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Sentenza del 7 agosto 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 c.c. e 2394 c.c. (o, per la s.r.l., artt. 2476, co. 3, e 2476, co. 6, c.c.), pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente, confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile, previa autorizzazione del giudice delegato, esclusivamente da parte del curatore.

In punto di prescrizione, la disciplina applicabile a detta azione si atteggia in modo differente a seconda dei presupposti operativi evocati: pur essendo comunque quinquennale il termine prescrizionale dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., il dies a quo è differente a seconda che il curatore abbia agito con la legittimazione processuale ex art. 146 l. fall. nell’esercizio: a) dell’azione sociale di responsabilità, oppure b) dell’azione di responsabilità esperibile da parte dei creditori.

In tal senso, il termine di prescrizione decorrerà quindi:

a) per l’azione sociale, dal momento in cui, per effetto dell’inadempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, si verifichi il danno alla società; il dies a quo, pertanto, può essere posteriore non solo a quello in cui si sia verificato l’inadempimento, ma anche a quello in cui amministratori e sindaci siano cessati dalla carica (ferma la sospensione del termine, quanto agli amministratori, durante lo svolgimento dell’incarico ex art. 2941, n. 7, c.c.);

b) per l’azione dei creditori sociali, dal momento – che può essere anteriore o coincidente con la dichiarazione del fallimento – in cui gli stessi siano stati in grado “di venire a conoscenza dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società” (conf. Cass. n. 9619/2009, n. 20476/2008, n. 941/2005). In ragione dell’onerosità della suddetta prova a carico del curatore, avente ad oggetto l’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quodi decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando all’amministratore convenuto nel giudizio (che eccepisca la prescrizione dell’azione di responsabilità) dare la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (conf. Cass. n. 13378/2014). La relativa prova, se è vero che può desumersi anche dal bilancio di esercizio (conf. Cass. n. 20476/2008), deve pur sempre avere ad oggetto “fatti sintomatici di assoluta evidenza (indicati da Cass. n. 8516/2009 nella chiusura della sede sociale, nell’assenza di cespiti suscettibili di esecuzione forzata, ecc.), nell’ambito di una valutazione che è riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa” (conf. Cass. n. 24715/2015).

Sussiste la responsabilità dell’amministratore unico laddove, all’esito della perizia, risulti dimostrato che il medesimo abbia redatto i bilanci in modo errato, di fatto occultando l’intervenuta erosione del capitale sociale, ed abbia omesso di adottare i provvedimenti di cui all’art. 2482-ter c.c., proseguendo indebitamente l’attività d’impresa, aggravando così il dissesto.

In tal caso, sussiste altresì la responsabilità solidale del collegio sindacale, inadempiente rispetto agli obblighi di vigilanza ex art. 2407, co. 2, c.c., avendo lo stesso omesso di rilevare le predette violazioni gestorie e non avendo reagito adeguatamente di fronte agli illeciti amministrativi posti in essere dall’amministratore unico, essendosi limitato soltanto a prospettare, in modo incompleto, la sussistenza di alcune criticità nella gestione della società poi fallita.

In tema di azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, ai fini della liquidazione del danno è necessario evidenziare che il pregiudizio arrecato alla società ed ai creditori sociali deve essere calcolato, in conformità all’art. 2486, co. 3, c.c., come di recente modificato, attraverso il criterio dei cc.dd. “netti patrimoniali”, ossia nella differenza tra il patrimonio netto alla data di cessazione della carica gestoria o a quella di apertura della procedura concorsuale, da un lato, ed il patrimonio netto alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento, dall’altro, una volta detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità.

In tema di responsabilità dei sindaci nei confronti della società, non può trovare accoglimento la domanda di manleva formulata dal sindaco nei confronti dell’assicurazione laddove la richiesta di risarcimento formulata dal sindaco sia pervenuta all’assicurazione soltanto quando la polizza aveva cessato la sua validità ed efficacia e la maggiorazione del premio prevista dal regolamento negoziale per l’estensione postuma illimitata della garanzia – riconducibile al modello “on claims made basis” – non sia mai stata corrisposta.

Principi espressi nel giudizio promosso dal curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ex artt. 2393 c.c., 2407 c.c. e 146 l. fall. contro l’ex amministratore unico e gli ex componenti del collegio sindacale della società, poi fallita, a fronte del compimento di atti di mala gestio da parte dell’amministratore unico, nonché l’omessa adeguata vigilanza da parte dei componenti dell’organo collegiale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 10 luglio 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

La responsabilità degli amministratori ex art. 2476, co., 3 c.c. non può essere affermata laddove le doglianze dei soci siano genericamente indicate e laddove non risulti provato un danno per la società.

Il conflitto di interessi postula un rapporto d’incompatibilità fra le esigenze del rappresentato e quelle personali del rappresentante o di un terzo che egli a sua volta rappresenti; rapporto che va riscontrato non in termini astratti e ipotetici, ma con riferimento al singolo atto, concentrandosi esclusivamente sul contratto le cui intrinseche caratteristiche consentano un vantaggio di un soggetto solo passando attraverso il sacrificio dell’altro (conf. Cass. n. 19045/2005). 

La sussistenza dei presupposti per la postergazione dei crediti dei soci stabiliti dall’art. 2467 c.c. non è ostativa alla compensazione tra il credito del socio per finanziamenti e il suo debito da sottoscrizione dell’aumento di capitale, atteso che la trasformazione, mediante la compensazione, del credito da finanziamento in capitale di rischio concorre alla protezione degli interessi dei creditori terzi tutelati dall’art. 2476 c.c. Deve ritenersi, in definitiva, che l’estinzione per compensazione non sia illegittima e che non arrechi alcun pregiudizio ai creditori della società (e tantomeno alla partecipazione dei soci).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dai soci di una s.r.l. ex art. 2476, co. 3, c.c. nei confronti dei componenti del consiglio di amministrazione. A fondamento delle proprie pretese gli attori deducevano il compimento, da parte degli amministratori, di atti di mala gestio tra cui l’aver consentito la liberazione del capitale sociale (dapprima ricostituito e poi aumentato) mediante compensazioni in favore dei soci in violazione dell’art. 2467 c.c.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 30 aprile 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 c.c. e 2394 c.c. (o, per la s.r.l., artt. 2476, co. 3, e 2476, co. 6, c.c.), pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente, confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile, previa autorizzazione del giudice delegato, esclusivamente da parte del curatore.

In punto di prescrizione, la disciplina applicabile a detta azione si atteggia in modo differente a seconda dei presupposti operativi evocati: pur essendo comunque quinquennale il termine prescrizionale dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., il dies a quo è differente a seconda che il curatore abbia agito con la legittimazione processuale ex art. 146 l. fall. nell’esercizio: a) dell’azione sociale di responsabilità, oppure b) dell’azione di responsabilità esperibile da parte dei creditori.

In tal senso, il termine di prescrizione decorrerà quindi:

a) per l’azione sociale, dal momento in cui, per effetto dell’inadempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, si verifichi il danno alla società; il dies a quo, pertanto, può essere posteriore non solo a quello in cui si sia verificato l’inadempimento, ma anche a quello in cui amministratori e sindaci siano cessati dalla carica (ferma la sospensione del termine, quanto agli amministratori, durante lo svolgimento dell’incarico ex art. 2941, n. 7 c.c.);

b) per l’azione dei creditori sociali, dal momento – che può essere anteriore o coincidente con la dichiarazione del fallimento – in cui gli stessi siano stati in grado “di venire a conoscenza dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società” (conf. Cass. n. 9619/2009, n. 20476/2008, n. 941/2005). In ragione dell’onerosità della suddetta prova a carico del curatore, avente ad oggetto l’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quodi decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando all’amministratore convenuto nel giudizio (che eccepisca la prescrizione dell’azione di responsabilità) dare la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (conf. Cass. n. 13378/2014). La relativa prova, se è vero che può desumersi anche dal bilancio di esercizio (conf. Cass. n. 20476/2008), deve pur sempre avere ad oggetto “fatti sintomatici di assoluta evidenza (indicati da Cass. n. 8516/2009 nella chiusura della sede sociale, nell’assenza di cespiti suscettibili di esecuzione forzata, ecc.), nell’ambito di una valutazione che è riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa” (conf. Cass. n. 24715/2015).

In tema di azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., deve affermarsi la responsabilità degli amministratori laddove la curatela fallimentare-attrice abbia dato prova: a) della condotta illecita addebitata agli amministratori-convenuti consistente nell’omesso tempestivo rilievo della perdita del capitale sociale, nell’omessa adozione dei rimedi di cui all’art. 2482-ter c.c. e nell’indebita prosecuzione dell’attività d’impresa, atteso che la perdita del capitale sociale doveva essere prontamente rilevata; b) delle conseguenze lesive di detta condotta consistenti nelle maggiori perdite accumulate per effetto della indebita prosecuzione dell’attività; nonché c) del nesso eziologico sussistente tra l’indebita prosecuzione dell’attività e le conseguenze patrimoniali negative subite dalla società e dai creditori sociali.

In tema di azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, ai fini della liquidazione del danno è necessario evidenziare che il pregiudizio arrecato alla società e ai creditori sociali deve essere calcolato, in conformità all’art. 2486 co. 3 c.c., come di recente modificato, attraverso il criterio dei cc.dd. “netti patrimoniali”, ossia nella differenza tra il patrimonio netto alla data di cessazione della carica gestoria o a quella di apertura della procedura concorsuale, da un lato, ed il patrimonio netto alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento, dall’altro, una volta detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità.

La disciplina più favorevole dettata dall’art. 2392 c.c. per la responsabilità degli amministratori privi di specifiche deleghe (o funzioni) non può trovare applicazione nei casi in cui sia contestata agli amministratori la violazione di doveri relativi alla corretta formazione del bilancio e agli adempimenti conseguenti, nonché l’indebita prosecuzione dell’attività in assenza dei presupposti di legge, in danno della società e dei creditori sociali. Tale disciplina, essenzialmente diretta a limitare la responsabilità degli amministratori cc.dd. non operativi (cioè privi di delege) in relazione al compimento di atti gestori dannosi, non può difatti mandare esente da responsabilità l’amministratore che, sebbene estraneo alle specifiche attività gestorie, non può non partecipare, con piena consapevolezza e conseguenti responsabilità, all’adempimento fondamentale rappresentato dalla redazione del bilancio di esercizio.

Principi espressi nel giudizio promosso dal curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ex art. 146 l. fall. nei confronti dei componenti del consiglio di amministrazione della società, poi fallita, a fronte del compimento di atti di mala gestio, consistenti nell’aver redatto i bilanci in modo non corretto o non veritiero, nell’aver occultato dolosamente l’erosione del capitale sociale, nell’aver omesso di adottare i provvedimenti di cui all’art. 2447 c.c. e nell’aver indebitamente proseguito l’attività di impresa, aggravando il deficit patrimoniale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 20 novembre 2019 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

La vendita del bene immobile di proprietà della società amministrata senza incasso (della gran parte) del relativo prezzo (e con rinuncia all’ipoteca legale) integra una condotta contrastante con i più elementari obblighi di diligenza dell’amministratore o del liquidatore, idonea a cagionare un altrettanto palese danno al patrimonio sociale, soprattutto in caso di conclamata insussistenza di risorse finanziarie (o di altra natura) in capo alla società acquirente. 

Integra un atto di mala gestio del liquidatore l’erogazione a proprio favore di pagamenti per compensi dallo stesso deliberati in misura eccessiva in qualità di socio unico della società fallita, trattandosi di una condotta che si pone in contrasto con la situazione di crisi, o più verosimilmente di insolvenza, in cui versava la società, che avrebbe ragionevolmente imposto una più moderata quantificazione del compenso spettante al socio unico per l’attività di liquidazione auto-affidatasi.

Il pagamento “preferenziale” eseguito dall’amministratore o dal liquidatore in favore di un creditore della società poi fallita, anche se non presenta gli estremi dell’illecito penale, è in ogni caso idoneo a cagionare un danno al patrimonio della società di cui il curatore può domandare il ristoro, costituendo violazione degli obblighi di conservazione del patrimonio sociale in funzione di garanzia dei creditori. In tali casi il danno non è rappresentato dall’intera somma pagata al creditore, ma dalla differenza fra detta somma e l’importo che, in difetto di pagamento, sarebbe a questo spettato in sede di riparto fallimentare.

Principi espressi dal Tribunale in accoglimento dell’azione di responsabilità proposta dalla curatela nei confronti dell’amministratore unico e poi liquidatore di una s.r.l., per la condanna dello stesso al risarcimento dei danni cagionati al patrimonio della società fallita per effetto di condotte contrarie ai doveri propri delle cariche ricoperte, come la vendita di un immobile sociale senza incasso di gran parte del relativo prezzo, prelievi ingiustificati dai conti correnti della società, pagamenti a sé stesso per compensi del di liquidatore in misura eccessiva e ulteriori pagamenti preferenziali effettuati a favore di alcuni creditori sociali.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 22 marzo 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

La cessione da parte dell’amministratore di s.r.l. di beni di titolarità della società gestita (nella fattispecie brevetti) a un prezzo vile, di molto inferiore al loro valore, e l’omesso pagamento di tributi integrano gli estremi di illeciti gestori che costituiscono violazione del dovere di conservazione del patrimonio sociale che incombe sull’amministratore e sono fonte di danni per la società.

L’amministratore che abbia concorso a determinare, anche a causa della sua mala gestio, una situazione di crisi economico-finanziaria tale da incidere, in via riflessa, sulla mancanza di liquidità della società, non può invocare validamente detta situazione in funzione di esimente dal momento che non integra un’ipotesi di forza maggiore né un fatto indipendente dalla volontà dell’amministratore o dalla sua sfera di controllo nella gestione societaria. 

Non costituisce atto illecito il fatto che l’amministratore abbia avviato per conto della società un rapporto di lavoro con il proprio figlio, dal momento che la questione attiene a una scelta di opportunità imprenditoriale, come tale non sindacabile. Né è sindacabile la congruità della retribuzione riconosciuta dalla società al lavoratore rispetto alle mansioni svolte, essendo la questione rimessa in via esclusiva all’esercizio dell’autonomia privata e non sussistendo un parametro oggettivo alla luce del quale effettuare un valido raffronto, talché́ risulterebbe comunque impossibile predicare se sia eccessiva la retribuzione accordata a un lavoratore o insufficiente invece quella riconosciuta ad altro lavoratore con mansioni eventualmente equipollenti e trattamento economico deteriore. 

In tema di azione revocatoria del fondo patrimoniale, il termine di prescrizione quinquennale decorre non dalla data della stipula dell’atto dispositivo, ma da quella della sua trascrizione nei pubblici registri (conf. Cass. 24/03/2016, n. 5889).

Principi espressi dal Tribunale che, in accoglimento dell’azione, proposta nei confronti di un ex amministratore di s.r.l., ha condannato lo stesso, ex art. 2476 c.c., al risarcimento dei danni cagionati da atti di mala gestio, tra i quali la vendita di beni sociali (nella specie brevetti) a prezzo vile e l’omesso versamento dei tributi dovuti.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 3 aprile 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

L’accertamento della violazione degli obblighi incombenti sugli amministratori costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente per ravvisare in capo all’amministratore stesso una responsabilità di tipo risarcitorio: ed in vero, affinché si configuri la responsabilità in esame è necessaria la prova del danno, ossia del deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, nonché la prova della riconducibilità diretta, sotto il profilo causale, del danno lamentato alla condotta omissiva o commissiva oggetto di contestazione (conf. Cass. n. 5876/2011; Cass. n. 7606/2011).

Inoltre, la specifica allegazione del nesso eziologico, oltre a fungere da parametro per l’accertamento della sussistenza della responsabilità risarcitoria dell’amministratore, è altresì funzionale, sotto il profilo oggettivo, a circoscrivere il risarcimento del danno soltanto a quegli effetti patrimoniali negativi che sono conseguenza diretta dell’inadempimento posto in essere dall’amministratore stesso. Dal punto di vista dell’onere probatorio, in tema di risarcimento del danno, poi, spetta a chi agisce l’onere di provare l’esistenza del danno stesso, il suo ammontare nonché il fatto che esso sia stato causato dal comportamento illecito di un determinato soggetto, ossia il nesso eziologico che lega il danno al comportamento.

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146 l. fall., la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare (conf. Cass. SS.UU. n. 9100/2015).

Principi espressi nel giudizio promosso dal curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ex artt. 146 l. fall., 2394-bis c.c., 2392 e/o 2393 e/o 2394 c.c., 2476 c.c. nei confronti dell’amministratore e socio della società, poi fallita, nonché ex art. 2476, comma 7, c.c. nei confronti delle socie. A fondamento delle sue pretese risarcitorie, l’attrice ha dedotto, oltre alla mancata tenuta delle scritture contabili, il compimento di atti distrattivi da parte dell’amministratore, perpetrati sulla base di scelte avallate dalle stesse socie.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 30 ottobre 2018 – Giudice designato: dott. Raffaele Del Porto

In tema di sequestro conservativo, deve ritenersi sussistente il requisito del fumus boni iuris laddove l’amministratore “di diritto” di una società a responsabilità limitata (poi fallita) abbia ceduto, dopo la perdita del capitale sociale e la cessazione, di fatto, dell’attività d’impresa, un ramo d’azienda, con trasferimento all’acquirente della parte più significativa dell’attivo sociale, a fronte di un corrispettivo “irrisorio”, senza acquisire, al contempo, adeguate garanzie quanto all’effettivo pagamento dei debiti inerenti il ramo d’azienda ceduto. In tal caso il danno può essere quantificato in misura pari all’ammontare di tali debiti non pagati dall’acquirente ed ammessi al passivo del fallimento dell’alienante.

La mera partecipazione di un soggetto alla stipula di un atto, in ipotesi, alla cessione di un ramo d’azienda, non può, per il suo carattere isolato, costituire prova idonea di quella condotta reiterata che, per giurisprudenza costante, è necessaria per la configurabilità del ruolo di amministratore di fatto.

(Conforme a Cass. n. 4045/2016).

Ai fini della concessione del sequestro conservativo, il fumus della responsabilità dell’amministratore “di fatto” di società di capitali non può essere ricavato da generiche allegazioni della curatela relative a violazioni di carattere formale (quale, esemplarmente, l’omessa tenuta di contabilità adeguata), qualora non siano dedotte eventuali conseguenze lesive, legate alle prime da idoneo nesso causale.

Il requisito del periculum in mora può essere desunto anche da elementi oggettivi, rappresentati dall’elevata entità del credito vantato dal ricorrente in rapporto alla consistenza patrimoniale del debitore, nella specie neppure conoscibile sulla base di informazioni attendibili.

 Principi espressi in ipotesi di parziale riforma del provvedimento, concesso inaudita altera parte, che aveva autorizzato il sequestro conservativo nei confronti dell’amministratore “di diritto” e dell’amministratore “di fatto” di s.r.l. fallita, a fronte dell’accertamento della responsabilità risarcitoria di questi ultimi per il danno patito dalla società (poi fallita), causalmente collegato alla (specifica) condotta negligente consistente nell’aver ceduto un ramo d’azienda, con trasferimento all’acquirente della parte più significativa dell’attivo sociale, senza aver acquisito adeguate garanzie quanto all’effettivo pagamento dei debiti inerenti il ramo d’azienda ceduto.

Nella specie, il decreto concesso inaudita altera parte è stato riformato, nella parte in cui aveva autorizzato il sequestro conservativo ai danni dell’amministratore “di diritto”, limitatamente all’importo fino a concorrenza del quale tale misura cautelare è stata concessa, mentre è stato revocato nella parte in cui aveva autorizzato il sequestro conservativo ai danni dell’amministratore “di fatto”.

Ord. 30.10.2018

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 30 ottobre 2018 – Giudice designato: Dott. Davide Scaffidi

In tema di responsabilità dei componenti degli organi sociali per l’aggravamento del dissesto patrimoniale, costituiscono elementi rilevanti ai fini della qualificazione della natura dissipativa degli atti di disposizione: il titolo di erogazione a fondo perduto, l’atto abdicativo di rinuncia al credito, il titolo di cessione del credito in assenza di corrispettivo o di finanziamento infruttifero con scarsa probabilità di recupero del capitale e in assenza di richieste di restituzione. In ipotesi in cui tali atti siano disposti in favore di società asseritamente controllate o collegate, per esimersi da responsabilità, i componenti degli organi sociali devono dare prova dell’esistenza di specifici vantaggi compensativi in favore dei creditori sociali idonei a neutralizzare gli svantaggi immediati ad essi procurati.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento della domanda cautelare di sequestro conservativo promossa dal curatore di una s.r.l. ai danni degli amministratori e dei sindaci della società, poi fallita, a fronte dell’accertamento della responsabilità risarcitoria dei medesimi in conseguenza di atti di natura distrattiva.

Più precisamente, la curatela contestava ai resistenti le seguenti condotte:

i) aver omesso di adottare i provvedimenti di legge allorché la situazione contabile manifestava un patrimonio netto negativo o comunque aver omesso di rilevare la causa di scioglimento della società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale;

ii) aver erogato indebitamente, anche a seguito dell’emersione dell’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, finanziamenti a fondo perduto e prestiti con scarsa probabilità di recupero del capitale, senza peraltro che vi fosse stata alcuna richiesta di restituzione, nonché aver ceduto gratuitamente crediti in favore di altre società facenti parte del medesimo gruppo con disposizioni estranee all’oggetto sociale, operazioni disposte in una situazione di conflitto di interessi (stante la identica composizione soggettiva dell’organo gestorio o comunque la presenza tra essi di stretti rapporti di parentela);

iii) aver sostenuto costi il cui onere doveva essere sopportato da soggetti diversi dalla società fallita.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 20 luglio 2018 – Presidente relatore: dott. Raffaele Del Porto

Nell’ambito del procedimento di reclamo, ex art. 669 terdecies c.p.c., avverso il provvedimento che ha autorizzato il sequestro conservativo nei confronti degli amministratori di una società fallita, ai quali siano stati addebitati, fra l’altro, la mancata tempestiva rilevazione della causa di scioglimento rappresentata dalla perdita integrale del capitale sociale e l’illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa in un’ottica non meramente conservativa, è precluso l’espletamento di una consulenza tecnica diretta a ricostruire l’effettivo aggravio nel corso degli esercizi sociali del deficit causato da siffatti comportamenti, trattandosi di mezzo istruttorio che, per la sua complessità, risulta incompatibile con la natura sommaria di tale procedimento.

In tema di sequestro conservativo, il requisito del periculum in mora può essere desunto sia da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente presumere l’intento di porre in essere, al fine di sottrarsi all’adempimento, atti dispositivi, idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio.

(Conforme a Cass. nn. 6460/1996; 2139/1998; 2081/2002).

Principi espressi in ipotesi di parziale riforma, in sede di reclamo, del provvedimento, concesso ante causam, con il quale era stato autorizzato il sequestro conservativo in danno degli amministratori di una s.r.l. fallita, a fronte del fumus della loro responsabilità per atti di “mala gestio” posti in essere a danno della società gestita, consistenti nella mancata tempestiva rilevazione della causa di scioglimento rappresentata dalla perdita integrale del capitale sociale e nella prosecuzione illegittima dell’attività di impresa per finalità non conservative.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)

Ord. 20.7.2018




Sentenza del 22 marzo 2018 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Davide Scaffidi

Gli unici limiti entro cui
l’ordinamento riconosce al socio di una s.r.l. la legittimazione a promuovere
un’azione di responsabilità nei confronti di un altro socio sono quelli
previsti dall’art. 2476 settimo comma c.c., secondo cui i soci della s.r.l.
sono solidalmente responsabili con gli amministratori qualora abbiano
intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la
società, i soci, i terzi, in tal modo ingerendo nell’amministrazione della
società.

La mancata approvazione dei
bilanci da parte del socio, quand’anche illegittima, non integra il diverso
presupposto previsto dall’ art 2476 c.c. dal momento che, pur essendo
suscettibile di arrecare un pregiudizio in via di fatto alla società, in realtà
non costituisce un contributo intenzionale al compimento di un diverso atto
gestorio dannoso per la società, dovendosi ritenere presupposto imprescindibile
ai fini della configurazione della responsabilità solidale del socio ex art.
2476 settimo comma c.c., la concorrente responsabilità degli amministratori
nella causazione del danno eziologicamente riconducibile all’atto deciso o
autorizzato dal socio stesso.

L’ordinamento predispone
quali meccanismi di tutela contro la violazione degli obblighi di correttezza e
di collaborazione del socio nell’ambito della partecipazione alla vita
assembleare del socio, l’esclusione dello stesso dalla compagine sociale, o, in
ipotesi estrema, lo scioglimento della società per impossibilità di
funzionamento dell’assemblea.

Ricorre una situazione di
conflitto di interessi del socio quando lo stesso sia portatore di un interesse
extrasociale – antitetico e incompatibile rispetto a quello societario – che
non possa essere perseguito dal socio se non mediante il corrispondente
sacrificio dell’interesse societario.

La responsabilità dell’amministratore non è invocabile in ordine
all’opportunità o meno delle scelte gestionali e della loro eventuale incidenza
negativa sul patrimonio societario, dal momento che la sua configurabilità
esige piuttosto la ricorrenza di un fatto illecito, ossia di un comportamento
che integri la violazione di obblighi specifici, inerenti alla carica, o
generali.

La omessa o ritardata sottoscrizione del verbale del consiglio di
amministrazione da parte di uno degli amministratori non determina alcuna
invalidità della delibera dell’organo gestorio, ma, al più, una mera
irregolarità del relativo processo verbale.

Principi
espressi in ipotesi di rigetto di un’azione, proposta
nei confronti di un amministratore e socio di
società, per ottenere l’accertamento e la condanna al risarcimento, ex art.
2476 c.c., dei danni asseritamente cagionati da plurime condotte negligenti ed
ostative, in relazione, in particolare, ad un esercizio del diritto di voto
abusivo, per conflitto di interessi, nella “forma” del diritto di veto
consentito dall’assetto statutario.

Nel dettaglio la curia bresciana ha affermato che l’esercizio
di veto da parte del socio nella delibera di approvazione dei bilanci, pur
essendo suscettibile di arrecare un pregiudizio in via di fatto alla società,
non configura la fattispecie
disciplinata dall’art 2476 settimo comma c.c, in quanto difetta
della concorrente responsabilità degli amministratori nella causazione del
danno eziologicamente riconducibile all’atto deciso o autorizzato dal socio
stesso.

I giudici, inoltre, hanno ritenuto
che la  proposta, peraltro non approvata,
di azzerare i compensi degli amministratori non integra una situazione
conflitto di interessi, quando tale scelta è dettata dalla sola opportunità di
scongiurare l’avvio di procedimenti di verifica fiscale  nei confronti della società.

Sul punto, è stato sottolineato che, in tema di conflitto di interessi socio/amministratore e di compensi dell’amministratore, deve essere specificatamente allegata l’effettiva consistenza dell’interesse extrasociale perseguito dal socio nonchè di quello societario compromesso, non potendosi limitatare ad un generico risparmio di spesa causato dalla forte contrazione delle vendite  o da difficoltà di tipo fiscale.

(Massima
a cura di Francesco Maria Maffezzoni)