Sentenza del 12 novembre 2021 – Giudice designato: Dott. Raffaele Del Porto

Ai sensi dell’art. 1669 c.c. la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa sorge quando i gravi difetti consistono in alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura, rilevando a tal fine anche vizi non totalmente impeditivi dell’uso del bene. In caso di immobile, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell’edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell’ipotesi di infiltrazioni d’acqua e umidità nelle murature (conf. Cass. n. 24230/2018 e Cass. n. 27315/2017).

In tema di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili ex art. 1669 c.c., qualora il materiale esecutore delle opere non sia legato direttamente da contratto di appalto con il venditore, ma indirettamente attraverso una catena di uno o più subappalti (o contratti di altra tipologia), trova applicazione il principio per cui il danneggiato acquirente può agire sia contro l’appaltatore (e gli altri appaltatori) sia contro il venditore, quando l’opera sia riferibile a quest’ultimo (conf. Cass. n. 27250/2017).

L’acquirente può esercitare l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili nei confronti del venditore quando quest’ultimo risulta fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera, gravando sul medesimo venditore l’onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell’evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva (conf. Cass. n. 9370/2013).

Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti. (conf. Cass. n. 777/2020).

L’impegno dell’appaltatore ad eliminare i vizi della cosa o dell’opera costituisce, alla stregua dei principi generali non dipendenti dalla natura del singolo contratto, fonte di un’autonoma obbligazione di facere soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l’inadempimento contrattuale che si affianca all’originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, salvo uno specifico accordo novativo. (conf. Cass. n. 62/2018). 

La proposizione di una domanda di manleva, che trae origine dal medesimo contratto di appalto, risulta preclusa per effetto del giudicato formatosi nel primo giudizio, quando il (sub-)committente abbia già ottenuto la condanna del (sub-)appaltatore al risarcimento dei danni patiti per la cattiva esecuzione delle opere oggetto del contratto stipulato inter partes.

In tema di rappresentanza, possono essere invocati i principi dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole alla presenza non solo della buona fede del terzo che ha stipulato con il falso rappresentante, ma anche di un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente (conf. Cass. n. 18519/2018). 

Principi espressi nel procedimento promosso da un condominio per ottenere la condanna, ex art 1669 c.c. al risarcimento dei danni patiti per l’ammaloramento ed il distacco degli intonaci dell’edificio condominiale riconducibili all’operato negligente della società convenuta. La convenuta ha contestato la propria responsabilità ex art 1669 c.c., non avendo provveduto alla materiale esecuzione delle opere asseritamente viziate e ha formulato istanza di chiamata in causa dell’impresa che aveva realizzato i lavori di fornitura e posa in opera dell’intonaco, spiegando domanda di manleva nei suoi confronti. Il Tribunale ha respinto la domanda essendo già intervenuta altra condanna, passata in giudicato, del subappaltatore per cattiva esecuzione delle opere appaltate dichiarando tenuta la società convenuta al risarcimento dei danni per i vizi lamentati ex art 1669 c.c.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 7 gennaio 2020 – Giudice designato: Dott. Raffaele Del Porto

In tema di condominio, l’art. 1130, n. 4, c.c., che attribuisce all’amministratore il potere di compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio, deve interpretarsi estensivamente nel senso che, oltre agli atti conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa o a quella parte comune, l’amministratore ha il potere – dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato; pertanto, rientra nel novero degli atti conservativi di cui all’art. 1130, n. 4, c.c. l’azione di cui all’art. 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l’intero edificio condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita alternativamente l’amministratore del condominio e i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che possa farsi distinzione tra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto (conf., ex multis, Cass. n. 2436/2018 e Cass. n. 22656/2010).

Con riferimento all’azione ex art. 1669 c.c. va affermata la legittimazione passiva in favore: a) dell’appaltatore, soggetto espressamente contemplato dall’art. 1669 c.c.; b) del progettista e del direttore dei lavori (conf. Cass. n. 17874/2013, secondo cui “l’ipotesi di responsabilità regolata dall’art. 1669 cod. civ. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e conseguentemente nella stessa possono incorrere, a titolo di concorso con l’appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando a vario titolo la loro opera nella realizzazione dell’opera, abbiano contribuito, per colpa professionale (segnatamente il progettista e/o il direttore dei lavori), alla determinazione dell’evento dannoso, costituito dall’insorgenza dei vizi in questione”); e c) del c.d. “venditore costruttore”, ossia “il venditore che, sotto la propria direzione e controllo, abbia fatto eseguire sull’immobile successivamente alienato opere di ristrutturazione edilizia ovvero interventi manutentivi o modificativi di lunga durata, che rovinino o presentino gravi difetti” e che pertanto “ne risponde nei confronti dell’acquirente ai sensi dell’art. 1669 c.c.” (conf. Cass. n. 18891/2017 e Cass. n. 9370/2013, secondo cui “l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili, prevista dall’art. 1669 cod. civ., può essere esercitata anche dall’acquirente nei confronti del venditore che risulti fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera, gravando sul medesimo venditore l’onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell’evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva”).

I principi che regolano la responsabilità dell’appaltatore ex art. 1667 c.c. per le difformità ed i vizi dell’opera sono applicabili anche nell’ipotesi di responsabilità per la rovina ed i gravi difetti dell’edificio, prevista dall’art. 1669 c.c. e, pertanto, il riconoscimento di tali difetti e l’impegno del costruttore di provvedere alla loro eliminazione – che non richiedono forme determinate e possono, quindi, risultare anche da fatti concludenti desumibili dalle stesse riparazioni eseguite sull’opera realizzata – concretano elementi idonei ad ingenerare un nuovo rapporto di garanzia che, pur restando circoscritto ai difetti che si manifestino in dieci anni dall’originario compimento dell’opera, si sostituisce a quello originario e che, conseguentemente, da un lato impedisce il decorso della prescrizione dell’azione di responsabilità, stabilita in un anno dalla denuncia, in base all’ultimo comma del ricordato art. 1669 c.c. e, dall’altro lato lascia impregiudicata, qualora il difetto – nonostante le riparazioni apportate – riemerga prima che siano decorsi i dieci anni a cui, in applicazione di detta norma, deve restare commisurata la responsabilità del costruttore, la possibilità di fare valere ulteriormente la garanzia ivi prevista (conf. Cass. n. 4936/1981 e Cass. n. 20853/2009, secondo cui “in tema di appalto, l’esecuzione da parte dell’appaltatore di riparazioni a seguito di denuncia dei vizi dell’opera da parte del committente deve intendersi come riconoscimento dei vizi stessi e, pertanto, il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 1669 cod. civ. comincia a decorrere “ex novo” dal momento in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti. Ne consegue che, nel caso in cui la sufficiente conoscenza dei difetti sia raggiunta solo dopo l’esecuzione delle riparazioni ed in conseguenza dell’inefficacia di queste, il termine prescrizionale deve farsi decorrere da questo successivo momento e non dall’esecuzione delle riparazioni”).

In tema di appalto, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell’edificio ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell’ipotesi di infiltrazioni d’acqua e umidità 

nelle murature (conf. Cass. 27315/2017, Cass. n. 84/2013 e 20644/2013 secondo cui “in tema di appalto, l’operatività della garanzia di cui all’art. 1669 cod. civ. si estende anche ai gravi difetti della costruzione che non riguardino il bene principale (come gli appartamenti costruiti), bensì i viali di accesso pedonali al condominio, dovendo essa ricomprendere ogni deficienza o alterazione che vada ad intaccare in modo significativo sia la funzionalità che la normale utilizzazione dell’opera, senza che abbia rilievo in senso contrario l’esiguità della spesa occorrente per il relativo ripristino”).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dal condominio che con atto di citazione ha convenuto in giudizio il costruttore, la società venditrice e il progettista e direttore lavori, per ottenerne la condanna in solido al risarcimento di tutti i danni derivanti da vizi o difformità dell’immobile condominiale, consistenti essenzialmente in: distacchi dei rivestimenti lapidei utilizzati nei camminamenti e cortili pedonali; ammaloramento della copertura dell’ingresso pedonale comune; distacchi diffusi degli intonaci dei muretti interni e della recinzione perimetrale; presenza di infiltrazioni diffuse nei controsoffitti dei porticati comuni.

(Massime a cura di Marika Lombardi)