Corte d’Appello di Brescia, sentenza dell’8 gennaio 2024, n. 63 – arbitrato, lodo irrituale, motivi di impugnazione, errore essenziale di fatto, legittimazione passiva dell’arbitro

Il lodo arbitrale irrituale reso ai sensi dell’art. 808-ter c.p.c., producendo i suoi effetti sostanziali esclusivamente nei confronti delle parti, può essere impugnato soltanto da chi abbia assunto tale veste nel procedimento in cui esso è stato pronunciato. Sicché, l’arbitro non è legittimato a promuovere autonomamente l’impugnazione del lodo né è, in astratto, munito di legittimazione passiva in sede di impugnazione del medesimo, essendo in posizione di terzietà rispetto alle parti e non potendo far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui fuori dei casi espressamente previsti dalla legge (Cass., 2357/2017).

Se è certamente vero che gli effetti del lodo irrituale si producono esclusivamente nei confronti delle parti sostanziali dell’arbitrato e che l’arbitro non è legittimato a promuovere autonomamente l’impugnazione, ai fini della valutazione sulla legittimazione passiva dell’arbitro in sede di impugnazione del lodo irrituale, devono essere presi in considerazione i motivi specifici di impugnazione in relazione alla natura del lodo irrituale, deve considerarsi che questi risolve la controversia attraverso uno strumento strettamente negoziale. Attesa dunque la natura negoziale dell’arbitrato irrituale, il relativo lodo deve ritenersi impugnabile, oltre che per i motivi previsti dall’art. 808-ter c.p.c., anche come atto negoziale, ossia anche per i vizi che sono causa di nullità o di annullabilità del contratto. Pertanto, ancorché gli effetti del lodo irrituale riguardino le sole parti sostanziali dell’arbitrato, laddove sia dedotto un vizio della volontà dell’arbitro, quest’ultimo sarà dotato di legittimazione passiva a contraddire sul punto.

Nell’arbitrato irrituale, il lodo può essere impugnato per errore essenziale esclusivamente quando la formazione della volontà degli arbitri sia stata deviata da un’alterata percezione o da una falsa rappresentazione della realtà e degli elementi di fatto sottoposti al loro esame (c.d. errore di fatto), e non anche quando la deviazione attenga alla valutazione di una realtà i cui elementi siano stati esattamente percepiti (c.d. errore di giudizio); con la conseguenza che il lodo irrituale non è impugnabile per “errores in iudicando” (come è invece consentito, dall’ultimo comma dell’art. 829 cod. proc. civ., quanto al lodo rituale) (Cass., 7654/2003). Pertanto, ai fini dell’impugnativa della determinazione negoziale, l’errore che rileva è soltanto quello di fatto essenziale che abbia inficiato la volontà degli arbitri per effetto di una falsa rappresentazione dei fatti dedotti. Non sarà, invece, sufficiente, l’errore consistente nell’omessa considerazione di un documento probatorio.

L’inadeguatezza della motivazione del lodo irrituale non rientra tra i motivi di impugnazione di cui all’art. 808-ter c.p.c. né. Tantomeno, tra i vizi suscettibili di rendere annullabile la determinazione arbitrale. La stesura di una motivazione inadeguata, tuttavia, può costituire una violazione del dovere di diligenza incombente sull’arbitro e potrà dunque essere fatta valere a titolo di responsabilità per inadempimento negoziale. Tale responsabilità, anche se accertata, non è tuttavia capace di incidere sulla validità della deliberazione da questi assunta, se non dipende da una sua errata percezione della realtà.

I princìpi esposti sono stati espressi nell’ambito di una controversia riguardante l’impugnazione di un lodo irrituale pronunciato all’esito di un giudizio di responsabilità degli amministratori di una società a responsabilità limitata in liquidazione ex art. 2476, co. 7, c.c., insorta tra una società in liquidazione (contumace) e i suoi amministratori, da un lato, e i suoi soci e i relativi fideiussori dall’altro, nonché nei confronti dell’arbitro unico. I soci e i loro fideiussori, soccombenti in sede arbitrale in merito all’asserita responsabilità degli amministratori della società in liquidazione, promuovevano molteplici doglianze denunziando: (i) l’omessa pronuncia dell’arbitro rispetto a una domanda di risarcimento del danno diretto; (ii) l’errore essenziale di fatto dell’arbitro unico consistente nell’aver ignorato la documentazione prodotta relativa al valore di stima di un compendio immobiliare; (iii) l’inadeguatezza di parte della motivazione della decisione resa dall’arbitro unico; (iv) l’errore essenziale di fatto dell’arbitro unico consistente nell’aver liquidato, a titolo di risarcimento, una somma inferiore rispetto a quella asseritamente dovuta; (v) l’errore essenziale di fatto dell’arbitro unico nell’aver escluso il risarcimento del danno patito dai fideiussori per la mancata liberazione dalla garanzia prestata; e (vi) l’errore (non essenziale di fatto) dell’arbitro unico nella liquidazione delle spese, in relazione al principio di soccombenza. La Corte d’appello ha ritenuto tutte le doglianze prive di fondamento ha integralmente rigettato l’opposizione proposta.

(Massime a cura di Leonardo Esposito)




Sentenza del 4 agosto 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

È fondata l’eccezione di incompetenza del Tribunale a conoscere della domanda di risarcimento danni per gli atti di mala gestio, asseritamente compiuti dall’amministratore di una società, quando l’azione, diretta a verificare la correttezza dell’operato dell’organo gestorio della società, coinvolge “diritti disponibili relativi al rapporto sociale”, che risultano ricompresi nella clausola compromissoria prevista statutariamente in forza della quale sono devolute alla cognizione di un arbitro le eventuali controversie insorte fra i soci o fra i soci e la società, anche se promosse da amministratori e sindaci o revisore, ovvero nei loro confronti, anche non soci e che abbiano per oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.

Ai fini dell’accoglimento di un’azione di illecito concorrenziale, volta all’accertamento della fattispecie di sviamento di clientela e al conseguente risarcimento del danno, l’attore deve fornire la prova di specifiche condotte di natura illecita in contrasto con le regole di corretta concorrenza e dell’effettiva incidenza causale di dette condotte rispetto al danno patito.

In tema di illecito concorrenziale, il mero dato del sensibile calo del fatturato realizzato dall’attore nei confronti del cliente costituisce un elemento indiziario, privo peraltro dei necessari caratteri di precisione e gravità, che non consente di ritenere provata un’effettiva attività illecita produttiva di un danno.

In tema di illecito concorrenziale, si esclude la sussistenza di alcun danno patito dall’attore con riferimento a particolari clienti, quando il fatturato realizzato nei confronti di detti clienti sia andato progressivamente aumentando raggiungendo il suo picco proprio prima della proposizione dell’azione.

Principi espressi in relazione all’azione proposta da una società tesa ad ottenere il risarcimento di tutti i danni cagionati, per atti di mala gestio, dall’ex amministratore e quale corresponsabile di illecito concorrenziale commesso nella (nuova) qualità di direttore del settore vendita della società concorrente.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)