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Ordinanza del 15 giugno 2018 – Giudice designato: dott. Raffaele Del Porto

L’art. 2476, primo comma, c.c. contiene una definizione dei presupposti e limiti della responsabilità, che pone sull’amministratore l’onere probatorio dell’assenza di colpa nella determinazione dell’atto e del conseguente pregiudizio patrimoniale, senza possibilità di un generico richiamo all’assenza di deleghe operative.

In sede cautelare, la quantificazione del danno imputabile alla mala gestio degli amministratori risente della natura sommaria della cognizione che le è propria, sicché deve ritenersi idoneo, a tali fini, l’approssimativo riferimento all’incremento del deficit patrimoniale conseguente all’indebita prosecuzione dell’attività in costanza di perdita del capitale sociale.

Il breve periodo di permanenza nella carica, la preclusione al ricorso allo strumento di cui all’art. 2409 c.c., nonché di quello di cui all’art. 2485, secondo comma, c.c. (non essendo ancora emersa, alla data di cessazione dalla carica, la perdita del capitale sociale), valgono ad escludere la sussistenza del requisito del fumus boni iuris ai fini della concessione della misura cautelare del sequestro conservativo ai danni del sindaco della s.r.l. poi fallita, a fronte dell’accertamento della responsabilità risarcitoria di cui all’art. 2476 c.c.

Non sussiste reale incompatibilità tra l’intervenuta ammissione al passivo del credito del sindaco per il proprio compenso con l’accertamento del credito risarcitorio vantato dalla curatela nei confronti del medesimo sindaco per l’omesso, adeguato controllo sulla gestione della società (nel difetto di identità del “bene della vita” oggetto delle pronunce).

Ai fini della concessione della misura cautelare del sequestro conservativo, la quantificazione dei danni addebitabili ai sindaci di s.r.l. poi fallita per l’indebita prosecuzione dell’attività sociale può essere equitativamente determinata tenendo conto della tempistica di un ipotetico intervento (tempestivo ed appropriato).

Ai fini della concessione della misura cautelare del sequestro conservativo, l’esistenza di polizze assicurative stipulate dai sindaci non vale ad escludere, in punto di diritto, la sussistenza del periculum in mora, in quanto la sussistenza di tale presupposto deve essere valutata con esclusivo riferimento al complesso degli elementi, di natura soggettiva e oggettiva, relativi a ciascun soggetto responsabile.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento della domanda cautelare di sequestro conservativo formulata dal curatore di una s.r.l. ai danni degli amministratori e dei sindaci della società poi fallita a fronte dell’accertamento della responsabilità risarcitoria dei medesimi in conseguenza di atti di natura distrattiva.

Ord. 15.6.2018

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 9 dicembre 2017, n. 3593 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Raffaele Del Porto

L’azione di responsabilità, esercitata dal curatore ai sensi dell’art. 146, secondo comma, l. fall., cumula in sé le diverse azioni previste dagli artt. 2392-2393 c.c. e dall’art. 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, tant’è che il curatore può, anche separatamente, formulare domande risarcitorie tanto con riferimento ai presupposti dell’azione sociale, che ha natura contrattuale, quanto con riguardo a quelli della responsabilità verso i creditori, che ha natura extracontrattuale.

Tali azioni non perdono la loro originaria identità giuridica, rimanendo tra loro distinte sia nei presupposti di fatto che nella disciplina applicabile, differenti essendo la distribuzione dell’onere della prova, i criteri di determinazione dei danni risarcibili ed il regime di decorrenza del termine di prescrizione.

L’azione di responsabilità dei creditori sociali nei confronti degli amministratori di società ex art. 2394 c.c., pur quando promossa dal curatore fallimentare a norma dell’art. 146 l. fall., è soggetta a prescrizione quinquennale che decorre dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti (e non anche dall’effettiva conoscenza di tale situazione), che, a sua volta, dipendendo dall’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), non corrisponde allo stato d’insolvenza di cui all’art. 5 della l. fall., derivante, in primis, dall’impossibilità di ottenere ulteriore credito.

In ragione della onerosità della prova gravante sul curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, ricadendo sull’amministratore la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale.

(Conforme a Cass. n. 24715/2015).

La natura delle operazioni censurate, la loro reiterazione nel tempo, la puntuale segnalazione operata dall’organo di controllo, in uno con le modeste dimensioni dell’attività della società poi fallita, valgono ad affermare la responsabilità risarcitoria dell’amministratore (sia pure entro i limiti legati alla vigenza della sua carica), il quale non può andare esente da colpa nell’ipotesi di completa omissione di ogni pur minimo controllo.

Le medesime considerazioni valgono poi quanto alla responsabilità dei componenti del collegio sindacale che abbiano omesso di adottare tempestivamente le iniziative opportune, pur a fronte dei rilievi operati dal precedente organo di controllo e contenuti nell’ultimo verbale redatto da quel collegio prima delle sue dimissioni; documento che deve ritenersi sicuramente consultato dai nuovi sindaci all’atto del loro insediamento.

Deve essere respinta la domanda di manleva formulata dal professionista (componente dell’organo di controllo) nei confronti della società “broker”, dovendo la medesima essere rivolta all’ente assicuratore e non al soggetto che abbia procacciato la conclusione del contratto di assicurazione.

La restituzione del finanziamento soci (credito chirografario e anzi verosimilmente postergato), avvenuta nell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento, quando la società aveva da tempo perduto il capitale sociale, costituisce illecito commesso dall’amministratore (sottraendo apprezzabili risorse finanziarie della società ai creditori di grado poziore, destinati a rimanere insoddisfatti anche nel successivo fallimento) che deve quindi rispondere del relativo danno.

Il ricorso, di norma necessario, all’opera di professionisti per la tenuta della contabilità e la predisposizione dei bilanci non può rendere esente da responsabilità l’amministratore che abbia comunque concorso alla formazione dei bilanci falsi (restando, in ogni caso, del tutto inverosimile che i professionisti possano aver agito in assoluta autonomia, senza attenersi alle direttive, anche di massima, dell’organo gestorio).

Nel difetto di elementi che consentano una più precisa quantificazione del danno, l’incremento dei debiti rimasti insoddisfatti, maturati in un periodo caratterizzato da una rilevantissima perdita economica, costituisce idoneo parametro per la liquidazione equitativa di un danno che si caratterizza, in ogni caso, per l’elevata difficoltà di una puntuale indicazione.

Principi espressi in ipotesi di esercizio dell’azione di responsabilità promossa dalla curatela di una s.r.l. fallita contro i componenti dell’organo amministrativo e di controllo.

Sent. 9.12.2017, n. 3593

(Massima a cura di Marika Lombardi)