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Sentenza del 7 agosto 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 c.c. e 2394 c.c. (o, per la s.r.l., artt. 2476, co. 3, e 2476, co. 6, c.c.), pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente, confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile, previa autorizzazione del giudice delegato, esclusivamente da parte del curatore.

In punto di prescrizione, la disciplina applicabile a detta azione si atteggia in modo differente a seconda dei presupposti operativi evocati: pur essendo comunque quinquennale il termine prescrizionale dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., il dies a quo è differente a seconda che il curatore abbia agito con la legittimazione processuale ex art. 146 l. fall. nell’esercizio: a) dell’azione sociale di responsabilità, oppure b) dell’azione di responsabilità esperibile da parte dei creditori.

In tal senso, il termine di prescrizione decorrerà quindi:

a) per l’azione sociale, dal momento in cui, per effetto dell’inadempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, si verifichi il danno alla società; il dies a quo, pertanto, può essere posteriore non solo a quello in cui si sia verificato l’inadempimento, ma anche a quello in cui amministratori e sindaci siano cessati dalla carica (ferma la sospensione del termine, quanto agli amministratori, durante lo svolgimento dell’incarico ex art. 2941, n. 7, c.c.);

b) per l’azione dei creditori sociali, dal momento – che può essere anteriore o coincidente con la dichiarazione del fallimento – in cui gli stessi siano stati in grado “di venire a conoscenza dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società” (conf. Cass. n. 9619/2009, n. 20476/2008, n. 941/2005). In ragione dell’onerosità della suddetta prova a carico del curatore, avente ad oggetto l’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quodi decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando all’amministratore convenuto nel giudizio (che eccepisca la prescrizione dell’azione di responsabilità) dare la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (conf. Cass. n. 13378/2014). La relativa prova, se è vero che può desumersi anche dal bilancio di esercizio (conf. Cass. n. 20476/2008), deve pur sempre avere ad oggetto “fatti sintomatici di assoluta evidenza (indicati da Cass. n. 8516/2009 nella chiusura della sede sociale, nell’assenza di cespiti suscettibili di esecuzione forzata, ecc.), nell’ambito di una valutazione che è riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa” (conf. Cass. n. 24715/2015).

Sussiste la responsabilità dell’amministratore unico laddove, all’esito della perizia, risulti dimostrato che il medesimo abbia redatto i bilanci in modo errato, di fatto occultando l’intervenuta erosione del capitale sociale, ed abbia omesso di adottare i provvedimenti di cui all’art. 2482-ter c.c., proseguendo indebitamente l’attività d’impresa, aggravando così il dissesto.

In tal caso, sussiste altresì la responsabilità solidale del collegio sindacale, inadempiente rispetto agli obblighi di vigilanza ex art. 2407, co. 2, c.c., avendo lo stesso omesso di rilevare le predette violazioni gestorie e non avendo reagito adeguatamente di fronte agli illeciti amministrativi posti in essere dall’amministratore unico, essendosi limitato soltanto a prospettare, in modo incompleto, la sussistenza di alcune criticità nella gestione della società poi fallita.

In tema di azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, ai fini della liquidazione del danno è necessario evidenziare che il pregiudizio arrecato alla società ed ai creditori sociali deve essere calcolato, in conformità all’art. 2486, co. 3, c.c., come di recente modificato, attraverso il criterio dei cc.dd. “netti patrimoniali”, ossia nella differenza tra il patrimonio netto alla data di cessazione della carica gestoria o a quella di apertura della procedura concorsuale, da un lato, ed il patrimonio netto alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento, dall’altro, una volta detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità.

In tema di responsabilità dei sindaci nei confronti della società, non può trovare accoglimento la domanda di manleva formulata dal sindaco nei confronti dell’assicurazione laddove la richiesta di risarcimento formulata dal sindaco sia pervenuta all’assicurazione soltanto quando la polizza aveva cessato la sua validità ed efficacia e la maggiorazione del premio prevista dal regolamento negoziale per l’estensione postuma illimitata della garanzia – riconducibile al modello “on claims made basis” – non sia mai stata corrisposta.

Principi espressi nel giudizio promosso dal curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ex artt. 2393 c.c., 2407 c.c. e 146 l. fall. contro l’ex amministratore unico e gli ex componenti del collegio sindacale della società, poi fallita, a fronte del compimento di atti di mala gestio da parte dell’amministratore unico, nonché l’omessa adeguata vigilanza da parte dei componenti dell’organo collegiale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 30 aprile 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori di una società di capitali previste dagli artt. 2393 c.c. e 2394 c.c. (o, per la s.r.l., artt. 2476, co. 3, e 2476, co. 6, c.c.), pur essendo tra loro distinte, in caso di fallimento dell’ente, confluiscono nell’unica azione di responsabilità, esercitabile, previa autorizzazione del giudice delegato, esclusivamente da parte del curatore.

In punto di prescrizione, la disciplina applicabile a detta azione si atteggia in modo differente a seconda dei presupposti operativi evocati: pur essendo comunque quinquennale il termine prescrizionale dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., il dies a quo è differente a seconda che il curatore abbia agito con la legittimazione processuale ex art. 146 l. fall. nell’esercizio: a) dell’azione sociale di responsabilità, oppure b) dell’azione di responsabilità esperibile da parte dei creditori.

In tal senso, il termine di prescrizione decorrerà quindi:

a) per l’azione sociale, dal momento in cui, per effetto dell’inadempimento degli obblighi degli amministratori e dei sindaci, si verifichi il danno alla società; il dies a quo, pertanto, può essere posteriore non solo a quello in cui si sia verificato l’inadempimento, ma anche a quello in cui amministratori e sindaci siano cessati dalla carica (ferma la sospensione del termine, quanto agli amministratori, durante lo svolgimento dell’incarico ex art. 2941, n. 7 c.c.);

b) per l’azione dei creditori sociali, dal momento – che può essere anteriore o coincidente con la dichiarazione del fallimento – in cui gli stessi siano stati in grado “di venire a conoscenza dello stato di grave e definitivo squilibrio patrimoniale della società” (conf. Cass. n. 9619/2009, n. 20476/2008, n. 941/2005). In ragione dell’onerosità della suddetta prova a carico del curatore, avente ad oggetto l’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i crediti sociali, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quodi decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando all’amministratore convenuto nel giudizio (che eccepisca la prescrizione dell’azione di responsabilità) dare la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (conf. Cass. n. 13378/2014). La relativa prova, se è vero che può desumersi anche dal bilancio di esercizio (conf. Cass. n. 20476/2008), deve pur sempre avere ad oggetto “fatti sintomatici di assoluta evidenza (indicati da Cass. n. 8516/2009 nella chiusura della sede sociale, nell’assenza di cespiti suscettibili di esecuzione forzata, ecc.), nell’ambito di una valutazione che è riservata al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità, se non per vizi motivazionali che la rendano del tutto illogica o lacunosa” (conf. Cass. n. 24715/2015).

In tema di azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., deve affermarsi la responsabilità degli amministratori laddove la curatela fallimentare-attrice abbia dato prova: a) della condotta illecita addebitata agli amministratori-convenuti consistente nell’omesso tempestivo rilievo della perdita del capitale sociale, nell’omessa adozione dei rimedi di cui all’art. 2482-ter c.c. e nell’indebita prosecuzione dell’attività d’impresa, atteso che la perdita del capitale sociale doveva essere prontamente rilevata; b) delle conseguenze lesive di detta condotta consistenti nelle maggiori perdite accumulate per effetto della indebita prosecuzione dell’attività; nonché c) del nesso eziologico sussistente tra l’indebita prosecuzione dell’attività e le conseguenze patrimoniali negative subite dalla società e dai creditori sociali.

In tema di azione di responsabilità esercitata dal curatore fallimentare, ai fini della liquidazione del danno è necessario evidenziare che il pregiudizio arrecato alla società e ai creditori sociali deve essere calcolato, in conformità all’art. 2486 co. 3 c.c., come di recente modificato, attraverso il criterio dei cc.dd. “netti patrimoniali”, ossia nella differenza tra il patrimonio netto alla data di cessazione della carica gestoria o a quella di apertura della procedura concorsuale, da un lato, ed il patrimonio netto alla data in cui si è verificata la causa di scioglimento, dall’altro, una volta detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità.

La disciplina più favorevole dettata dall’art. 2392 c.c. per la responsabilità degli amministratori privi di specifiche deleghe (o funzioni) non può trovare applicazione nei casi in cui sia contestata agli amministratori la violazione di doveri relativi alla corretta formazione del bilancio e agli adempimenti conseguenti, nonché l’indebita prosecuzione dell’attività in assenza dei presupposti di legge, in danno della società e dei creditori sociali. Tale disciplina, essenzialmente diretta a limitare la responsabilità degli amministratori cc.dd. non operativi (cioè privi di delege) in relazione al compimento di atti gestori dannosi, non può difatti mandare esente da responsabilità l’amministratore che, sebbene estraneo alle specifiche attività gestorie, non può non partecipare, con piena consapevolezza e conseguenti responsabilità, all’adempimento fondamentale rappresentato dalla redazione del bilancio di esercizio.

Principi espressi nel giudizio promosso dal curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ex art. 146 l. fall. nei confronti dei componenti del consiglio di amministrazione della società, poi fallita, a fronte del compimento di atti di mala gestio, consistenti nell’aver redatto i bilanci in modo non corretto o non veritiero, nell’aver occultato dolosamente l’erosione del capitale sociale, nell’aver omesso di adottare i provvedimenti di cui all’art. 2447 c.c. e nell’aver indebitamente proseguito l’attività di impresa, aggravando il deficit patrimoniale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 3 aprile 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

L’accertamento della violazione degli obblighi incombenti sugli amministratori costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente per ravvisare in capo all’amministratore stesso una responsabilità di tipo risarcitorio: ed in vero, affinché si configuri la responsabilità in esame è necessaria la prova del danno, ossia del deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, nonché la prova della riconducibilità diretta, sotto il profilo causale, del danno lamentato alla condotta omissiva o commissiva oggetto di contestazione (conf. Cass. n. 5876/2011; Cass. n. 7606/2011).

Inoltre, la specifica allegazione del nesso eziologico, oltre a fungere da parametro per l’accertamento della sussistenza della responsabilità risarcitoria dell’amministratore, è altresì funzionale, sotto il profilo oggettivo, a circoscrivere il risarcimento del danno soltanto a quegli effetti patrimoniali negativi che sono conseguenza diretta dell’inadempimento posto in essere dall’amministratore stesso. Dal punto di vista dell’onere probatorio, in tema di risarcimento del danno, poi, spetta a chi agisce l’onere di provare l’esistenza del danno stesso, il suo ammontare nonché il fatto che esso sia stato causato dal comportamento illecito di un determinato soggetto, ossia il nesso eziologico che lega il danno al comportamento.

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146 l. fall., la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare (conf. Cass. SS.UU. n. 9100/2015).

Principi espressi nel giudizio promosso dal curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ex artt. 146 l. fall., 2394-bis c.c., 2392 e/o 2393 e/o 2394 c.c., 2476 c.c. nei confronti dell’amministratore e socio della società, poi fallita, nonché ex art. 2476, comma 7, c.c. nei confronti delle socie. A fondamento delle sue pretese risarcitorie, l’attrice ha dedotto, oltre alla mancata tenuta delle scritture contabili, il compimento di atti distrattivi da parte dell’amministratore, perpetrati sulla base di scelte avallate dalle stesse socie.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 18 marzo 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

In tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, l’art. 146 l. fall. attribuisce al curatore del fallimento di s.r.l. la legittimazione esclusiva ad esercitare, previa autorizzazione del giudice delegato, l’azione di responsabilità sociale e dei creditori sociali (conf. Cass. n. 17121/2010 e Cass. n. 23452/2019).

Spetta ai creditori sociali e dunque alla curatela, in ragione della specifica legittimazione, il diritto di ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che, per loro colpa, la società non è più in grado di adempiere (conf. Cass. SS.UU. n. 1641/2017). 

Le scritture contabili (che fanno prova, ai sensi dell’art. 2709 c.c., contro la società) assumono, quanto alle operazioni in esse registrate, analoga valenza probatoria nei confronti degli amministratori che le hanno formate; non altrettanto può dirsi nei confronti dei soci, che sono soggetti terzi. 

Tali principi sono stati espressi in accoglimento di un’azione, proposta dalla curatela fallimentare, volta all’accertamento e alla condanna al risarcimento del danno degli amministratori e dei soci di una s.r.l. per aver gli stessi depauperato il patrimonio della società, attraverso un uso improprio delle risorse finanziarie della stessa (concessione di finanziamenti), in relazione al peculiare contesto della incapienza del patrimonio della società poi fallita.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 20 dicembre 2019 – Presidente: Dott.ssa Alessia Busato – Giudice relatore: Dott.ssa Angelica Castellani

Sotto
il profilo oggettivo, integra gli elementi costitutivi del reato di bancarotta
fraudolenta per distrazione ex art. 216 l.fall. il prelievo da parte
dell’amministratore di somme dalle casse sociali privo di adeguata
giustificazione e/o per finalità estranee allo scopo sociale. Tale
comportamento si pone in contrasto con gli interessi della società fallita e
dell’intera massa dei creditori, consistendo nell’appropriazione di parte delle
risorse sociali, distolte dalla loro naturale destinazione a garanzia dei
creditori (conf. Cass. pen. n. 30105/2018; Cass. n. 49509/2017; Cass. n.
50836/2016).

Ai
fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione ex
art. 216 l.fall. si deve escludere la necessità di un nesso causale tra i fatti
di distrazione e il successivo fallimento, ritenendosi sufficiente che l’agente
abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad
impieghi estranei alla sua attività. Pertanto, una volta intervenuta la
dichiarazione di fallimento, i fatti di distrazione assumono rilievo anche se
siano stati commessi quando ancora l’impresa non versava in condizioni di
insolvenza.

Ai
fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione ex
art 216 l.fall. né la previsione dell’insolvenza come effetto necessario,
possibile o probabile, dell’atto dispositivo, né la percezione della sua
preesistenza nel momento del compimento dell’atto sono condizioni essenziali ai
fini dell’antigiuridicità penale della condotta.

La
natura di reato di pericolo del delitto di bancarotta fraudolenta per
distrazione ex art 216 l.fall. rende irrilevante che al momento della
consumazione l’agente non avesse consapevolezza dello stato d’insolvenza
dell’impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato. L’offesa penalmente
rilevante è conseguente anche alla mera esposizione dell’interesse protetto
alla probabilità di lesione, onde la penale responsabilità sussiste non
soltanto in presenza di un danno attuale ai creditori, ma anche nella
situazione di messa in pericolo dei loro interessi (Cass. pen. n. 44933/2011).

L’elemento
psicologico richiesto ai fini della sussistenza del delitto di bancarotta
fraudolenta per distrazione ex art 216 l.fall. è il dolo generico
rappresentato dalla consapevolezza di dare al patrimonio sociale una
destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.
Pertanto, la rappresentazione e la volontà dell’agente devono inerire la deminutio
patrimonii
, dovendo l’imprenditore considerarsi sempre tenuto ad evitare
l’assunzione di condotte tali da esporre a possibile pregiudizio i propri
creditori, nel senso di astenersi da comportamenti che comportino una
diminuzione patrimoniale senza trovare giustificazione nella fisiologica
gestione dell’impresa (conf. Cass. n. 9710/2019).

La
qualifica soggettiva di mero socio non esclude la configurabilità della
bancarotta per distrazione ex art. 216 l.fall. in concorso con
l’amministratore, laddove emerga la prova che la condotta depauperativa (
nel caso di specie, appropriazione di somme di denaro dal conto corrente della
società e impiego delle stesse per finalità estranee allo scopo sociale )

sia stata realizzata con la consapevolezza e l’avallo dell’amministratore
predetto.

In
tal caso il dolo del concorrente “extraneus” è configurabile
ogniqualvolta egli apporta un contributo causale volontario al depauperamento
del patrimonio sociale, non essendo richiesta la consapevolezza dello stato di
dissesto della società (Cass. pen. n. 54291/2017; Cass. pen. n. 38731/2017;
Cass. pen. n. 12414/2016).

Il
più lungo termine di prescrizione previsto per l’illecito penale trova
applicazione ex art 2947, 3° co., c.c. anche alla responsabilità di
natura contrattuale ex art. 2476, 1° co.,  c.c., oltre a quella di natura
extracontrattuale (conf. Cass. n. 16314/2017).

Principi
espressi nell’ambito di una azione ex art. 146 l.fall. promossa dal curatore
nei confronti dei soci e degli amministratori della società fallita al fine di
ottenere, previo accertamento
incidenter tantum
della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione
ex
art. 216 l.fall., la condanna al risarcimento danni cagionati alla società
medesima e ai creditori sociali.

(Massime
a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 23 settembre 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Alessia Busato

La responsabilità degli amministratori verso i creditori sociali, difettando la preesistenza di un vincolo obbligatorio per il quale possa configurarsi l’inadempimento, ha natura extracontrattuale e sorge se ed in quanto il comportamento degli amministratori cagioni una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da rendere lo stesso inidoneo per difetto ad assolvere la funzione di garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c., puntualizzandosi la tutela riconosciuta ai creditori sociali sul diritto ad ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che, per loro colpa, la società non è più in grado di adempiere (conf. Cass. n. 10488/1998 e Cass. S.U. n. 1641/2017).

In base al combinato disposto degli artt. 146 l. fall. e 2394-bis c.c., la dichiarazione di fallimento della società ha quale effetto la legittimazione esclusiva della curatela ad esercitare, previa autorizzazione del giudice delegato, l’azione di responsabilità verso i creditori sociali.

La fattispecie di responsabilità ex art. 2394, 1° comma, c.c. presuppone l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti, derivante dalla violazione degli obblighi inerenti alla sua conservazione da parte degli amministratori della società. Costituisce prova della sussistenza di detta fattispecie il mancato riscontro, da parte della curatela fallimentare, (nelle giacenze effettivamente disponibili) della giacenza di cassa risultante dalla contabilità della società alla data del fallimento, trattandosi di circostanza idonea ad aggravare il dissesto patrimoniale della società imputabile alla condotta negligente dell’organo gestorio.

Principi espressi in ipotesi di esercizio dell’azione di responsabilità ai sensi dell’art. 146 l. fall. e degli artt. 2394 e 2394-bis c.c. da parte della curatela di una s.r.l. fallita contro gli ex componenti dell’organo amministrativo.

In particolare, la curatela fallimentare lamentava che dall’esame della contabilità della società era emersa, alla data del fallimento, la registrazione di una giacenza di cassa, che non aveva mai trovato riscontro nelle giacenze effettivamente disponibili. Il fallimento quindi chiedeva di accertare la responsabilità degli ex amministratori per essere questi ultimi venuti meno agli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 7 giugno 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

Ai fini del riconoscimento della responsabilità degli amministratori di società di capitali, poi fallita, per l’aggravamento del dissesto patrimoniale in conseguenza dell’omessa adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-ter c.c., l’operazione sociale “nuova”, ossia incompatibile con un’opera di “mero completamento”, che abbia portata quantitativamente e qualitativamente rilevante, deve considerarsi estranea alla prospettiva liquidatoria, in quanto non funzionale alla liquidazione del patrimonio sociale, sicché l’eventuale pregiudizio che possa derivarne in capo alla società e ai creditori sociali deve ritenersi causalmente e soggettivamente imputabile agli amministratori.

Ai fini dell’accertamento della responsabilità degli amministratori per condotte distrattive, deve ritenersi rilevante l’operazione che sia connotata da significativi indici di anomalia, quali, esemplarmente, la complessità dell’operazione sul piano soggettivo, la modalità di pagamento (nel caso di specie, tramite “partite di giro contabili”, senza movimentazioni finanziarie) e il momento di conclusione dell’operazione, successivo al deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo. D’altra parte, una fattispecie distrattiva non sanzionabile penalmente può nondimeno rilevare sotto il profilo delle conseguenze civili nell’ambito delle quali la negligenza e l’imprudenza costituiscono atteggiamenti soggettivi sufficienti a radicare la responsabilità dell’amministratore.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dalla curatela fallimentare di una società a responsabilità limitata nei confronti degli amministratori in conseguenza: (i) della mancata adozione delle misure previste dalla legge agli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c. in ipotesi di perdita del capitale sociale; (ii) della prosecuzione dell’attività aziendale nonostante la perdita del capitale sociale; (iii) di condotte distrattive, quali la distrazione di cespiti aziendali presenti nell’inventario e non rinvenuti e la cessione di un credito Iva a favore del socio di maggioranza senza contropartita alcuna; (iv) dell’errata tenuta delle scritture contabili.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 1° marzo 2019, n. 225 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

Di regola il trasferimento di risorse dalla capogruppo a favore di società controllate, sottoposte a comune attività di direzione e coordinamento, non determina di per sé un depauperamento patrimoniale a danno della capogruppo, laddove il conseguente incremento di valore delle partecipate trovi adeguata rappresentazione nel bilancio della controllante. A differenza, dunque, dei trasferimenti di risorse “verso l’alto”, ossia dalle controllate in favore della capogruppo, laddove i rischi di sottrazione di valore e di distrazione patrimoniale sono insiti nella natura dell’operazione e richiedono perciò la configurazione di vantaggi compensativi, nel caso opposto l’apporto finanziario a sostegno delle società del gruppo, a prescindere dalla veste in concreto assunta (versamento in conto capitale ovvero copertura di perdite), in assenza di profili di anormalità non può essere sindacato ex post e riqualificato.

In tema di sequestro conservativo (richiesto ante causam) a fronte dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., qualora le operazioni contestate (agli amministratori) siano caratterizzate dal conflitto di interessi e siano altresì qualificabili come “operazioni personali”, in quanto aventi per oggetto (e per effetto) quello di mettere a disposizione dei soci e amministratori (o comunque di soggetti a loro correlati in quanto familiari o titolari di cariche all’interno di società del gruppo) beni aziendali per finalità personali, l’onere di provare la congruità delle operazioni incombe sugli amministratori, stante una presunzione semplice di iniquità delle condizioni praticate, derivante dalle predette circostanze.

Ai fini della concessione del sequestro conservativo ante causam, il requisito del periculum in mora può essere integrato, in via anche alternativa, sia da elementi oggettivi, riguardanti la consistenza del patrimonio del debitore sotto il profilo qualitativo (ad esempio liquidità dei beni ivi inclusi) e quantitativo, in rapporto all’entità del credito fatto valere, sia da elementi soggettivi, connessi al comportamento del debitore, laddove quest’ultimo agisca con modalità tali da evidenziare la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento.

I principi sono stati espressi nei giudizi di reclamo (poi riuniti) promossi dagli amministratori (e soci) di una società per azioni, poi fallita, avverso l’ordinanza pronunciata ante causam, strumentale all’avvio dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., che aveva concesso il sequestro conservativo di tutti i beni ed i crediti di cui questi erano titolari. 

Sotto il profilo del fumus boni iuris, l’ordinanza attribuiva rilevanza alle seguenti contestazioni: (i) l’erogazione di finanziamenti da parte della capogruppo in favore di società controllate, seguiti dalla rinuncia alla restituzione delle somme finanziate; (ii) l’omessa riscossione dei canoni di locazione dell’immobile locato ad alcuni dei reclamanti e a persone legate all’altro amministratore da rapporti di parentela, stante il conflitto di interessi ravvisabile in capo agli amministratori/reclamanti; (iii) la prosecuzione dell’attività a dispetto dell’avvenuta perdita del capitale sociale, occultata mediante l’inserimento a bilancio di poste contabili attive fittizie o comunque erronee.

Sotto il profilo del periculum in mora, l’ordinanza cautelare risultava motivata, sul piano oggettivo, dal carattere ingente dei danni cagionati dagli amministratori alla società e ai creditori e dalla consistenza qualitativa dei loro patrimoni, peraltro sproporzionati rispetto all’importo dei presumibili danni sino alla concorrenza del quale la misura cautelare veniva concessa, e, sul piano soggettivo, dall’atteggiamento dei resistenti, orientato al perseguimento di interessi personali a discapito di quelli societari.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 30 ottobre 2018 – Giudice designato: Dott. Davide Scaffidi

In tema di responsabilità dei componenti degli organi sociali per l’aggravamento del dissesto patrimoniale, costituiscono elementi rilevanti ai fini della qualificazione della natura dissipativa degli atti di disposizione: il titolo di erogazione a fondo perduto, l’atto abdicativo di rinuncia al credito, il titolo di cessione del credito in assenza di corrispettivo o di finanziamento infruttifero con scarsa probabilità di recupero del capitale e in assenza di richieste di restituzione. In ipotesi in cui tali atti siano disposti in favore di società asseritamente controllate o collegate, per esimersi da responsabilità, i componenti degli organi sociali devono dare prova dell’esistenza di specifici vantaggi compensativi in favore dei creditori sociali idonei a neutralizzare gli svantaggi immediati ad essi procurati.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento della domanda cautelare di sequestro conservativo promossa dal curatore di una s.r.l. ai danni degli amministratori e dei sindaci della società, poi fallita, a fronte dell’accertamento della responsabilità risarcitoria dei medesimi in conseguenza di atti di natura distrattiva.

Più precisamente, la curatela contestava ai resistenti le seguenti condotte:

i) aver omesso di adottare i provvedimenti di legge allorché la situazione contabile manifestava un patrimonio netto negativo o comunque aver omesso di rilevare la causa di scioglimento della società per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale;

ii) aver erogato indebitamente, anche a seguito dell’emersione dell’impossibilità di conseguire l’oggetto sociale, finanziamenti a fondo perduto e prestiti con scarsa probabilità di recupero del capitale, senza peraltro che vi fosse stata alcuna richiesta di restituzione, nonché aver ceduto gratuitamente crediti in favore di altre società facenti parte del medesimo gruppo con disposizioni estranee all’oggetto sociale, operazioni disposte in una situazione di conflitto di interessi (stante la identica composizione soggettiva dell’organo gestorio o comunque la presenza tra essi di stretti rapporti di parentela);

iii) aver sostenuto costi il cui onere doveva essere sopportato da soggetti diversi dalla società fallita.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 20 luglio 2018 – Presidente relatore: dott. Raffaele Del Porto

Nell’ambito del procedimento di reclamo, ex art. 669 terdecies c.p.c., avverso il provvedimento che ha autorizzato il sequestro conservativo nei confronti degli amministratori di una società fallita, ai quali siano stati addebitati, fra l’altro, la mancata tempestiva rilevazione della causa di scioglimento rappresentata dalla perdita integrale del capitale sociale e l’illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa in un’ottica non meramente conservativa, è precluso l’espletamento di una consulenza tecnica diretta a ricostruire l’effettivo aggravio nel corso degli esercizi sociali del deficit causato da siffatti comportamenti, trattandosi di mezzo istruttorio che, per la sua complessità, risulta incompatibile con la natura sommaria di tale procedimento.

In tema di sequestro conservativo, il requisito del periculum in mora può essere desunto sia da elementi oggettivi, concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all’entità del credito, sia da elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente presumere l’intento di porre in essere, al fine di sottrarsi all’adempimento, atti dispositivi, idonei a provocare l’eventuale depauperamento del suo patrimonio.

(Conforme a Cass. nn. 6460/1996; 2139/1998; 2081/2002).

Principi espressi in ipotesi di parziale riforma, in sede di reclamo, del provvedimento, concesso ante causam, con il quale era stato autorizzato il sequestro conservativo in danno degli amministratori di una s.r.l. fallita, a fronte del fumus della loro responsabilità per atti di “mala gestio” posti in essere a danno della società gestita, consistenti nella mancata tempestiva rilevazione della causa di scioglimento rappresentata dalla perdita integrale del capitale sociale e nella prosecuzione illegittima dell’attività di impresa per finalità non conservative.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)

Ord. 20.7.2018