Tribunale di Brescia, ordinanza del 10 febbraio 2025, n. 165 – riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, diritto di opzione, sottoscrizione parziale dell’aumento di capitale, legittimazione ad agire, sequestro giudiziario ex art. 670, co. 1, n. 1, c.p.c.

Analogamente a quanto accade per le azioni di annullamento e di nullità della deliberazione assembleare, adottata per riduzione del capitale sociale al di sotto del limite legale (ex art. 2447 c.c. per le s.p.a. ovvero ex art. 2482 ter c.c. per le s.r.l.) – ove la perdita della qualità di socio in capo a chi non abbia sottoscritto la propria quota di ricostituzione del capitale sociale non incide sulla legittimazione ad esperire le predette azioni – deve ritenersi titolare di legittimazione, più in generale, colui il quale impugni una deliberazione (ovvero una determinazione) la cui diretta conseguenza sia, in ogni caso, il venir meno della qualità di socio. Sarebbe, infatti, logicamente incongruo – prima ancora che in contrasto con il diritto di difesa, consacrato nell’art. 24, co. 1, Cost. – ritenere, come causa del difetto di legittimazione, proprio quel fatto che l’istante assume essere contra legem e di cui vorrebbe vedere eliminati gli effetti (cfr. Cass. n. 26773/2019).

L’annullabilità di una delibera di aumento del capitale sociale, laddove non ne sia stata disposta la sospensione dell’esecuzione ai sensi dell’art. 2378, co. 3, c.c., non incide sulla validità delle successive deliberazioni adottate con la nuova maggioranza ancorché quest’ultima si sia formata a seguito del mancato integrale esercizio del diritto di opzione da parte dei vecchi soci. Infatti l’omessa richiesta e la conseguente mancata adozione del provvedimento di sospensione ex art. 2378, co. 3, c.c., rende legittimi gli atti esecutivi della prima deliberazione, anche in caso di suo successivo annullamento (cfr. Cass. n. 26842/2013).

Nessuna norma di legge impedisce al socio di una s.r.l. di sottoscrivere solo parzialmente l’aumento di capitale, comunque partecipando al ripianamento della perdita registrata nei limiti del capitale di rischio inizialmente sottoscritto, con conseguente illegittimità di qualsiasi determinazione volta ad esprimere il rifiuto di ritenere validamente esercitata l’opzione in misura parziale. Ciò si pone, infatti, in continuità con il diritto del socio, riconosciuto dall’art. 2481-bis c.c., di sottoscrivere l’aumento di capitale in proporzione – sia pur non in egual misura – alla partecipazione dallo stesso posseduta, con ogni conseguente facoltà di sottoscrivere, solo in parte, la quota di aumento al medesimo riservata e consequenziale possibilità degli altri membri della compagine sociale di sottoscrivere l’inoptato. Impedire la sottoscrizione parziale significherebbe, infatti, obbligare i soci a mantenere inalterata la misura della loro originaria partecipazione, anche quando la loro volontà fosse eventualmente diversa, vincolo che – in assenza di un identificabile superiore interesse, meritevole di tutela – mal si concilierebbe con il principio di autonomia contrattuale.

Il provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. consente di ottenere qualcosa in più e di diverso dal sequestro giudiziario della quota giacché, qualora finalizzato a una tutela anticipata degli effetti restitutori, assicura la pronta disponibilità della partecipazione societaria e, segnatamente, il pieno esercizio dei diritti connessi (patrimoniali ed economici). Il sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. assolve, invece, la funzione cautelare limitata alla mera conservazione statica del bene, con esercizio dei diritti connessi alla partecipazione da parte di un custode giudiziario.

Il giudizio prognostico ex ante circa la possibilità di un danno derivante dalla situazione di contesa che rende opportuno disporre un sequestro giudiziario ex art. 670, co. 1, n. 1, c.p.c. (anche) di una quota societaria è inscindibilmente correlato alla valutazione del fumus, secondo un rapporto che è stato definito di inversa proporzionalità, tale per cui, tanto più consistente è il fumus della non coincidenza tra la situazione di fatto e quella di diritto, tanto minori dovrebbero essere le ragioni di resistenza alla concessione della cautela.

Princìpi espressi nel procedimento cautelare instaurato dal socio di s.r.l. – che assume essere stato illegittimamente pretermesso dalla compagine sociale – incardinato a seguito dalla deliberazione ex art. 2482 ter c.c. di azzeramento e ricostituzione del capitale sociale – pure impugnata in separato giudizio di merito – ed alla conseguente determinazione societaria con la quale (illegittimamente) non si è ritenuta validamente esercitata, da parte del ricorrente, la sottoscrizione del capitale in misura parziale ed inferiore rispetto alla partecipazione originariamente detenuta. Il procedimento è volto, inter alia ed in via subordinata, ad ottenere il sequestro giudiziario ex art. 670, co. 1, n. 1, c.p.c., poi concesso, della quota sottoscritta nei termini anzidetti.

(Massime a cura di Giulio Bargnani)




Tribunale di Brescia, sentenza del 9 ottobre 2024, n. 4107 – azione di responsabilità ex art. 2476, co. 1, c.c., legittimazione ad agire, prescrizione, forma dei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda ex art. 2556 c.c.

L’art. 2476, co. 3, c.c. – che riconosce al socio di una s.r.l. la facoltà di esercitare l’azione sociale di responsabilità – configura un’ipotesi di legittimazione straordinaria sostitutiva ex art. 81 c.p.c., non esclusiva. Perciò anche la s.r.l. stessa è legittimata a far valere la responsabilità dell’amministratore, in quanto titolare del diritto leso, oltre che in forza di quanto disposto dall’art. 2476, co. 1, c.c., che disciplina espressamente la responsabilità dell’amministratore verso la società per i danni derivanti dall’inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo per l’attività gestoria compiuta.

L’art. 2393, co. 1, c.c., prescrive, per le sole s.p.a., la necessità di una deliberazione dell’assemblea che autorizza il promovimento dell’azione sociale di responsabilità, mentre non è dettata una norma analoga con riferimento alle s.r.l., né per queste è richiamato l’art. 2393, co. 1, c.c. anzidetto, pertanto deve concludersi che non sia necessaria alcuna delibera autorizzativa per l’esercizio di tale azione da parte di una s.r.l.

Rientra tra i compiti del liquidatore di una s.r.l. quello di promuovere azioni giudiziali volte a reintegrare il patrimonio sociale leso.

Per le imprese soggette ad iscrizione l’art. 2556 c.c. richiede la forma scritta – rectius la  stipulazione mediante atto pubblico ovvero scrittura privata autenticata – per i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda,  non ai fini della validità dei medesimi, ma ad probationem, salva l’osservanza delle forme richieste dalla legge per il trasferimento di singoli beni che compongono l’azienda (ad esempio beni immobili) o per la natura del contratto.

Il trasferimento di un’azienda dissimulato da una pluralità di atti negoziali atomistici (cessione di singoli beni strumentali, scioglimento del contratto di locazione dell’immobile in cui era esercitata l’attività d’impresa e contestuale stipula di analogo contratto ad opera dell’asserito cessionario, cessazione dei rapporti di lavoro e contestuale instaurazione dei medesimi con quest’ultimo) non configura il presupposto dell’azione di rivendicazione, ossia uno “spossessamento” materiale dell’azienda stessa. Quest’ultima, quale universalità di beni – non necessariamente soltanto materiali – e rapporti giuridici, non è suscettibile di essere appresa materialmente ed asportata, ma può esclusivamente costituire oggetto di disposizione negoziale. In tal caso sono i singoli atti di disposizione negoziale a dover essere impugnati, posto che l’accertamento della loro invalidità o inefficacia potrebbe comportare effetti restitutori.

L’amministratore di una società che abbia compiuto atti di disposizione negoziale volti a depauperare il patrimonio della medesima mediante la dismissione dell’azienda di cui questa era titolare, senza il pagamento di alcun corrispettivo e senza alcuna delibera, è responsabile verso la società gestita del danno cagionato. Risponde in solido con l’amministratore altresì la società beneficiaria dei predetti atti di disposizione, in quanto concorrente nell’illecito commesso dal primo.

Il termine quinquennale di prescrizione dell’azione di responsabilità sociale verso gli amministratori ex art. 2949 c.c. è, come noto, sospeso fino alla cessazione della loro carica, in forza di quanto previsto dall’art. 2941 n. 7, c.c.

Princìpi espressi nel giudizio instaurato da una s.r.l. – in persona del liquidatore – al fine di accertare la responsabilità ex art. 2476 c.c. del precedente amministratore unico ed ottenere il risarcimento del danno subito in ragione dell’avvenuta dismissione dell’azienda mediante una pluralità di atti di disposizione negoziale.

(Massime a cura di Giulio Bargnani)