Tribunale di Brescia, decreto del 23 ottobre 2024, n. 138 – società per azioni, denuncia ex art. 2409 c.c., adeguatezza assetti amministrativi, organizzativi e contabili, inattualità, business judgement rule, insindacabilità.

Il procedimento ha la finalità di consentire, tramite l’intervento dell’autorità giudiziaria, il ripristino della legalità e della regolarità nella gestione, violate da condotte degli amministratori gravemente contrastanti con i principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale e nel dettaglio oggetto di denuncia è il “fondato sospetto” di “gravi irregolarità nella gestione”, purché attuali e idonee a porre in pericolo il patrimonio sociale o a procurare grave turbamento all’attività della società nel cui interesse il ricorso è presentato.

L’istituto ex art. 2409 c.c. è privo di carattere sanzionatorio ed allo stesso non si addicono valutazioni a posteriori tipiche delle azioni di responsabilità, infatti proprio il presupposto della potenzialità del danno comporta che l’intervento giudiziario non possa ritenersi ammissibile allorquando l’azione lesiva abbia esaurito i propri effetti in assenza di elementi tali da far ipotizzare una verosimile reiterazione delle violazioni.

Il procedimento ex art. 2409 c.c. costituisce un presidio finalizzato a perseguire la regolarità e la correttezza della gestione sociale al fine di interrompere comportamenti di mala gestio in atto, idonei a costituire, se non disattivati, fonte di danno per la società. Così facendo il legislatore ha inteso spostare l’interesse protetto da quello generale (corretto funzionamento della società) a quello, proprio dell’ente e dei suoi soci (non vedere compiuti dall’organo gestorio comportamenti idonei ad esporre ad un pregiudizio il patrimonio e l’attività sociale).

Tale natura – latu sensu cautelare – dello strumento ex art. 2409 c.c. (apprestato per una pronta reazione a gravi irregolarità idonee ad arrecare al patrimonio sociale un concreto pregiudizio) impedisce che il rimedio sia fondatamente diretto a censurare fatti remoti e/o comunque radicalmente privi di potenzialità lesiva.

In tema di adeguatezza degli assetti, la formula adottata dal legislatore è volutamente elastica, la nozione di adeguatezza dovendo adattarsi alla specifica natura della realtà aziendale oggetto di valutazione, d’altro lato che giammai la censura di inadeguatezza può spingersi sino a sindacare scelte di merito che non si appalesino tali da impedire l’agire razionale e informato da parte dell’amministratore.

La predisposizione di ulteriori e, in tesi, più efficaci strumenti previsionali, ferma la ragionevolezza di quelli esaminati, inerendo la business judgement rule, appare strettamente connotata da discrezionalità e, quindi, estranea all’area del sindacato giudiziale. A ciò si aggiunga che, secondo autorevoli opinioni dottrinali, in tema di adeguati assetti, la sindacabilità delle scelte andrebbe circoscritta alle strutture e ai sintemi di c.d. allerta interna, aventi la funzione di monitorare la continuità aziendale e rilevare tempestivamente eventuali segnali di crisi.

Principi espressi nell’ambito di ricorso promosso ex art.2409 c.c. denunciando il difetto di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e dimensione della attività d’impresa svolta da società per azioni.

(Massime a cura di Ambra De Domenico)




Sentenza del 11 settembre 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice Relatore: Dott. Lorenzo Lentini

Ai
fini della valutazione della competenza del tribunale correttamente adito
secondo i criteri di competenza di cui al d.lgs. 168/2003, in difetto di
espressa previsione legislativa, la chiamata in garanzia di un soggetto avente
personalità giuridica di diritto straniero non può determinare l’incompetenza
sopravvenuta, né con
riferimento alla causa di garanzia, ove la chiamata del terzo sia stata
autorizzata dal giudice al fine di realizzare il simultaneus processus, né tantomeno in relazione alla
causa principale, rispetto alla quale la società straniera non è neppure parte
(conf. Trib.
Bologna, 7 marzo 2018, Trib. Brescia, ord. 16.2.2019).

La
responsabilità dell’organo di amministrazione nell’ambito di una operazione di
acquisizione societaria che si è rilevata successivamente economicamente
sfavorevole non può essere ravvisata per il solo fatto che esso non ha
abbandonato l’operazione, ma deve essere valutata alla luce delle modalità con
le quali sono stati gestiti i rischi emersi dalle analisi di due diligence, dovendosi ricordare che l’attività di impresa presenta rischi intrinseci
che non possono essere del tutto azzerati e certi settori, come quelli ad
elevata vocazione tecnologica (caratteristica che connotava l’attività della
società in esame
) risultano naturalmente più rischiosi di altri. (Nel
caso di specie, il collegio ha valutato favorevolmente la scelta dell’organo di
amministrazione di strutturare diversamente l’operazione a fronte dei profili
di attenzione segnalati nel report della
due diligence optando per una
soluzione che fornisse ulteriori elementi informativi idonei a supportare la
congruità del valore economico dell’operazione concordata tra le parti
).

In presenza di
situazioni di conflitto di interessi in capo ad alcuni amministratori tali da
far ritenere il principio della business judgment rule non pienamente
applicabile all’operazione, l’adozione di una serie di misure “rafforzate”,
procedurali e di governance, possono essere idonee a sterilizzare i
rischi associati alla stessa. ( Nel caso di specie, il collegio ha ritenuto
che l’adozione di misure rafforzate quali: l’affidamento ad un professionista
indipendente del compito di accertare la congruità del prezzo dell’Operazione
dal punto di vista dell’acquirente, la costituzione di un comitato ristretto
composto da consiglieri disinteressati, il coinvolgimento del collegio
sindacale e il mancato voto in consiglio da parte degli amministratori
portatori di interessi in conflitto, siano state idonee a sterilizzare i rischi
connessi alla presenza situazioni di conflitto di interesse che riguardavano
l’operazione in questione).

La mancata
attivazione della clausola contrattuale di indennizzo da parte degli
amministratori previsto nel contratto di acquisizione della quota di
partecipazione rappresenta una perdita di chance, impendendo alla società la
chance di ottenere ristoro del pregiudizio subito, in via amichevole o a
seguito di contenzioso. In questa ipotesi, le valutazioni in punto di nesso
eziologico impongono di ritenere sussistente il danno – in conseguenza
dell’omissione – solo qualora l’applicazione di criteri probabilistici porti ad
accertare che, in mancanza dell’omissione stessa, il risultato vittorioso
sperato sarebbe stato ottenuto (conf. Cass. n.22026/04, Cass. n. 10966/04, Cass. n. 21894/04, Cass. n. 6967/06,
Cass. n. 9917/2010). La prova della sussistenza del nesso eziologico e del
danno è a carico del soggetto danneggiato, sul quale in riferimento alla
consistenza della chance incombe l’onere di provare la sussistenza di elementi oggettivi e certi dai quali desumere, in
termini di certezza o di elevata probabilità e non di mera potenzialità, l’esistenza
di un pregiudizio economicamente valutabile (conf. Cass. n. 15385/2011).

Principi
espressi in ipotesi di rigetto dell’azione di responsabilità sociale promossa
dalla società, poi dichiarata fallita in corso causa, nei confronti degli amministratori
in carica all’epoca dei fatti, i quali avrebbero concluso, asseritamente in
violazione dei doveri propri di amministratori, una operazione di acquisizione
di partecipazioni di una società, la quale è risultata economicamente
pregiudizievole per la società acquirente avendo registrato la società
acquisita un notevole decremento del proprio fatturato sin dall’anno successivo
all’operazione.

Nel
caso di specie, l’attore lamenta che:

  1. gli amministratori avrebbero concluso
    tale operazione con una società riconducibile ad uno degli amministratori del
    proprio consiglio di amministrazione, pertanto in presenza di un evidente
    conflitto di interessi, ad un prezzo di molto superiore rispetto al reale
    valore della società;
  2. la mancata attivazione degli obblighi
    di indennizzo previsti nel contratto di cessione della quota di partecipazione
    a fronte della incorrettezza delle dichiarazioni e garanzie rilasciate dalla
    società venditrice.

(Massime a cura di Giorgio Peli)