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Tribunale di Brescia, ordinanza del 19 luglio 2023, n. 686 – consorzio, cause e procedimento di esclusione del consorziato

Ove il consorzio non sia costituito in forma di società in forza dell’art. 2615-ter c.c., la normativa che presiede all’impugnazione delle delibere delle società di capitali e delle cooperative per azioni non può essere trasposta automaticamente al settore dell’impugnazione delle delibere consortili. In particolare, all’azione cautelare volta a ottenere la sospensione dell’efficacia della delibera di esclusione dal consorzio, si applica la disciplina di cui all’art. 700 c.p.c., secondo il procedimento delineato dall’art. 2606, c. 2, c.c., e non quella prevista dall’art. 2378, c. 3, c.c. (cfr. Trib. Matera 10.11.2001).

Tra le delibere impugnabili entro il termine decadenziale di trenta giorni di cui all’art. 2606 c.c., sebbene i riferimenti testuali della disposizione menzionata alla “maggioranza dei consorziati” e ai “consorziati assenti” evochino lo schema assembleare, rientrano anche le deliberazioni assunte dal consiglio direttivo, come sembra ragionevolmente intendersi dalla genericità della rubrica di tale articolo e dal richiamo, al primo comma, alle delibere relative “all’attuazione dell’oggetto del consorzio”.

La comunicazione della delibera di esclusione svolge la mera funzione di informare il consorziato delle ragioni ritenute in concreto dall’organo deliberante giustificative dell’esclusione; rispetto a tali motivazioni, il giudice dovrà verificare la coerenza con le previsioni di legge e di statuto, oltre ad accertarne la congruità (cfr. Trib. Venezia, 2.2.2023).

Princìpi espressi in un’ordinanza di rigetto di una istanza cautelare, promossa in pendenza di una causa di merito, finalizzata alla sospensione dell’efficacia della decisione di esclusione del ricorrente da un consorzio pronunciata dal consiglio direttivo del consorzio stesso. Il Tribunale ha rigettato il ricorso per l’inosservanza del termine di decadenza di cui all’art. 2606, c. 2, c.c., rilevando altresì la carenza del fumus boni iuris e del periculum in mora nel caso di specie.

(Massime a cura di Giovanni Gitti)




Sentenza del 16 maggio 2017 – Giudice estensore: dott. Stefano Franchioni

Nel caso in cui il fallimento di un consorzio agisca per ottenere la condanna dei consorziati, enti pubblici, al pagamento di una somma a titolo di ripianamento delle perdite subite e ad essi imputabili, nonché a titolo di ristoro delle spese sostenute per loro conto e dei danni sofferti, non trova fondamento l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice ordinario a favore di quella del giudice amministrativo, poiché si tratta di una controversia avente ad oggetto posizioni di diritto soggettivo derivanti da ragioni di credito, che, dunque, non rientra tra quelle concernenti la formazione, conclusione ed esecuzione di un accordo tra pubbliche amministrazioni ai sensi dell’art. 15 della l. 241/1990.

Nel caso in cui il fallimento di un consorzio faccia valere in giudizio un diritto già ricompreso nel patrimonio del fallito, la clausola compromissoria contenuta nello statuto dell’ente fallito, che demanda ad un arbitro la definizione delle controversie tra consorziati e tra questi ed il consorzio, è ad esso opponibile, anche alla luce del principio generale secondo il quale dal fallimento dell’ente non consegue l’estinzione dello stesso (arg. ex art. 118 l. fall.).

Principi espressi in ipotesi di accoglimento dell’eccezione di incompetenza del giudice ordinario in relazione ad una domanda proposta dal fallimento di un consorzio avente ad oggetto il ripianamento, da parte dei consorziati (enti pubblici), delle perdite subite e ad essi imputabili, nonché il ristoro delle spese sostenute per loro conto e dei danni sofferti, alla luce della clausola compromissoria prevista nello statuto del consorzio. Il Tribunale ha ritenuto opponibile al fallimento detta clausola, posto che il curatore, nell’esercitare diritti del fallito già ricompresi nel suo patrimonio alla data del fallimento, ne deve sopportare i relativi limiti, tra i quali rientra, a pieno titolo, l’operatività della clausola compromissoria.

Sent. 16.5.2017

(Massima a cura di Roberta Benedini)

 




Ordinanza del 12 dicembre 2014 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

L’appartenenza ad un gruppo non esclude l’autonomia giuridica e patrimoniale di ciascuna delle società che vi fanno parte e non può giustificare il compimento di atti che contrastino con gli interessi delle stesse separatamente considerati, lasciando ferma in tal caso la responsabilità degli amministratori per i danni da essi arrecati al patrimonio della singola società.

Ciò posto, si rileva che: da un lato, la pura e semplice appartenenza ad un gruppo societario non costituisce, di per sé sola, un vantaggio idoneo a compensare eventuali danni arrecati al patrimonio della società; dall’altro, ben può prodursi un danno per il patrimonio della società anche in presenza di risultati di bilancio positivi.

(Conforme a Cass. n. 16707/2004).

La sussistenza di vantaggi compensativi, ai fini dell’esclusione della responsabilità di cui all’art. 2497 c.c., deve essere valutata con riferimento a deliberazioni societarie che illustrino analiticamente il contenuto e le caratteristiche dell’operazione (dalla quale si assumono derivare i vantaggi compensativi), motivandone la correlazione con gli specifici interessi di gruppo, come richiesto dall’art. 2497 ter c.c.

Ai fini della valutazione della sussistenza di vantaggi compensativi, di cui all’art. 2497 c.c., non risultano, almeno allo stato, elementi per determinare la portata e l’effettivo “valore economico” della controprestazione pattuita nell’obbligo di non concorrenza tra società di gruppo (a fronte della cessione di un credito), che, pertanto, si palesa inafferrabile.

Le operazioni di modesta entità relative all’assunzione di partecipazioni in altre società facenti parte del consorzio e alla prestazione di fideiussioni a favore di talune di esse possono verosimilmente trovare adeguata giustificazione nell’ambito della solidarietà di gruppo e delle finalità mutualistiche tra società consorziate, non essendo perciò, di per sé, suscettibili di censura.

La notevole sproporzione tra la rilevante entità del credito risarcitorio e il patrimonio del debitore integra il requisito del periculum in mora (c.d. oggettivo) ai fini del sequestro conservativo cautelare ai danni del debitore.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento di reclamo promosso dall’amministratore delegato di una società cooperativa consorziata avverso l’ordinanza che ha disposto in suo danno il sequestro conservativo a fronte dell’accertamento della responsabilità per mala gestio del medesimo verso la società. Nello specifico, l’importo della cautela è stato circoscritto all’ammontare del residuo debito del consorzio essendo stata esclusa l’illiceità di talune operazioni gestorie censurate in un primo momento.

Ord. 12.12.2014

(Massima a cura di Marika Lombardi)