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Ordinanza del 30 ottobre 2018 – Giudice designato: dott. Raffaele Del Porto

In tema di sequestro conservativo, deve ritenersi sussistente il requisito del fumus boni iuris laddove l’amministratore “di diritto” di una società a responsabilità limitata (poi fallita) abbia ceduto, dopo la perdita del capitale sociale e la cessazione, di fatto, dell’attività d’impresa, un ramo d’azienda, con trasferimento all’acquirente della parte più significativa dell’attivo sociale, a fronte di un corrispettivo “irrisorio”, senza acquisire, al contempo, adeguate garanzie quanto all’effettivo pagamento dei debiti inerenti il ramo d’azienda ceduto. In tal caso il danno può essere quantificato in misura pari all’ammontare di tali debiti non pagati dall’acquirente ed ammessi al passivo del fallimento dell’alienante.

La mera partecipazione di un soggetto alla stipula di un atto, in ipotesi, alla cessione di un ramo d’azienda, non può, per il suo carattere isolato, costituire prova idonea di quella condotta reiterata che, per giurisprudenza costante, è necessaria per la configurabilità del ruolo di amministratore di fatto.

(Conforme a Cass. n. 4045/2016).

Ai fini della concessione del sequestro conservativo, il fumus della responsabilità dell’amministratore “di fatto” di società di capitali non può essere ricavato da generiche allegazioni della curatela relative a violazioni di carattere formale (quale, esemplarmente, l’omessa tenuta di contabilità adeguata), qualora non siano dedotte eventuali conseguenze lesive, legate alle prime da idoneo nesso causale.

Il requisito del periculum in mora può essere desunto anche da elementi oggettivi, rappresentati dall’elevata entità del credito vantato dal ricorrente in rapporto alla consistenza patrimoniale del debitore, nella specie neppure conoscibile sulla base di informazioni attendibili.

 Principi espressi in ipotesi di parziale riforma del provvedimento, concesso inaudita altera parte, che aveva autorizzato il sequestro conservativo nei confronti dell’amministratore “di diritto” e dell’amministratore “di fatto” di s.r.l. fallita, a fronte dell’accertamento della responsabilità risarcitoria di questi ultimi per il danno patito dalla società (poi fallita), causalmente collegato alla (specifica) condotta negligente consistente nell’aver ceduto un ramo d’azienda, con trasferimento all’acquirente della parte più significativa dell’attivo sociale, senza aver acquisito adeguate garanzie quanto all’effettivo pagamento dei debiti inerenti il ramo d’azienda ceduto.

Nella specie, il decreto concesso inaudita altera parte è stato riformato, nella parte in cui aveva autorizzato il sequestro conservativo ai danni dell’amministratore “di diritto”, limitatamente all’importo fino a concorrenza del quale tale misura cautelare è stata concessa, mentre è stato revocato nella parte in cui aveva autorizzato il sequestro conservativo ai danni dell’amministratore “di fatto”.

Ord. 30.10.2018

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 30 ottobre 2018 – Giudice designato: Dott. Davide Scaffidi

In tema di responsabilità dei componenti degli organi sociali per l’aggravamento del dissesto patrimoniale, costituiscono elementi rilevanti ai fini della qualificazione della natura dissipativa degli atti di disposizione: il titolo di erogazione a fondo perduto, l’atto abdicativo di rinuncia al credito, il titolo di cessione del credito in assenza di corrispettivo o di finanziamento infruttifero con scarsa probabilità di recupero del capitale e in assenza di richieste di restituzione. In ipotesi in cui tali atti siano disposti in favore di società asseritamente controllate o collegate, per esimersi da responsabilità, i componenti degli organi sociali devono dare prova dell’esistenza di specifici vantaggi compensativi in favore dei creditori sociali idonei a neutralizzare gli svantaggi immediati ad essi procurati.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento della domanda cautelare di sequestro conservativo promossa dal curatore di una s.r.l. ai danni degli amministratori e dei sindaci della società, poi fallita, a fronte dell’accertamento della responsabilità risarcitoria dei medesimi in conseguenza di atti di natura distrattiva.

Più precisamente, la curatela contestava ai resistenti le seguenti condotte:

i) aver omesso di adottare i provvedimenti di legge allorché la situazione contabile manifestava un patrimonio netto negativo o comunque aver omesso di rilevare la causa di scioglimento della società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale;

ii) aver erogato indebitamente, anche a seguito dell’emersione dell’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, finanziamenti a fondo perduto e prestiti con scarsa probabilità di recupero del capitale, senza peraltro che vi fosse stata alcuna richiesta di restituzione, nonché aver ceduto gratuitamente crediti in favore di altre società facenti parte del medesimo gruppo con disposizioni estranee all’oggetto sociale, operazioni disposte in una situazione di conflitto di interessi (stante la identica composizione soggettiva dell’organo gestorio o comunque la presenza tra essi di stretti rapporti di parentela);

iii) aver sostenuto costi il cui onere doveva essere sopportato da soggetti diversi dalla società fallita.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 15 giugno 2018 – Giudice designato: dott. Raffaele Del Porto

L’art. 2476, primo comma, c.c. contiene una definizione dei presupposti e limiti della responsabilità, che pone sull’amministratore l’onere probatorio dell’assenza di colpa nella determinazione dell’atto e del conseguente pregiudizio patrimoniale, senza possibilità di un generico richiamo all’assenza di deleghe operative.

In sede cautelare, la quantificazione del danno imputabile alla mala gestio degli amministratori risente della natura sommaria della cognizione che le è propria, sicché deve ritenersi idoneo, a tali fini, l’approssimativo riferimento all’incremento del deficit patrimoniale conseguente all’indebita prosecuzione dell’attività in costanza di perdita del capitale sociale.

Il breve periodo di permanenza nella carica, la preclusione al ricorso allo strumento di cui all’art. 2409 c.c., nonché di quello di cui all’art. 2485, secondo comma, c.c. (non essendo ancora emersa, alla data di cessazione dalla carica, la perdita del capitale sociale), valgono ad escludere la sussistenza del requisito del fumus boni iuris ai fini della concessione della misura cautelare del sequestro conservativo ai danni del sindaco della s.r.l. poi fallita, a fronte dell’accertamento della responsabilità risarcitoria di cui all’art. 2476 c.c.

Non sussiste reale incompatibilità tra l’intervenuta ammissione al passivo del credito del sindaco per il proprio compenso con l’accertamento del credito risarcitorio vantato dalla curatela nei confronti del medesimo sindaco per l’omesso, adeguato controllo sulla gestione della società (nel difetto di identità del “bene della vita” oggetto delle pronunce).

Ai fini della concessione della misura cautelare del sequestro conservativo, la quantificazione dei danni addebitabili ai sindaci di s.r.l. poi fallita per l’indebita prosecuzione dell’attività sociale può essere equitativamente determinata tenendo conto della tempistica di un ipotetico intervento (tempestivo ed appropriato).

Ai fini della concessione della misura cautelare del sequestro conservativo, l’esistenza di polizze assicurative stipulate dai sindaci non vale ad escludere, in punto di diritto, la sussistenza del periculum in mora, in quanto la sussistenza di tale presupposto deve essere valutata con esclusivo riferimento al complesso degli elementi, di natura soggettiva e oggettiva, relativi a ciascun soggetto responsabile.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento della domanda cautelare di sequestro conservativo formulata dal curatore di una s.r.l. ai danni degli amministratori e dei sindaci della società poi fallita a fronte dell’accertamento della responsabilità risarcitoria dei medesimi in conseguenza di atti di natura distrattiva.

Ord. 15.6.2018

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 10 novembre 2015 – Giudice designato: dott.ssa Vincenza Agnese

Essendo fisiologico contrarre perdite nella fase iniziale (start-up) di avviamento di una attività imprenditoriale, la responsabilità per mala gestio degli amministratori sorge solo in presenza di un’anomalia nel rapporto tra indebitamento e mezzi propri. A tal proposito deve ritenersi che il rapporto tra i mezzi dei terzi e i mezzi propri compatibile con una situazione di equilibrio finanziario debba essere inferiore a due.

La responsabilità degli amministratori di cui all’art. 2476 c.c. non può essere desunta unicamente dai risultati (negativi) della gestione, essendo escluso un sindacato di convenienza e di opportunità dei criteri seguiti dall’amministrazione nello svolgimento dei suoi compiti (conforme a Cass. n. 3409/2013). Ciò tuttavia non esclude che il dovere di diligenza imponga agli amministratori di prendere le decisioni discrezionali solo dopo aver assunto tutte le informazioni del singolo caso e, quindi, un sindacato, riservato alla sede naturale del giudizio di merito, circa la correttezza dei processi decisionali adottati dai medesimi.

(Conforme a Cass. n. 18231/2009).

Integra l’ipotesi di mala gestio ex art. 2476 c.c., costituendo altresì violazione dei doveri di cui agli artt. 2485 e 2486 c.c., la prosecuzione dello svolgimento dell’attività sociale in seguito al verificarsi di una causa di scioglimento della società.

Ai fini dell’accoglimento del ricorso per il sequestro conservativo, ex art. 671 c.p.c., proposto a cautela della domanda risarcitoria di merito di cui all’art. 2476 c.c., deve ritenersi sussistente il periculum in mora c.d. per infruttuosità laddove sussista il rischio che, durante il tempo necessario allo svolgimento del giudizio a cognizione piena, il debitore possa porre in essere atti di disposizione in danno dei creditori, in modo che, al termine del processo, il suo patrimonio risulti insufficiente alla soddisfazione del credito.

Ai fini della qualifica del socio quale amministratore di fatto le attività gestorie concretamente svolte dal predetto devono presentare carattere sistematico, non potendosi esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea e occasionale.

(Conforme a Cass. nn. 6719/2008; 9795/1999; 1925/1999).

In ogni caso, la responsabilità solidale del socio, di cui all’art. 2476, settimo comma, c.c., deve risultare da elementi tali da indurre a ritenere che il socio si sia rappresentato e abbia voluto influire sugli atti gestori compiuti dagli amministratori.

(Conforme a Trib. di Milano, 09.07.2009).

Principi espressi in ipotesi di riforma parziale del provvedimento, reso inaudita altera parte, che ha autorizzato il sequestro conservativo in danno degli amministratori e del socio – in qualità di amministratore di fatto o da considerarsi corresponsabile ex art. 2476, settimo comma, c.c. – di s.r.l., a fronte dell’accertamento di responsabilità per mala gestiodei medesimi verso la società.

Nello specifico, la cautela è stata riformata nell’importo, nonché revocata nella parte in cui autorizzava il sequestro conservativo ai danni del socio.

Ord. 10.11.2015

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 7 ottobre 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Ai fini dell’accoglimento del ricorso per il sequestro conservativo, ex art. 671 c.p.c., proposto a cautela della domanda risarcitoria di merito di cui all’art. 2395 c.c., deve ritenersi sussistente il fumus boni iuris laddove il socio ricorrente fornisca, anche mediante perizia di parte, l’evidenza che l’amministratore abbia perfezionato e progettato operazioni gestorie con l’intento di dissimulare ai terzi il reale stato di crisi della società, rappresentando in bilancio una situazione economico-patrimoniale della medesima non veritiera.

Nel qual caso, tenendo conto delle predette operazioni, può ulteriormente ritenersi sussistente il requisito del periculum in mora.

In ossequio al principio di generale prudenza, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 2423 bis e 2426, primo comma, n. 8, c.c., i crediti devono essere iscritti in bilancio secondo il valore presumibile di realizzo e detta valutazione deve tenere conto, tra l’altro, del grado di solvibilità del debitore.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di reclamo avverso l’ordinanza di rigetto della domanda cautelare di sequestro conservativo ai danni dell’amministratore di s.p.a., a fronte dell’accertamento di responsabilità personale exart. 2395 c.c., che ha indotto altra s.p.a. all’acquisto di una partecipazione pari al 10% del capitale sulla base di un bilancio non veritiero e verosimilmente priva di valore.

Ord. 7.10.2015

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 12 dicembre 2014 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

L’appartenenza ad un gruppo non esclude l’autonomia giuridica e patrimoniale di ciascuna delle società che vi fanno parte e non può giustificare il compimento di atti che contrastino con gli interessi delle stesse separatamente considerati, lasciando ferma in tal caso la responsabilità degli amministratori per i danni da essi arrecati al patrimonio della singola società.

Ciò posto, si rileva che: da un lato, la pura e semplice appartenenza ad un gruppo societario non costituisce, di per sé sola, un vantaggio idoneo a compensare eventuali danni arrecati al patrimonio della società; dall’altro, ben può prodursi un danno per il patrimonio della società anche in presenza di risultati di bilancio positivi.

(Conforme a Cass. n. 16707/2004).

La sussistenza di vantaggi compensativi, ai fini dell’esclusione della responsabilità di cui all’art. 2497 c.c., deve essere valutata con riferimento a deliberazioni societarie che illustrino analiticamente il contenuto e le caratteristiche dell’operazione (dalla quale si assumono derivare i vantaggi compensativi), motivandone la correlazione con gli specifici interessi di gruppo, come richiesto dall’art. 2497 ter c.c.

Ai fini della valutazione della sussistenza di vantaggi compensativi, di cui all’art. 2497 c.c., non risultano, almeno allo stato, elementi per determinare la portata e l’effettivo “valore economico” della controprestazione pattuita nell’obbligo di non concorrenza tra società di gruppo (a fronte della cessione di un credito), che, pertanto, si palesa inafferrabile.

Le operazioni di modesta entità relative all’assunzione di partecipazioni in altre società facenti parte del consorzio e alla prestazione di fideiussioni a favore di talune di esse possono verosimilmente trovare adeguata giustificazione nell’ambito della solidarietà di gruppo e delle finalità mutualistiche tra società consorziate, non essendo perciò, di per sé, suscettibili di censura.

La notevole sproporzione tra la rilevante entità del credito risarcitorio e il patrimonio del debitore integra il requisito del periculum in mora (c.d. oggettivo) ai fini del sequestro conservativo cautelare ai danni del debitore.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento di reclamo promosso dall’amministratore delegato di una società cooperativa consorziata avverso l’ordinanza che ha disposto in suo danno il sequestro conservativo a fronte dell’accertamento della responsabilità per mala gestio del medesimo verso la società. Nello specifico, l’importo della cautela è stato circoscritto all’ammontare del residuo debito del consorzio essendo stata esclusa l’illiceità di talune operazioni gestorie censurate in un primo momento.

Ord. 12.12.2014

(Massima a cura di Marika Lombardi)