Tribunale di Brescia, sentenza del 21 marzo 2025, n. 1158 – società a responsabilità limitata, contratto di mandato, inadempimento, responsabilità contrattuale della società, responsabilità extracontrattuale degli amministratori per atti dolosi e colposi

La dazione di una somma di denaro dal mandante alla società mandataria, sotto forma di bonifico su conto corrente bancario, determina la confusione del denaro, bene per sua natura fungibile, nel patrimonio di quest’ultima, con la piena facoltà degli amministratori di utilizzarlo a fini aziendali.

L’autonoma condotta colposa o dolosa dell’amministratore prevista ex art. 2476, co. 7, c.c. deve necessariamente costituire un quid pluris rispetto alle condotte tenute dalla società stessa, venendo altrimenti meno quella autonomia patrimoniale che è connotato tipico della società di capitali.

La somma accordata a titolo di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale costituisce un debito di valore, il cui importo dovrà essere oggetto di rivalutazione monetaria. Sulle somme rivalutate decorreranno gli interessi legali ex art. 1284, co. 1, c.c. dalla data del fatto alla data della domanda giudiziale e gli interessi legali ex art. 1284, co. 4, c.c. dalla data della domanda giudiziale al saldo.

Princìpi espressi in esito ad un procedimento civile avviato da creditori sociali per vedere dichiarare l’inadempimento della società convenuta alle obbligazioni pattuite tramite il contratto di mandato stipulato, nonché la responsabilità dell’amministratore unico ex art. 2476, co. 7, c.c. e ottenere la conseguente condanna al risarcimento del danno subito. Il Tribunale, pur accertando l’inadempimento della società alle obbligazioni pattuite, rigetta la domanda di risarcimento rivolta verso l’amministratore unico, osservando che il suo inadempimento si identifica con il colpevole inadempimento della società mandataria, non potendo integrare autonoma condotta colposa o dolosa.

(Massime a cura di Ilaria Porro)




Tribunale di Brescia, sentenza del 2 marzo 2023, n. 354 –contratto di locazione finanziaria, inadempimento, azioni di risoluzione o riduzione del prezzo, responsabilità del concedente

In un processo in cui le parti contestano reciproci inadempimenti, non è rilevante la dichiarazione – ai sensi dell’art. 1456, comma 2, c.c. – con cui una parte intende avvalersi della clausola risolutiva espressa pattuita, se il comportamento antecedente della stessa costituisce già di per sé inadempimento rilevante idoneo a giustificare l’accoglimento della domanda di risoluzione giudiziale – ai sensi dell’art. 1453 c.c. – presentata dalla controparte.

Come è pacificamente riconosciuto, il contratto di leasing finanziario si caratterizza per l’esistenza di un collegamento negoziale in forza del quale, ferma restando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno eventualmente sofferto. In mancanza di un’espressa previsione normativa, però, l’utilizzatore non può esercitare anche l’azione di risoluzione o di riduzione del prezzo del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente, rispetto al quale esso è estraneo. Tali facoltà sono ammesse solo in presenza di specifica clausola contrattuale, con la quale il concedente trasferisce la propria posizione sostanziale in capo all’utilizzatore (cfr. SS.UU. n. 19785/2015).

Il dovere del concedente di agire per la risoluzione o al riduzione del prezzo non è un obbligo generale del concedente in leasing, che ricorra ni qualsiasi contratto di locazione finanziaria, ma che si configura solo in quei casi in cui, mancando clausole di trasferimento della posizione del concedente e non essendo configurabile una generica legittimazione attiva dell’utilizzatore nei confronti del fornitore (se non per le azioni di adempimento o di risarcimento), l’utilizzatore si trovi privo di tutela.

Solo nell’ipotesi in cui l’utilizzatore sia impossibilitato ad agire autonomamente nei confronti del fornitore (per chiedere la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo), il concedente potrà essere chiamato a rispondere, a titolo di responsabilità contrattuale, per un’eventuale negligenza nell’adempiere al suo dovere di cooperazione e per la violazione del principio di buona fede. Sicché, il contratto di leasing può essere risolto solo in caso di assoluta impossibilità per l’utilizzatore di recuperare alcunché dal fornitore.

Qualora un contratto preveda più prestazioni, la valutazione dell’inadempimento per la risoluzione giudiziale, ai sensi dell’art. 1453 c.c., deve essere effettuata dal giudice con riferimento a ciascuna di esse. (Ad esempio, nell’ipotesi di compravendita di più macchinari, anche se inseriti in un ciclo produttivo, il giudice dovrà tenere conto delle funzionalità, dei vizi e dei difetti di ciascun bene).

I principi sono stati espressi nel corso di un giudizio di appello ove il tribunale ha respinto la domanda di risoluzione di un contratto di locazione finanziaria, rispetto al quale le parti contestavano reciproci inadempimenti.

(Massime a cura di Giada Trioni)