduttivo del giudizio di merito (anche se affidato alla cognizione arbitrale) può consentire di conoscere. 

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso con ricorso ex art. 700 c.p.c. dal socio di minoranza di una società a responsabilità limitata contro i componenti dell’organo amministrativo, con cui chiedeva al Tribunale di disporsi in via cautelare la revoca degli amministratori ai sensi dell’art. 2476, comma 3, c.c.

A sostegno della domanda il ricorrente esponeva la sussistenza di gravi irregolarità gestorie e, in particolare, la violazione dell’art. 2359-quinquies c.c., commessa nell’ambito di una operazione di conferimento di ramo d’azienda a favore della controllante, deliberata dall’assemblea della società.

In punto di periculum in mora, il ricorrente lamentava la persistente reiterazione da parte dell’organo di amministrazione di condotte volte al “drenaggio di risorse a favore della controllante”, condotte che il provvedimento cautelare richiesto sarebbe stato idoneo ad impedire “nelle more delle promuovende azioni di merito” aventi a oggetto, tra l’altro, l’esercizio dell’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori medesimi.

Gli amministratori resistenti, costituitisi, eccepivano preliminarmente l’inammissibilità della revoca ante causam degli amministratori di società a responsabilità limitata e l’inammissibilità del ricorso per difetto di residualità e strumentalità, nonché per l’omessa allegazione degli elementi costitutivi della prospettata azione di merito, sotto il profilo della ricostruzione del danno.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 27 novembre 2018 – Presidente: dott. Raffaele del Porto – Giudice relatore: dott.ssa Angelica Castellani

Nell’ipotesi in cui sia domandato il sequestro giudiziario della quota di una s.r.l. (nel caso concreto il 50% di essa) nel corso di una causa volta all’accertamento della nullità o dell’inefficacia della sua cessione, in quanto avvenuta in violazione della clausola statutaria di prelazione, con conseguente domanda di trasferimento della quota stessa ex art. 2932 c.c., non può ritenersi esistente il requisito del fumus boni iuris. La violazione da parte del socio di una s.r.l. della clausola statutaria che contempli il diritto di prelazione degli altri soci per le ipotesi di cessione, totale o parziale, della quota non comporta la nullità del trasferimento avvenuto in violazione di tale patto e nemmeno il diritto del socio pretermesso di riscattare presso il cessionario la quota oggetto di trasferimento. Tale violazione genera, infatti, l’inefficacia della cessione, dalla quale non discende il diritto di riscatto, essendo quest’ultimo un rimedio eccezionale, non suscettibile di applicazione oltre i casi espressamente previsti dalla legge e non estendibile alla prelazione societaria avente natura convenzionale e non legale (conf. Cass. n. 24559/2015 e n. 12370/2014). In tal caso, gli unici rimedi ammissibili sono la tutela risarcitoria, che può essere accordata al socio pretermesso secondo le regole generali in materia di inadempimento delle obbligazioni, e la facoltà della società partecipata di negare all’acquirente l’iscrizione nel libro soci, posto che l’osservanza del meccanismo della prelazione costituisce condizione per l’efficace acquisto della qualità di socio.

Principi espressi in accoglimento del reclamo avverso l’ordinanza cautelare che in corso di causa aveva concesso il sequestro giudiziario della metà di una quota di s.r.l. oggetto di controversia a seguito di cessione avvenuta in violazione del diritto di prelazione previsto dallo statuto sociale.

Ord. 27.11.2018

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Decreto del 24 luglio 2018 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Costituisce principio giurisprudenziale consolidato quello per cui il giudice – anche successivamente all’ammissione al concordato preventivo e quindi, a maggior ragione, nella fase di ammissione – è tenuto ad effettuare una valutazione circa la fattibilità giuridica del piano proposto, sotto il profilo della correttezza giuridica, ed è chiamato a riscontrare i presupposti di ammissibilità alla procedura, ex art. 160 l.f. (conf. Cass. Sez. Unite, 23.01.2013, n.1521).

In caso di concordato in continuità indiretta ex art 186-bis l.f. mediante cessione dell’azienda all’affittuaria, al fine di soddisfare il requisito di cui al co. 2, lett. a), di tale norma, non è sufficiente allegare il bilancio dell’affittuaria, ma è necessario inserire nel piano la valutazione circa la capacità reddituale e finanziaria della stessa nonché l’analisi dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività d’impresa. Tali requisiti vanno peraltro sottoposti al vaglio tecnico e critico dell’attestatore.

Al fine di soddisfare il requisito dell’art. 186-bis, co. 2, lett. b), l.f., la relazione del professionista di cui all’articolo 161, co. 3, l.f. deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano di concordato è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, ma tale attestazione deve essere sorretta da dati concreti, come una perizia di stima del valore dell’azienda, posto che detta relazione deve contenere un’analisi tecnica, nonché un concreto apparato informativo e valutativo che consenta ai creditori di esprimere il giudizio, loro riservato, di convenienza economica del concordato.

Principi espressi in ipotesi di declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo, ex art. 162, co. 2, l.f., avendo il Tribunale ritenuto che essa non fosse sostenuta da un adeguato apparato conoscitivo e valutativo tale da consentire ai creditori di formulare un giudizio di adesione pienamente informato e consapevole.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)