Tribunale di Brescia, sentenza del 31 dicembre 2024, n. 5391 – società a responsabilità limitata, cessione di quote con riserva di proprietà ex art. 1523, c.c., transazione, risoluzione del contratto, clausola risolutiva espressa, penale, riduzione della penale, risarcimento del danno

La risoluzione di diritto del contratto conseguente alla dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa opera indipendentemente da qualsivoglia valutazione di importanza dell’inadempimento, essendo la gravità oggetto di previa tipizzazione negoziale. La pattuizione di una clausola risolutiva espressa esclude che la gravità dell’inadempimento possa essere valutata dal giudice nei casi già previsti dalle parti (cfr. Cass. n. 29301/2019, Cass. n. 4369/1997 e Cass. n. 10815/1995).

Quanto sopra presuppone che la clausola risolutiva sia validamente pattuita, mediante formulazione non generica od onnicomprensiva, essendo noto che per la configurabilità della clausola risolutiva espressa, le parti devono aver previsto la risoluzione di diritto del contratto per effetto dell’inadempimento di una o più obbligazioni specificamente determinate, costituendo una clausola di stile quella redatta con generico riferimento alla violazione di tutte le obbligazioni contenute nel contratto (cfr.Cass. n. 23879/2021, Cass. n. 1950/2009 e Cass. n. 11055/2002).

A norma dell’art. 1523 c.c., è solo con il pagamento dell’ultima rata di prezzo che si verifica la condizione sospensiva a cui è sottoposta la vendita con riserva di proprietà. Il mancato avveramento di tale condizione esclude che si sia perfezionato tra le parti l’effetto traslativo del diritto oggetto del contratto. Pertanto, in conseguenza dell’accertata risoluzione del contratto di cessione di quote con riserva della proprietà stipulato ai sensi dell’art. 1523, c.c., nessun “ritrasferimento” è necessario e deve essere eseguito, non essendo, invero, la quota mai uscita dalla proprietà della parte cedente.

Il potere di riduzione della penale a equità, attribuito al giudice dall’art. 1384 c.c., può essere esercitato anche d’ufficio essendo previsto a tutela dell’interesse generale dell’ordinamento, al fine di ricondurre l’autonomia contrattuale nei limiti in cui essa appare effettivamente meritevole di tutela (cfr. Cass. n. 3297/2024). Per la valutazione della manifesta eccessività della clausola penale ai fini dell’art. 1384 c.c., il criterio di riferimento per il giudice è costituito dall’interesse del creditore all’adempimento, tenuto conto dell’effettiva incidenza dell’inadempimento sullo squilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale nel corso di rapporto (cfr. Cass. n. 14706/2024).

In caso di pregiudizio patito dalla società, il socio che agisse per chiedere il risarcimento del danno sarebbe carente di legittimazione attiva dal momento che alla sola società spetterebbe, in ipotesi, il relativo credito risarcitorio.

La natura di debito di valore dell’obbligazione risarcitoria impone che sull’importo indicato vadano conteggiati gli interessi compensativi del danno derivante dal mancato tempestivo godimento dell’equivalente pecuniario del bene perduto. Tali interessi decorrono dalla produzione dell’evento di danno sino al tempo della liquidazione e si calcolano sulla somma via via rivalutata nell’arco di tempo suddetto e non sulla somma già rivalutata (cfr. Cass. n. 4791/2007, Cass. n. 1712/95).

Princìpi espressi nell’ambito di un giudizio promosso dalla parte cedente nei confronti della parte cessionaria – parti di un contratto di cessione di quote con riserva di proprietà stipulato ai sensi dell’art. 1523, c.c. e di un collegato negozio transattivo – al fine di (i) far accertare l’intervenuta risoluzione di diritto ex art. 1456 c.c. o, in via subordinata, ottenere la risoluzione giudiziale ex art. 1453 c.c. del contratto di cessione di quote e del collegato negozio transattivo; (ii) domandare, inoltre, il ristoro dei danni asseritamente derivati dalla violazione da parte della cessionaria degli obblighi informativi e di previa consultazione posti dal contratto a carico della medesima; (iii) chiedere, infine, il rimborso della somma versata al proprio legale per la stipulazione del negozio transattivo.

(Massime a cura di Francesco Carlo Pedaci)