Sentenza del 5 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Il principio di rappresentazione veritiera
della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società,
richiamato dall’art. 2423 c.c., non postula l’esistenza di una verità oggettiva
del bilancio, in quanto esso non può che
tendere a una verità “relativa” o “convenzionale”, nella misura in cui le
grandezze ivi rappresentate derivano da stime effettuate sulla base di metodi
di valutazione prescritti dalla normativa ovvero dalla best practice del
settore di riferimento. Nel processo di accertamento del grado di veridicità
del bilancio viene tuttavia in soccorso l’ulteriore principio previsto
dall’art. 2423 c.c., ovvero la correttezza (“true and fair view”). In
altre parole, l’esame del grado di accuratezza delle poste valutative presenti
in bilancio non può prescindere da un’analisi del livello di correttezza
comportamentale del redattore, desumibile dalla scelta dei criteri alla base
della rappresentazione, sotto il profilo della correttezza tecnica, della
coerenza e della razionalità.

Giacché il bilancio ha una preminente funzione
informativa (da qui l’esigenza di “chiarezza”), ai fini della declaratoria di
nullità della delibera di approvazione del bilancio è necessario che gli
eventuali scostamenti accertati in sede giudiziale si traducano in un vizio
rilevante, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, avuto riguardo alla
predetta funzione del documento, considerato nella sua interezza, e al
principio di prevalenza della sostanza sulla forma, valutando per esempio se il
vizio in questione incida sul grado di comprensibilità della singola
informazione riportata.

Allorché ad una consulenza tecnica d’ufficio siano mosse
critiche puntuali e dettagliate da un consulente di parte, il giudice che
intenda disattenderle ha l’obbligo di indicare nella motivazione della sentenza
le ragioni di tale scelta, senza che possa limitarsi a richiamare acriticamente
le conclusioni del proprio consulente, ove questi a sua volta non si sia fatto
carico di esaminare e confutare i rilievi di parte (Cassazione civile sez. I
21.11.2016, n. 23637): argomentando a contrario, si ricava che laddove
il C.T.U. abbia esaminato puntualmente i rilievi mossi dai consulenti di parte,
non sussiste in capo al Tribunale l’onere di motivazione sul punto, onere già
compiutamente assolto dal perito.

Rientra nel potere del consulente tecnico d’ufficio
attingere aliunde notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali
e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando
ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli. Dette
indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice
purché ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di
effettuarne il controllo, a tutela del principio del
contraddittorio (cfr. Trib. Brescia
11.9.2020, conforme a Cass. 12921/2015), con l’unico limite
costituito dal divieto per il consulente di sostituirsi alla parte ricercando
dati che costituiscono materia di onere di allegazione e di prova. Peraltro,
il C.T.U. può estendere l’esame a documenti non acquisiti al processo, quando
l’esistenza di questi risulti logicamente plausibile sulla base degli elementi
forniti dalle parti o desumibili dalla stessa indagine tecnica (Cass. 877/1982).

Il credito per imposte anticipate e il fondo per imposte
differite non costituiscono voci omogenee, differendo per presupposti, natura e
finalità, restando quindi soggette al generale divieto di compensi di partite
previsto dall’ultimo comma dell’art. 2423-ter c.c.. Pertanto, secondo il
principio di chiarezza, le due voci debbono essere mantenute distinte, affinché
il lettore possa avere contezza dei diversi fatti contabilmente rilevanti alla
base di ciascuna rilevazione. 

La dichiarata nullità della delibera di approvazione del
bilancio si riverbera in concreto sulla validità della contestuale delibera di
destinazione dell’utile dell’esercizio: una volta accertato che il risultato
dell’esercizio non coincide con quello assunto come presupposto della delibera,
anche quest’ultima non può che essere dichiarata nulla (Trib. Milano,
13.1.1983, F.it. 84, I, 1068) per impossibilità dell’oggetto.

L’eventuale discrasia tra quanto riportato nel verbale e
la realtà materiale dei fatti, soprattutto nel caso di fatti marginali (quali
la presenza di persone estranee alla compagine sociale) o valutativi (quale la
dichiarazione della previa regolare comunicazione) non pare costituire
un’autonoma causa di invalidità della delibera, essendo comunque necessario
verificare se il fatto materiale non rappresentato o non correttamente
rappresentato (che dovrà in ogni caso essere provato) sia tale da determinarne
l’invalidità (Trib. Brescia 9.10.2020).

La deliberazione di approvazione del bilancio d’esercizio
di una società, adottata dall’assemblea convocata oltre la scadenza del termine
legale di centoventi giorni dalla chiusura dell’esercizio sociale, è pienamente
valida anche nel caso in cui non sussistano le condizioni che, a norma
dell’ultimo comma dell’art. 2364 c.c., possono giustificare e fondare la
proroga del termine legale (Cass. civ., 14.8.1997, n. 7623).

Principi espressi in sede di impugnazione da parte dei soci di
minoranza di una s.r.l. di talune delibere di approvazione del bilancio e di
destinazione dell’utile della società, della delibera sulla conferma e sui
compensi dell’amministratore unico, nonché di verbali dell’assemblea.

(Massime a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 18 marzo 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

L’indicazione dell’elenco delle materie da trattare
nel corso del c.d.a.
ha la duplice funzione di rendere edotti i soci circa gli argomenti sui quali
essi dovranno deliberare, per consentire la loro partecipazione al c.d.a. con la necessaria
preparazione ed informazione, e di evitare che sia sorpresa la buona fede degli
assenti a seguito di deliberazione su materie non incluse nell’ordine del
giorno; a tal fine, non è necessaria una indicazione particolareggiata delle
materie da trattare, ma è sufficiente una indicazione sintetica, purché chiara
e non ambigua, purché specifica e non generica: diversamente, la conseguente
deliberazione consiliare
è affetta da invalidità.

L’eventuale violazione del dovere “di
agire in modo informato”, sostanziatasi nel mancato esame di un documento
informativo rilevante, pervenuto tardivamente (i.e. perizia tecnica
sull’immobile), potrebbe teoricamente esporre a responsabilità nei confronti
della società
i singoli amministratori, colpevoli di avere prematuramente approvato
l’operazione (in tesi dannosa), ma non incide necessariamente sulla validità
della manifestazione di volontà assunta dal plenum.

Le contestazioni sul prezzo di acquisto esulano
manifestamente dal processo di formazione della volontà consiliare, attenendo
all’opportunità della scelta, che è pertanto sottratta alla valutazione
giurisdizionale.

Principi
espressi nell’ambito del giudizio promosso dal socio di una società cooperativa,
volto ad ottenere l’annullamento di due delibere consiliari: la prima, per
violazione dell’art. 2381 c.c. e dell’art. 40 dello statuto della società per
le carenze informative della convocazione del c.d.a.; la seconda, in quanto
integrativa della precedente e pertanto illegittima per derivazione del vizio
di illegittimità di questa.

(Massima
a cura di Lorena Fanelli)




Decreto del 12 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

La verifica della concreta ricorrenza
della fattispecie dell’abuso del diritto, evocata dal notaio verbalizzante per
il diniego dell’iscrizione della deliberazione (di riduzione del capitale
sociale per perdite nella misura di cui all’art. 2447 c.c., con contestuale
aumento nel rispetto del diritto di opzione e con delega al liquidatore per
l’assegnazione della parte inoptata) assunta dall’assemblea straordinaria di
una s.p.a. in pendenza di liquidazione, alla luce della complessità
dell’accertamento della sussistenza dei suoi elementi costitutivi, esula dal
controllo di legittimità spettante al notaio ai sensi dell’art. 2436 c.c.,
atteso che essa potrebbe difficilmente conciliarsi con la sommarietà del
predetto controllo e che la deliberazione annullabile risulta comunque idonea a
produrre effetti, salva la facoltà dei soci, ove legittimati, di esercitare
l’azione di annullamento, entro precisi limiti temporali.

In tema di s.p.a., deve essere negata
l’ammissibilità dell’iscrizione delle deliberazioni assunte dall’assemblea
straordinaria in pendenza di liquidazione aventi ad oggetto la “delega al
liquidatore per ulteriore aumento di capitale e/o versamenti in conto
finanziamenti infruttiferi dei soci anche non in proporzione alle azioni
possedute e secondo le necessità della liquidazione”
e la “delega al
liquidatore per l’acquisto di azioni proprie fino al 25% del capitale sociale
al valore nominale ex art. 2357, comma 3, c.c.”
, laddove le motivazioni di
tali delibere, difficilmente conciliabili con la fase liquidatoria, non siano
state esplicitate nel verbale assembleare né, successivamente, nel ricorso con
cui il liquidatore della società chiedeva al Tribunale di ordinarne
l’iscrizione.

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso con ricorso ai sensi dell’art. 2436, terzo comma, c.c. dal liquidatore
di una s.p.a. avverso il diniego da parte del notaio all’iscrizione nel
Registro delle Imprese delle deliberazioni assunte dall’assemblea straordinaria
aventi ad oggetto: 1. la variazione della sede sociale; 2. la variazione dello statuto
con la previsione dell’assemblea in videoconferenza; 3. la riduzione del
capitale sociale per perdite a norma dell’art. 2447 c.c.; 4. l’aumento del
capitale sociale con diritto di opzione; 5. la delega al liquidatore in materia
di assegnazione ai soci per la parte inoptata; 6. la delega al liquidatore per
un ulteriore aumento di capitale e/o per versamenti in conto finanziamenti
infruttiferi dei soci, anche non in proporzione alle azioni possedute e secondo
le necessità della liquidazione; 7. la delega al liquidatore per l’acquisto di
azioni proprie fino al 25% del capitale sociale al valore nominale ex art.
2357, comma 3, c.c.; 8. la modifica della delibera di determinazione del
compenso del liquidatore; 9. l’adeguamento dello statuto alla vigente normativa.

Con il proprio diniego all’iscrizione, il
notaio verbalizzante rilevava la probabile illegittimità delle deliberazioni
assunte dalla citata assemblea, sulla base delle seguenti considerazioni: (i)
la “riduzione del capitale ed il suo contestuale aumento, finalizzato al
ripianamento delle perdite risultanti dalla situazione patrimoniale potrebbe
essere una operazione non ammissibile o comunque inutile se posta in essere
durante la fase liquidatoria”; (ii) la fattispecie “potrebbe essere ricondotta
alla figura giurisprudenziale, oramai consolidata e comportante annullamento di
delibera, del c.d. abuso del diritto e/o eccesso di potere della maggioranza”.

Con il ricorso, il liquidatore rappresentava
in particolare che il deliberato aumento di capitale fosse funzionale al
reperimento di nuova liquidità per l’“indispensabile espletamento di ogni fase
prevista dalla legge per la liquidazione del patrimonio sociale”, in ragione
del fatto che “le casse della Società (…) risultavano essere pressoché vuote”.
Egli pertanto chiedeva di ordinare alla Camera di Commercio competente di
procedere all’iscrizione nel Registro delle Imprese dell’integrale contenuto
del verbale della predetta assemblea straordinaria.

(Massime a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 12 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Il lodo irrituale pronunciato secondo equità
emesso a definizione dell’impugnazione della deliberazione assembleare deve
ritenersi affetto da nullità per violazione dell’art. 36 del d.lgs. 5/2003, il
quale, in relazione alla materia, impone una decisione arbitrale resa secondo
diritto e mediante un lodo impugnabile ai sensi dell’art. 829, secondo comma,
c.p.c., ossia di un lodo rituale.

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso da una società a responsabilità limitata e da alcuni soci al fine di sentire
dichiarare inesistente o nullo, ovvero in subordine di vedere annullato, il
lodo irrituale emesso dall’arbitro unico in forza di clausola compromissoria
statutaria, a definizione dell’impugnazione della deliberazione assembleare
promossa dal socio convenuto (titolare di una quota pari al 45% del capitale
sociale).

Nel corso del giudizio, il giudice rilevava
d’ufficio la questione di potenziale nullità della clausola compromissoria
statutaria e del lodo, basato su detta clausola, per contrasto con l’art. 36
del d.lgs. 5/2003, trattandosi di lodo, in materia di validità di deliberazione
assembleare, irrituale e pronunciato secondo equità.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 5 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Gli effetti della clausola compromissoria
statutariamente prevista non possono estendersi oltre le controversie che hanno
ad oggetto diritti disponibili (artt. 34-37 del d.lgs. 17.1.2003, n. 5), ambito
nel quale non rientra pacificamente l’azione tesa all’accertamento della
nullità del bilancio, venendo in rilievo la tutela di interessi generali, che
trascendono la posizione dei soci e vanno ricondotti alla sfera dei terzi i
quali, a vario titolo, entrano in contatto con la società.

La legittimazione ad agire del socio per
l’impugnazione della deliberazione assembleare è riconosciuta laddove la
perdita della qualifica di socio derivi dalla deliberazione impugnata (conf.
Trib. Milano, 27.2.2020; Trib. Torino, 13.7.2017).

Laddove risulti accertato che l’entità delle
perdite effettive supera il dato riportato nel bilancio approvato (oggetto di
impugnazione), il bilancio deve considerarsi non veritiero e pertanto affetto
da nullità.

La nullità della deliberazione di approvazione
del bilancio si riverbera sulla validità della conseguente deliberazione di
adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-ter c.c.: qualora sia
accertato che l’entità delle perdite effettive supera il dato riportato nel
bilancio approvato, i provvedimenti assunti con la deliberazione di riduzione
del capitale e contemporaneo aumento ad una cifra non inferiore al minimo
legale devono ritenersi basati su un presupposto in fatto erroneo e si rivelano
insufficienti al ripristino del capitale minimo di legge, con conseguente
violazione dell’art. 2482-ter c.c. (conf. Trib. Milano, 25.9.2019). Nel
qual caso, trattandosi di norma volta a preservare l’integrità del capitale, a
tutela dell’interesse dei terzi, il vizio rilevato determina la nullità della
deliberazione per illiceità dell’oggetto (conf. Cass. n. 8221/2007).

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso dal socio di minoranza (titolare di una partecipazione pari a un terzo
del capitale sociale) di una società a responsabilità limitata di impugnazione
delle seguenti deliberazioni assembleari: i) deliberazione dell’assemblea
ordinaria di approvazione del bilancio; ii) deliberazione dell’assemblea
straordinaria di adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-
ter c.c. A fondamento delle proprie
domande, l’attore esponeva che le perdite effettive registrate dalla società
sarebbero state significativamente maggiori di quelle risultanti dal bilancio
impugnato.

La società si costituiva in giudizio
eccependo: i) in via pregiudiziale, l’incompetenza del tribunale ordinario alla
luce della clausola compromissoria prevista dallo statuto sociale; ii) in via
preliminare, la carenza di legittimazione attiva del socio, per non avere lo
stesso sottoscritto il versamento di capitale deliberato dall’assemblea
straordinaria, così perdendo la qualifica di socio; iii) nel merito, la
insussistenza dei vizi lamentati dall’attore.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)