Sentenza del 18 novembre 2021 – Giudice designato: dott. Lorenzo Lentini

In materia di buoni postali fruttiferi cointestati e recanti la clausola “pari facoltà di rimborso”, in caso di morte di uno dei cointestatari, ciascun cointestatario superstite è legittimato ad ottenere il rimborso dell’intera somma portata dal documento (conf. Cass. n. 24639/2021). In particolare, la Suprema Corte ha osservato che i buoni postali fruttiferi si caratterizzano per un marcato rafforzamento del diritto di credito dell’intestatario sulla somma portata dal documento ad ottenerne il rimborso “a vista”, il che si traduce nell’incanalamento della fase di pagamento della somma portata dal titolo su un unico prefissato binario, quale il pagamento, appunto “a vista”, all’intestatario. Ebbene, ciò è sufficiente a dire che la previsione concernente la riscossione, in caso di clausola “pari facoltà di rimborso”, dei libretti di deposito non è esportabile al campo dei buoni fruttiferi; viceversa, la lettura del dato normativo patrocinata da una banca, secondo cui, in caso di clausola “pari facoltà di rimborso” di buoni postali fruttiferi cointestati a due o più persone, il decesso di uno di essi precluderebbe il rimborso dell’intero agli altri, finirebbe per paralizzare proprio l’aspetto per il quale detti buoni, dotati della apposizione della menzionata clausola, si caratterizzano. In definitiva, il vaglio di applicabilità previsto dall’art. 203 del D.P.R. n. 256/89, si infrange contro l’evidenziata peculiarità dei buoni postali fruttiferi rispetto ai libri postali. 

In materia di buoni postali fruttiferi, non rileva la funzione di protezione dell’erede o dei coeredi del cointestatario defunto al quale l’art. 187 del D.P.R. n. 256/89 sarebbe strumentale. Difatti, la normativa in esame non tutela gli interessi dei coeredi, i quali potranno venire eventualmente a conoscenza aliunde dell’esistenza dei buoni intestati anche a propri danti causa e agire nei confronti del coerede davanti al giudice ordinario. Ciò si comprende tenuto con dell’evidente distinzione concettuale tra titolarità del credito e legittimazione alla riscossione di quanto portato dal buono fruttifero. Posto che, in caso di cointestazione con clausola “pari facoltà di rimborso”, e dunque di solidarietà attiva, l’obbligazione solidale, alla morte di uno dei concreditori, si divide fra gli eredi in proporzione delle quote (art. 1295 c.c.), senza incidere sulla posizione del cointestatario superstite (i termini della questione non mutano affatto se il cointestatario superstite è anche erede). La riscossione riservata all’intestatario superstite non interferisce con la spettanza del credito, sicché colui che abbia riscosso rimarrà tenuto nei rapporti interni nei confronti dell’erede o degli eredi del cointestatario defunto (A.B.F. n. 22747/2019).

Principi espressi nel giudizio d’appello promosso dalla posta avverso la sentenza del Giudice di Pace con la quale veniva rigettata l’opposizione avverso il decreto con cui era stato ingiunto alla posta il pagamento di una somma in favore del sottoscrittore del buono postale fruttifero, munito di clausola di “pari facoltà di rimborso”, cointestato ad altro soggetto deceduto. 

In particolare, l’appellante lamentava l’erronea applicazione delle norme da parte del Giudice di Pace, il quale non avrebbe applicato alla fattispecie oggetto di causa l’art. 187 D.P.R. n. 256/89.

Il Tribunale rigettava l’appello, siccome infondato nel merito, tenuto conto che in materia di buoni postali fruttiferi cointestati e recanti la clausola “pari facoltà di rimborso”, in caso di morte di uno dei cointestatari, ciascun cointestatario superstite era legittimato ad ottenere il rimborso dell’intera somma portata dal documento.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Sentenza del 12 novembre 2021 – Giudice designato: Dott. Raffaele Del Porto

Ai sensi dell’art. 1669 c.c. la responsabilità dell’appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa sorge quando i gravi difetti consistono in alterazioni che, in modo apprezzabile, riducono il godimento del bene nella sua globalità, pregiudicandone la normale utilizzazione, in relazione alla sua funzione economica e pratica e secondo la sua intrinseca natura, rilevando a tal fine anche vizi non totalmente impeditivi dell’uso del bene. In caso di immobile, i gravi difetti di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c. non si identificano necessariamente con vizi influenti sulla staticità dell’edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte condominiale, incida sulla struttura e funzionalità globale dell’edificio, menomandone il godimento in misura apprezzabile, come nell’ipotesi di infiltrazioni d’acqua e umidità nelle murature (conf. Cass. n. 24230/2018 e Cass. n. 27315/2017).

In tema di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili ex art. 1669 c.c., qualora il materiale esecutore delle opere non sia legato direttamente da contratto di appalto con il venditore, ma indirettamente attraverso una catena di uno o più subappalti (o contratti di altra tipologia), trova applicazione il principio per cui il danneggiato acquirente può agire sia contro l’appaltatore (e gli altri appaltatori) sia contro il venditore, quando l’opera sia riferibile a quest’ultimo (conf. Cass. n. 27250/2017).

L’acquirente può esercitare l’azione di responsabilità per rovina e difetti di cose immobili nei confronti del venditore quando quest’ultimo risulta fornito della competenza tecnica per dare direttamente, o tramite il proprio direttore dei lavori, indicazioni specifiche all’appaltatore esecutore dell’opera, gravando sul medesimo venditore l’onere di provare di non aver avuto alcun potere di direttiva o di controllo sull’impresa appaltatrice, così da superare la presunzione di addebitabilità dell’evento dannoso ad una propria condotta colposa, anche eventualmente omissiva (conf. Cass. n. 9370/2013).

Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile, previsto dall’art. 1669 c.c. a pena di decadenza dall’azione di responsabilità contro l’appaltatore, decorre dal giorno in cui il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera, non essendo sufficienti manifestazioni di scarsa rilevanza e semplici sospetti. (conf. Cass. n. 777/2020).

L’impegno dell’appaltatore ad eliminare i vizi della cosa o dell’opera costituisce, alla stregua dei principi generali non dipendenti dalla natura del singolo contratto, fonte di un’autonoma obbligazione di facere soggetta all’ordinario termine di prescrizione decennale fissato per l’inadempimento contrattuale che si affianca all’originaria obbligazione di garanzia, senza estinguerla, salvo uno specifico accordo novativo. (conf. Cass. n. 62/2018). 

La proposizione di una domanda di manleva, che trae origine dal medesimo contratto di appalto, risulta preclusa per effetto del giudicato formatosi nel primo giudizio, quando il (sub-)committente abbia già ottenuto la condanna del (sub-)appaltatore al risarcimento dei danni patiti per la cattiva esecuzione delle opere oggetto del contratto stipulato inter partes.

In tema di rappresentanza, possono essere invocati i principi dell’apparenza del diritto e dell’affidamento incolpevole alla presenza non solo della buona fede del terzo che ha stipulato con il falso rappresentante, ma anche di un comportamento colposo del rappresentato, tale da ingenerare nel terzo la ragionevole convinzione che il potere di rappresentanza sia stato effettivamente e validamente conferito al rappresentante apparente (conf. Cass. n. 18519/2018). 

Principi espressi nel procedimento promosso da un condominio per ottenere la condanna, ex art 1669 c.c. al risarcimento dei danni patiti per l’ammaloramento ed il distacco degli intonaci dell’edificio condominiale riconducibili all’operato negligente della società convenuta. La convenuta ha contestato la propria responsabilità ex art 1669 c.c., non avendo provveduto alla materiale esecuzione delle opere asseritamente viziate e ha formulato istanza di chiamata in causa dell’impresa che aveva realizzato i lavori di fornitura e posa in opera dell’intonaco, spiegando domanda di manleva nei suoi confronti. Il Tribunale ha respinto la domanda essendo già intervenuta altra condanna, passata in giudicato, del subappaltatore per cattiva esecuzione delle opere appaltate dichiarando tenuta la società convenuta al risarcimento dei danni per i vizi lamentati ex art 1669 c.c.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 3 novembre 2021 – Giudice designato: dott. Lorenzo Lentini

A seguito della riforma del diritto societario, attuata dal d.lgs. 6/2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal Registro delle Imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero, rispettivamente, limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese (conf. Cass. n. 6070/2013). Pertanto, il fenomeno successorio che si realizza a seguito dell’estinzione della società comporta il subentro dei soci nella medesima posizione della società con riferimento ai rapporti giuridici pendenti, con effetti analoghi a quelli tipici di una successione universale, con la conseguenza che la clausola di scelta del foro può essere efficacemente opposta ai soci succeduti alla società.

La clausola di scelta di foro esclusivo non consente il cumulo soggettivo di domande, non potendo attrarre domande svolte verso altri convenuti (conf. Cass. n. 9/13032). Difatti, la connessione per accessorietà opera nelle ipotesi in cui l’accoglimento della domanda accessoria dipenda dall’esito della causa connessa.

In tema di domanda di accertamento, con efficacia di giudicato, della risoluzione del contratto di leasing, la mancata formulazione è irrilevante atteso che la parte che agisce in giudizio ben può limitarsi a chiedere un accertamento della questione incidenter tantum, senza che tale scelta osti all’ammissibilità della domanda di rilascio, trattandosi di antecedente logico non controverso.

In tema di legittimazione passiva, la partecipazione al riparto in base al bilancio finale di liquidazione non costituisce una condizione di ammissibilità delle domande svolte dai creditori insoddisfatti nei confronti dei soci della società estinta, bensì un limite di responsabilità (conf. Cass., S.U., n. 6070/2013). Siffatto limite, pertanto, risulta inapplicabile qualora si controverta non già su crediti pecuniari insoddisfatti dal liquidatore, ma su rapporti giuridici non definiti all’esito della liquidazione, segnatamente, sui diritti discendenti dal contratto di leasing e sui beni oggetto del medesimo contratto, nonché sul correlato credito restitutorio in capo a parte concedente. Per altro verso, in punto di legittimazione passiva, la circostanza che il bene possa essere di fatto occupato da un soggetto terzo non incide sulla corretta formulazione della domanda di rilascio nei confronti dei soci succeduti, trattandosi di domanda fondata sul rapporto di leasing, che deve necessariamente essere proposta nei confronti della controparte contrattuale. In tal senso, l’eventuale presenza di un soggetto terzo all’interno dei locali può rilevare unicamente in executivis, ma non influenza la valutazione in punto di legittimazione passiva.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da una banca con ricorso ex art. 702-bis c.p.c., ai fini del rilascio delle unità immobiliari sulla base del contratto di leasing, risolto dalla concedente ex art. 1456 c.c., stante il persistente inadempimento all’obbligazione di pagamento dei canoni da parte dell’utilizzatrice (nel caso di specie una s.r.l., posta in liquidazione e cancellata dal Registro delle Imprese). In particolare, la ricorrente agiva nei confronti dei soci della s.r.l. e nei confronti di una s.r.l.-c.r., quale soggetto occupante sine titulo degli immobili, già affittuaria del ramo d’azienda della s.r.l., comprensivo del diritto di godimento derivante dal rapporto di leasing in esame.

I soci eccepivano: i) l’incompetenza territoriale del Tribunale di Brescia, in favore del Tribunale di Vicenza (luogo di residenza dei convenuti) ovvero del Tribunale di Treviso (eccezione sollevata anche dalla s.r.l.-c.r.), nella cui circoscrizione era stato concluso il contratto, era sito l’immobile di cui si chiedeva il rilascio e andava eventualmente adempiuta l’obbligazione richiesta dalla ricorrente, ritenendo la clausola di scelta di foro convenzionale esclusivo, contenuta nel contratto di leasing, inopponibile ai soci del contraente estinto; ii) la nullità o inefficacia della clausola, in quanto generica e inidonea ad escludere la competenza di altri fori nonché contrastante con gli artt. 1341 e 1342 c.c.; iii) la carenza di legittimazione passiva, allegando di non avere riscosso alcuna somma in forza del bilancio di liquidazione della società cancellata;  iv) la mancata formulazione di una domanda di accertamento della risoluzione del rapporto di locazione finanziaria, con conseguente impossibilità di accoglimento della domanda di rilascio. 

Il Tribunale di Brescia, in merito alla competenza territoriale, dichiarava che la cognizione della causa andava devoluta alla competenza del Tribunale di Treviso, in quanto: a) pur se il contratto di leasing in esame conteneva una clausola (c.d. clausola di scelta del foro che può essere efficacemente opposta ai soci succeduti alla società nel rapporto contrattuale) che nitidamente rimetteva alla competenza del Tribunale di Brescia ogni controversia comunque discendente dal contratto, ad esclusione di qualsiasi altra competenza concorrente, la domanda in esame era di tipo extracontrattuale; b) a tacer della diversità di soggetti destinatari del rispettivo petitum, la causa petendi della domanda svolta nei confronti della s.r.l., oltre a essere del tutto autonoma, non dipendeva affatto da quella che identificava la domanda svolta nei confronti degli altri convenuti, trattandosi in un caso di causa petendi reale (occupazione sine titulo) e nell’altro di causa petendi contrattuale. 

Il Tribunale respingeva l’eccezione di carenza legittimazione passiva, poiché: a) il limite di responsabilità della partecipazione al riparto in base al bilancio finale di liquidazione risultava inapplicabile, posto che si controverteva su rapporti giuridici non definiti all’esito della liquidazione, segnatamente sui diritti discendenti dal contratto di leasing e sui beni oggetto del medesimo contratto nonché sul correlato credito restitutorio in capo a parte concedente; b) l’eventuale presenza di un soggetto terzo all’interno dei locali non influenzava la valutazione in punto di legittimazione passiva dei convenuti.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Decreto del 28 ottobre 2021 – Presidente: Dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: Dott. Gianluigi Canali

In tema di ammissione allo stato
passivo, colui che agisce per l’adempimento deve provare la sussistenza del
titolo e allegare l’esecuzione della prestazione promessa. Nell’ipotesi in cui
il debitore eccepisca il mancato o inesatto adempimento, il creditore deve
dimostrare di avere esattamente adempiuto la propria prestazione. Di
conseguenza, il creditore che chieda di essere ammesso allo stato passivo fallimentare
deve dimostrare la sussistenza di un vincolo contrattuale e allegare, con la
necessaria precisione, la prestazione eseguita.

Il riconoscimento di un credito nei confronti
del fallito è soggetto all’applicazione dell’art. 2704 c.c., ai fini dell’opponibilità
alla massa dei creditori. La carenza probatoria può, tuttavia, ritenersi
superata, qualora il debitore non contesti l’attività prestata dal creditore.

In relazione alla possibilità di
superare l’onere di allegazione attraverso la produzione documentale, il
giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo
nel caso in cui la parte, interessata, ne faccia specifica istanza, esponendo
nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo
alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte la impossibilità di
controdedurre ed essendo per lo stesso giudice impedita la valutazione delle
risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione (conf. Cass. n.
8304/1990). Nel vigente ordinamento processuale, caratterizzato dall’iniziativa
della parte e dall’obbligo del giudice di rendere la propria pronunzia nei
limiti delle domande delle parti, al giudice è inibito trarre dai documenti,
comunque esistenti in atti,
deduzioni o indicazioni, necessarie ai fini della decisione, ove queste non
siano specificate nella domanda, o – comunque – sollecitate dalla parte
interessata (conf. Cass. n. 1419/1994; Cass. n. 1385/1995). Affinché il giudice
possa e debba esaminare i documenti versati in atti lo stesso deve accertare,
oltre la ritualità della produzione, ovvero che la produzione sia avvenuta nel
rispetto delle regole del contraddittorio, anche l’esistenza di una domanda, o
di un’eccezione, espressamente basata su tali documenti (conf. Cass. n. 15103/2000;
Cass. S.U. n. 2435/2008).

Il professionista incaricato
di redigere un accordo di ristrutturazione o una domanda di concordato deve –
qualora il piano non abbia alcuna possibilità di conferire ai creditori un’utilità
maggiore di quella che avrebbero conseguito con il fallimento – consigliare al
mandante di chiedere il fallimento in proprio, salvo che i soci non siano
disponibili a ricapitalizzare la società. Se il professionista collabora con
l’imprenditore per posticipare il fallimento sapendo che non vi è alcuna
possibilità di giungere alla formulazione di un piano accettabile dai
creditori, oltre al rischio di concorrere nel reato di bancarotta per
aggravamento del dissesto, pone in essere un inadempimento gravissimo, con
conseguente risoluzione dell’incarico professionale e obbligo di risarcire il
danno cagionato ai creditori e alla società.

Principi
espressi nel giudizio di opposizione
ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, un
professionista, avverso il decreto che aveva dichiarato inammissibile l’istanza
di ammissione allo stato passivo fallimentare, posto che l’istante non aveva né
allegato né provato le prestazioni effettuate. Il Tribunale di Brescia confermava la decisione del Giudice delegato,
ritenuto non assolto, da parte del professionista, l’onore di provare in modo
specifico e puntuale la concreta attività prestata a favore della
società fallita ai fini della liquidazione, secondo la tariffa professionale. L’opponente
si limitava, infatti, a produrre un mandato professionale privo di data certa
e, quindi, inopponibile
ex art. 2704 c.c. alla massa dei creditori. Osservava il Tribunale che la
domanda, anche a prescindere dai suddetti rilievi, sarebbe comunque stata rigettata,
poiché il creditore avrebbe dovuto provare l’adempimento e, quindi, avrebbe dimostrare
la concreta realizzabilità del piano.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Sentenza del 14 ottobre 2021 – Giudice designato: dott. Lorenzo Lentini

In materia di rapporti di leasing vige la regola di riparto dell’onere della prova generalmente applicabile alla responsabilità contrattuale, con la conseguenza che compete al creditore l’onere di allegare il titolo e l’altrui inadempimento e al debitore l’onere di provare la corretta esecuzione dell’obbligazione di pagamento (principalmente) dei canoni periodici, nel caso di finanziamento che presenta un piano di ammortamento predefinito. Pertanto, la parte che agisce a titolo di indebito oggettivo ha l’onere di allegare e provare i fatti a fondamento della propria pretesa. Ne consegue che tale onere non può ritenersi assolto mediante un mero rinvio alla perizia di parte, non essendo il giudice tenuto a ricercare all’interno della documentazione versata in atti quegli elementi in fatto che spetta unicamente alla parte interessata introdurre in giudizio, ritualmente e tempestivamente, all’interno dell’atto difensivo (conf. Trib. Brescia, ord. 10.2.2020).

In materia di leasing resta impregiudicata la facoltà per l’utilizzatore, nell’ipotesi in cui il valore residuo dell’immobile superi l’importo spettante al concedente in forza della clausola penale, di agire in un autonomo giudizio ai fini della restituzione della differenza (conf. Trib. Brescia, 9.7.2021). Invero, soltanto nel relativo giudizio il ricavato della vendita del bene potrà costituire un controcredito da opporre in compensazione.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione promosso dall’utilizzatrice (nel caso di specie una s.r.l.) e dal fideiussore (nel caso di specie una s.p.a.) avverso il decreto ingiuntivo con cui il Tribunale aveva loro ingiunto il pagamento in favore di una banca della somma dovuta a titolo di canoni scaduti e interessi di mora risultanti dall’estratto conto del rapporto contrattuale (i.e. contratto di leasing immobiliare), risolto dalla concedente per inadempimento dell’utilizzatrice, giusta clausola risolutiva espressa.

In particolare, gli opponenti eccepivano: i) la carenza di prova scritta del credito, anche alla luce delle disposizioni dell’art. 1, comma 137, L. 124/2017; ii) la condotta della concedente contraria a buona fede, stante la repentina interruzione delle trattative avviate; iii) la violazione della L. 108/96, poiché il TAEG applicato al leasing risulterebbe notevolmente superiore rispetto al tasso soglia; iv) la nullità della fideiussione ex art. 2 della L. 287/90, per conformità allo schema elaborato dall’ABI nel 2003.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Sentenza del 24 settembre 2021 – Giudice designato: Dott. Luciano Ambrosoli

È nullo, per difetto di causa in concreto ex art. 1322 c.c., il contratto di IRS che, stipulato per dichiarate finalità di copertura del rischio di altra operazione, non sia in effetti strutturato, ad opera dell’intermediario che confeziona il derivato OTC, in correlazione alla posizione di rischio del cliente e al suo bilanciamento (cfr., specifica sul punto, Cass. Sez. 1, 31 luglio 2017, n. 19013).

È altresì nullo il contratto che, pur coerente per correlazione strutturale con la copertura del rischio del diverso rapporto contrattuale, non contenga indicazione del valore del derivato espresso dal mark to market e degli eventuali costi occulti e così pure degli scenari probabilistici in relazione ai quali si determina la misura e la distribuzione dell’alea (Cass., S.U., n. 8770 del 12 luglio 2020).

In caso di usurarierà dell’interesse moratorio per superamento del tasso soglia (tasso soglia calcolato sulla maggiorazione media per mora del 2,1%, secondo la precisa formula individuata dalle S.U. n. 19597/2020), dal principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite non discende la nullità ex art. 1815, comma 2, c.c. anche del tasso corrispettivo lecitamente determinato e l’azzeramento del costo del finanziamento (id est, la gratuità del mutuo). L’art. 1815 c. 2 c.c. importa in tal caso la nullità del solo interesse convenzionale di mora usurario; e, in forza dell’art. 1224, comma 1, c.c., gli interessi di mora non saranno affatto esclusi, ma saranno comunque dovuti, seppur nella minor misura degli interessi corrispettivi leciti.

(Massime a cura di Luisa Pascucci)




Decreto del 16 settembre 2021 – Presidente: Dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: Dott. Gianluigi Canali

In tema di locazione finanziaria, la
dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore comporta la sospensione ex
lege
dell’esecuzione del contratto sino a quando il curatore, con
l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiari di subentrare nel
contratto, assumendone i relativi obblighi, ovvero di recedere, con conseguente
risoluzione del contratto e obbligo di restituzione del bene. Tale sospensione,
quindi, opera ex lege e si protrae sino alla dichiarazione del curatore
o sino al momento in cui il giudice delegato, su richiesta dello stesso
contraente in bonis, assegniato al curatore un termine – massimo 60
giorni – per decidere sull’eventuale subentro.

In ambito di locazione finanziaria,
la curatela: i) se subentra nel contratto è tenuta a pagare in
prededuzione, tutte le obbligazioni derivanti dal contratto stesso, comprese
quelle maturate nel periodo di sospensione; ii) se, invece, dichiara di
sciogliersi dal contratto, si determina nella sostanza una risoluzione che ha
effetto ex tunc del rapporto pendente. Secondo quanto disposto dal secondo
comma dell’art. 72 quater l. fall., va escluso che il concedente possa
pretendere il pagamento dei canoni maturati tra la dichiarazione di fallimento
e la restituzione del bene. La sospensione, difatti, è disposta a favore della
curatela, al fine di consentir al curatore la valutazione in ordine alla
convenienza del contratto e della sua prosecuzione; nel corso della sospensione
– in quanto periodo di quiescenza del rapporto – non sussiste, se non disposto
diversamente, l’obbligo di corrispondere alcunché. La conferma di ciò si
rinviene, nell’art. 72 quater l. fall., il quale, disciplinando gli
effetti economici e le conseguenze nel rapporto creditorio con il concedente
del mancato subentro, si limita a disporre che in caso di scioglimento del
contratto, il concedente ha diritto alla restituzione del bene ed è tenuto a
versare alla curatela l’eventuale differenza tra la maggiore somma ricavata
dalla vendita o da altra collocazione del bene stesso, avvenuta a valori di
mercato, rispetto al credito residuo in linea capitale. Il concedente ha
diritto ad insinuarsi nello stato passivo per la differenza tra il credito
vantato alla data del fallimento e quanto ricavato dalla nuova allocazione del
bene. Infine, va osservato come naturalmente
sussista onere del pagamento in favore della concedente qualora il curatore
ritenga conveniente l’esercizio del diritto di riscatto del bene rispetto all’utilità
del bene ed alle condizioni contrattuali.

Principi
espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal
creditore, nel caso di specie, una banca, avverso il decreto che aveva
dichiarato inammissibile l’istanza
ex art. 101 l. fall. di insinuazione in prededuzione, posto che il la curatela
fallimentare non aveva mai occupato l’immobile e che il corrispettivo per
l’esercizio del diritto di riscatto non era dovuto.

Il Tribunale
di Brescia, a conferma della decisione del Giudice delegato, respingeva
l’opposizione, poiché:
a) per il periodo intercorrente tra la dichiarazione di fallimento e la
comunicazione da parte del curatore della volontà di sciogliersi dal contratto,
nulla spettava all’opponente ai sensi del secondo comma dell’art. 72-
quater l. fall.; b) per il periodo compreso tra lo scioglimento
del contratto e la restituzione del bene, nulla poteva essere riconosciuto a
titolo di risarcimento del danno, posto che il ritardo nella riconsegna risultava
ascrivibile alla responsabilità esclusiva dell’opponente;
c)
nessun credito era sorto in capo alla società di leasing, atteso che
il contratto prevedeva il pagamento della somma richiesta solamente nel caso in
cui l’opponente
avesse esercitato il diritto di riscatto e l’utilizzatrice
 fosse divenuta proprietaria del bene.

(Massima a cura di Simona Becchetti)




Decreto del 2 settembre 2021 – Presidente: Dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: Dott. Stefano Franchioni

Ai sensi dell’art. 81 l.f. il contratto d’appalto si scioglie per il fallimento di una delle parti se il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, non dichiara di voler subentrare nel rapporto dandone comunicazione all’altra parte nel termine di 60 giorni dalla dichiarazione di fallimento (conf. Cass. n. 3854/2019).

Principi espressi in caso di rigetto di opposizione allo stato passivo; il Tribunale ha evidenziato che il contratto di appalto non aveva ad oggetto la fornitura di merci, ma la consegna di un impianto elevatore. Nel dettaglio è stato osservato che non erano stati richiesti la rivendica del materiale fornito, il controvalore e neppure il riconoscimento del compenso per la parte di opera eseguita in proporzione al prezzo pattuito per l’intera opera. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 10 luglio 2019 – Presidente relatore: Dott. Donato Pianta

In
ipotesi di controversia tra privati, un cittadino ed una società per azioni,
avente per oggetto la misura degli interessi dovuti in forza di un contratto di
diritto privato, sia pure disciplinato da norme speciali, e quindi di una
controversia nella quale si controverte di diritti soggettivi, sussiste la
giurisdizione ordinaria.

In
materia di buoni postali fruttiferi, se l’ufficio postale è indicato, sui detti
titoli, come soggetto debitore/pagatore, al quale i titolari dei buoni devono
rivolgersi per assicurarsi il pagamento di quanto loro spettante, sussiste la
legittimazione passiva dell’ufficio postale.

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso avverso la sentenza del Tribunale che aveva condannato la
società appellante a versare in favore dell’appellato una somma a titolo di
rimborso di sette buoni postali fruttiferi, costituita dal capitale originario
e dall’ammontare degli interessi legali dall’introduzione della domanda
giudiziale sino al saldo.

In particolare, l’appellante lamentava di non essere
titolare del rapporto
obbligatorio controverso ed eccepiva
il difetto di giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice
amministrativo.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 16 agosto 2021 – Presidente relatore: Dott. Gianluigi Canali

Ai fini dell’estensione della
domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti agli
istituti di credito è preliminarmente necessario verificare la fondatezza della
richiesta, ai sensi dell’art. 182-septies l. fall., atteso che la
proposta di ristrutturazione potrà trovare concreta esecuzione esclusivamente in
caso di esito positivo della domanda.

In sede di omologazione dell’accordo
di ristrutturazione dei debiti, in mancanza di opposizione da parte degli
interessati, il sindacato del tribunale non è limitato ad un controllo formale
della documentazione richiesta, ma comporta anche una verifica di legalità
sostanziale, compresa quella relativa all’effettiva esistenza, in termini di
plausibilità e ragionevolezza, della garanzia del pagamento integrale dei
creditori e, in particolare, tra questi, che i soggetti terzi, estranei al
piano di ristrutturazione, godano della effettiva e reale sicurezza in
relazione al pagamento dei loro crediti (conf. Cass. n. 12064/2019).

Sebbene gli accordi di
ristrutturazione dei debiti siano atti riconducibili all’autonomia privata, è
necessario tenere conto della rilevanza pubblicistica del relativo procedimento
di omologazione, il quale comporta la sospensione delle azioni cautelari ed
esecutive pendenti e, in caso di successivo fallimento, significative deroghe al
regime generale dell’insolvenza e, in particolare, al principio della par
condicio creditorum.
Pertanto, il tribunale deve verificare l’attuabilità,
intesa come verifica della capacità del piano di liberare le risorse ivi
indicate, soprattutto di cassa, che consentano, da un lato il regolare
pagamento dei creditori non aderenti e, dall’altro, la progressiva, anche se
non repentina, uscita dell’impresa dalla situazione di crisi.

In sede di omologazione dell’accordo
di ristrutturazione dei debiti la relazione
dell’esperto: i) deve essere fondata su dati di partenza verificati; ii)
deve essere argomentata in modo coerente e logico con riferimento a detti
dati; iii) deve essere motivata nelle previsioni degli sviluppi futuri,
con particolare riferimento alla capacità del piano industriale di produrre i
flussi finanziari necessari a soddisfare i creditori estranei, attraverso
l’elaborazione e la valutazione autonoma delle previsioni anche mediante la
sottoposizione del piano a ragionevoli stress test.

Principi
espressi in ipotesi di domanda di omologazione di un accordo di
ristrutturazione dei debiti presentata da una s.r.l. in liquidazione, con
richiesta di estensione, ai sensi dell’art. 182-
septies l. fall,
agli istituti di credito.

All’esito
del giudizio, il Tribunale concedeva l’omologa dell’accordo di ristrutturazione
ed estendeva gli effetti previsti dall’accordo – raggiunto con le banche
aderenti – agli istituti di credito non aderenti, tenuto conto dell’attuabilità
dell’accordo e dell’idoneità dello stesso ad assicurare l’integrale pagamento dei
creditori estranei nei termini di legge.

(Massima a cura di Simona Becchetti)