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Sentenza del 23 marzo 2018 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Ove alla stipula di un contratto preliminare segua ad opera delle stesse parti la conclusione del contratto definitivo, quest’ultimo costituisce l’unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto, in quanto il contratto preliminare, determinando soltanto l’obbligo reciproco della stipulazione del contratto definitivo, resta superato da questo, la cui disciplina, con riguardo alle modalità e condizioni, anche se diversa da quella pattuita con il preliminare, configura un nuovo accordo intervenuto tra le parti e si presume sia l’unica regolamentazione del rapporto da esse voluta. La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenuti nel preliminare, sopravvivono al contratto definitivo (conf., ex multis, Cass. n. 30735/2017). Conseguentemente, non può trovare applicazione la clausola compromissoria contenuta nel contratto preliminare, laddove la stessa non sia prevista anche nel definitivo ovvero in altro separato accordo contestualmente concluso. 

La prescrizione quinquennale di cui all’art. 2949, co. 1, c.c. opera con riguardo ai diritti che scaturiscono dal rapporto societario, e cioè dalle relazioni che si istituiscono fra i soggetti dell’organizzazione sociale in dipendenza diretta dal contratto di società o che derivano dallo svolgimento della vita sociale, mentre ne restano esclusi tutti gli altri diritti che trovano la loro ragion d’essere negli ordinari rapporti giuridici che una società (o il singolo socio) può contrarre al pari di ogni altro soggetto (conf., ex multis, Cass. n. 21903/2013). Pertanto, soggiacciono al termine di prescrizione ordinario i rapporti giuridici aventi titolo nel contratto di cessione di partecipazione azionaria stipulato tra il singolo socio e il soggetto acquirente della partecipazione ceduta.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dal curatore fallimentare nei confronti dei soci di una s.p.a., con cui il medesimo chiedeva: (i) da un lato, la declaratoria di nullità per violazione dell’art. 2358 c.c. del contratto preliminare di cessione delle azioni stipulato tra di essi, quali promittenti venditori, e la società poi fallita, quale promissaria acquirente, nonché dei successivi contratti di vendita e, (ii) dall’altro, la condanna dei convenuti alla restituzione di quanto da ognuno di essi incassato a titolo di prezzo per la cessione.

I convenuti si costituivano in giudizio eccependo, preliminarmente, l’incompetenza/difetto di giurisdizione del tribunale adito in ragione della clausola compromissoria contenuta nel contratto preliminare (e non prevista nei definitivi), nonché il decorso della prescrizione quinquennale ex art. 2949 c.c. delle domande di nullità dei predetti contratti.

Sul punto il Tribunale, rilevato che le somme chieste in restituzione erano state corrisposte in forza dei singoli contratti di cessione (produttivi dell’effetto traslativo), e non del contratto preliminare, accertata l’infondatezza delle eccezioni di carenza di giurisdizione/incompetenza del tribunale adito e di prescrizione dell’azione di nullità, ha rigettato le domande preliminari formulate da parte convenuta, disponendo, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza dell’11 giugno 2016, n. 1797 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori spettanti alla società e ai creditori, in caso di fallimento della società, confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., ma i presupposti delle due azioni rimangono immutati.

In particolare, in tema di prescrizione, il termine, in ogni caso quinquennale, decorre, nell’azione sociale di cui all’art. 2393 c.c., dalla cessazione dell’amministratore dalla carica, mentre, nell’azione di responsabilità verso i creditori, dal momento in cui l’insufficienza patrimoniale è oggettivamente conoscibile dai creditori.

(Conforme a Cass. nn. 10378/2012; 15955/2012).

L’omessa tenuta dei libri contabili, sebbene rappresenti senz’altro un grave inadempimento degli obblighi di corretta gestione e costituisca un ostacolo ad una ricostruzione dell’andamento dell’impresa, non può tuttavia giustificare l’imputazione all’amministrazione del deficit fallimentare, non essendo neppure astrattamente configurabile un nesso di causalità tra la predetta condotta omissiva e il danno per il patrimonio della società.

(Conforme a Cass. S.U. n. 9100/2015).

In caso di omissione di tenuta dei libri contabili, l’attribuzione della responsabilità risarcitoria agli amministratori presuppone la verifica della sussistenza delle specifiche condotte illecite ai medesimi imputate. Tuttavia, il mancato rinvenimento di beni durevoli e di rilevante importo iscritti alla voce “immobilizzazioni materiali”, fa sorgere a carico degli amministratori una presunzione di distrazione dei predetti beni, che gli stessi sono tenuti a confutare.

Il valore contabile, ossia il c.d. costo storico, di beni durevoli generalmente non coincide con il valore di realizzo sul mercato, risultando tendenzialmente superiore per effetto della obsolescenza, del deperimento e della specificità dei beni. Sicché, ai fini della quantificazione del danno da risarcire in conseguenza della distrazione dei predetti beni, appare congruo “abbattere” il medesimo costo storico del 50%.

Il componente del consiglio di amministrazione non può eccepire il proprio disinteresse per la società al fine di esimersi da responsabilità, essendo tale disinteresse piuttosto indice di condotta omissiva colposa sanzionata dall’art. 2476 c.c.

La responsabilità degli amministratori non può essere graduata in relazione alle colpe di ciascun amministratore: ai sensi dell’art. 2476 c.c. gli amministratori rispondono nei confronti del danneggiato in solido, potendosi semmai proporre, nei rapporti interni, domande di regresso.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di ricorso promosso dal curatore fallimentare di s.r.l., ex art. 146 l. fall., ai fini dell’accertamento della responsabilità per mala gestio degli amministratori, conseguente a condotte distrattive ai danni della società medesima.

Sent. 11.6.2016, n. 1797

(Massima a cura di Marika Lombardi)