Sentenza del 5 febbraio 2020 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

Attesa
l’autonomia tra i giudizi civile e penale nonché la diversità del regime
probatorio e di responsabilità ivi operante (sia con riferimento al tema del
riparto dell’onere probatorio sia con riferimento alla responsabilità solo
dolosa, per l’imputazione in ambito penale, ed invece anche colposa, in sede
civile), l’accertamento contenuto nella sentenza penale in relazione alla
condotta tenuta dall’amministratore non costituisce un vincolo per il giudice
civile nella definizione della lite.

In
tema di responsabilità degli amministratori, a fronte dell’addebito
all’amministratore unico per non aver richiesto ed ottenuto dai soci il
versamento delle quote residue di capitale sociale, l’unica replica utile è
quella costituita dalla dimostrata sollecitazione in tal senso e dall’avvenuto
versamento, a quello e non ad altro titolo, delle somme di danaro ancora dovute
dai soci alla società. Né l’amministratore può sottrarsi alla responsabilità –
per il danno che ne è derivato alla società e soprattutto ai relativi
creditori, con riferimento alla ridotta consistenza del patrimonio sociale a
ciò conseguita – attribuendo l’imputazione che assume (soltanto) erronea
all’operato di dipendenti o collaboratori. E ciò sia perché l’amministratore
risponde anche dell’operato di questi ultimi, sia perché tra gli oneri di
diligenza a suo carico rientra certamente anche quello di controllare l’operato
dei suoi collaboratori, soprattutto in quanto relativo ad operazioni
riconducibili, in ultima istanza, all’amministratore stesso.

I principi sono stati espressi nel giudizio
di appello promosso dall’ex socio e amministratore unico di una s.r.l. in
liquidazione, poi fallita, avverso la sentenza del Tribunale che aveva accertato
la sua responsabilità, quale amministratore unico, in relazione alle seguenti
condotte: (i) mancata richiesta ai soci del versamento del residuo capitale
sottoscritto, onere aggirato contabilmente tramite scritture contabili
artificiose; (ii) irregolare tenuta delle scritture contabili e compimento di
ulteriori operazioni contabili non chiare né trasparenti.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 12 febbraio 2021 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

La verifica della concreta ricorrenza
della fattispecie dell’abuso del diritto, evocata dal notaio verbalizzante per
il diniego dell’iscrizione della deliberazione (di riduzione del capitale
sociale per perdite nella misura di cui all’art. 2447 c.c., con contestuale
aumento nel rispetto del diritto di opzione e con delega al liquidatore per
l’assegnazione della parte inoptata) assunta dall’assemblea straordinaria di
una s.p.a. in pendenza di liquidazione, alla luce della complessità
dell’accertamento della sussistenza dei suoi elementi costitutivi, esula dal
controllo di legittimità spettante al notaio ai sensi dell’art. 2436 c.c.,
atteso che essa potrebbe difficilmente conciliarsi con la sommarietà del
predetto controllo e che la deliberazione annullabile risulta comunque idonea a
produrre effetti, salva la facoltà dei soci, ove legittimati, di esercitare
l’azione di annullamento, entro precisi limiti temporali.

In tema di s.p.a., deve essere negata
l’ammissibilità dell’iscrizione delle deliberazioni assunte dall’assemblea
straordinaria in pendenza di liquidazione aventi ad oggetto la “delega al
liquidatore per ulteriore aumento di capitale e/o versamenti in conto
finanziamenti infruttiferi dei soci anche non in proporzione alle azioni
possedute e secondo le necessità della liquidazione”
e la “delega al
liquidatore per l’acquisto di azioni proprie fino al 25% del capitale sociale
al valore nominale ex art. 2357, comma 3, c.c.”
, laddove le motivazioni di
tali delibere, difficilmente conciliabili con la fase liquidatoria, non siano
state esplicitate nel verbale assembleare né, successivamente, nel ricorso con
cui il liquidatore della società chiedeva al Tribunale di ordinarne
l’iscrizione.

I principi sono stati espressi nel giudizio
promosso con ricorso ai sensi dell’art. 2436, terzo comma, c.c. dal liquidatore
di una s.p.a. avverso il diniego da parte del notaio all’iscrizione nel
Registro delle Imprese delle deliberazioni assunte dall’assemblea straordinaria
aventi ad oggetto: 1. la variazione della sede sociale; 2. la variazione dello statuto
con la previsione dell’assemblea in videoconferenza; 3. la riduzione del
capitale sociale per perdite a norma dell’art. 2447 c.c.; 4. l’aumento del
capitale sociale con diritto di opzione; 5. la delega al liquidatore in materia
di assegnazione ai soci per la parte inoptata; 6. la delega al liquidatore per
un ulteriore aumento di capitale e/o per versamenti in conto finanziamenti
infruttiferi dei soci, anche non in proporzione alle azioni possedute e secondo
le necessità della liquidazione; 7. la delega al liquidatore per l’acquisto di
azioni proprie fino al 25% del capitale sociale al valore nominale ex art.
2357, comma 3, c.c.; 8. la modifica della delibera di determinazione del
compenso del liquidatore; 9. l’adeguamento dello statuto alla vigente normativa.

Con il proprio diniego all’iscrizione, il
notaio verbalizzante rilevava la probabile illegittimità delle deliberazioni
assunte dalla citata assemblea, sulla base delle seguenti considerazioni: (i)
la “riduzione del capitale ed il suo contestuale aumento, finalizzato al
ripianamento delle perdite risultanti dalla situazione patrimoniale potrebbe
essere una operazione non ammissibile o comunque inutile se posta in essere
durante la fase liquidatoria”; (ii) la fattispecie “potrebbe essere ricondotta
alla figura giurisprudenziale, oramai consolidata e comportante annullamento di
delibera, del c.d. abuso del diritto e/o eccesso di potere della maggioranza”.

Con il ricorso, il liquidatore rappresentava
in particolare che il deliberato aumento di capitale fosse funzionale al
reperimento di nuova liquidità per l’“indispensabile espletamento di ogni fase
prevista dalla legge per la liquidazione del patrimonio sociale”, in ragione
del fatto che “le casse della Società (…) risultavano essere pressoché vuote”.
Egli pertanto chiedeva di ordinare alla Camera di Commercio competente di
procedere all’iscrizione nel Registro delle Imprese dell’integrale contenuto
del verbale della predetta assemblea straordinaria.

(Massime a cura di Marika Lombardi)