Ordinanza del 21 giugno 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

L’art. 2476, secondo comma, c.c. riconosce al socio non amministratore un diritto soggettivo di natura potestativa, esercitabile, anche nelle s.r.l. dotate di collegio sindacale (o di sindaco unico), individualmente ed in via autonoma senza che sia necessario preventivamente identificare un vincolo di strumentalità con azioni diverse o con finalità probatorie specifiche.

Tale diritto si estende a tutta la documentazione sociale che possa fornire elementi utili in ordine all’amministrazione della società.

Il limite all’esercizio del diritto, come riconosciuto dalla costante giurisprudenza, è esclusivamente quello derivante dal canone di buona fede, non potendosi dunque formulare richieste di carattere ripetitivo, vessatorio, ostruzionistico od emulativo, mentre in via generale non sono opponibili al socio esigenze di riservatezza o di tutela della concorrenza.

Tuttavia, ove sussistano elementi di rischio, anche in chiave di verosimiglianza, connessi all’accesso del socio, il giudice può disporre specifiche modalità attuative che, da un lato, consentano al socio di esaminare la documentazione sociale, e, dall’altro, tutelino la società da un utilizzo illecito delle informazioni fornite: così, esemplarmente, l’accesso alla contabilità può avvenire indirettamente tramite un professionista scelto dal socio e gradito dalla società.

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento di reclamo avverso il provvedimento di rigetto del ricorso, ex art. 700 c.p.c., promosso dal socio al fine di ottenere l’ordine agli amministratori di consentirgli di eseguire, o far eseguire da professionista di sua fiducia, una ispezione ex art. 2476 c.c.

Ord. 21.6.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza dell’11 giugno 2016, n. 1797 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori spettanti alla società e ai creditori, in caso di fallimento della società, confluiscono nell’unica azione di responsabilità esercitabile da parte del curatore ai sensi dell’art. 146 l. fall., ma i presupposti delle due azioni rimangono immutati.

In particolare, in tema di prescrizione, il termine, in ogni caso quinquennale, decorre, nell’azione sociale di cui all’art. 2393 c.c., dalla cessazione dell’amministratore dalla carica, mentre, nell’azione di responsabilità verso i creditori, dal momento in cui l’insufficienza patrimoniale è oggettivamente conoscibile dai creditori.

(Conforme a Cass. nn. 10378/2012; 15955/2012).

L’omessa tenuta dei libri contabili, sebbene rappresenti senz’altro un grave inadempimento degli obblighi di corretta gestione e costituisca un ostacolo ad una ricostruzione dell’andamento dell’impresa, non può tuttavia giustificare l’imputazione all’amministrazione del deficit fallimentare, non essendo neppure astrattamente configurabile un nesso di causalità tra la predetta condotta omissiva e il danno per il patrimonio della società.

(Conforme a Cass. S.U. n. 9100/2015).

In caso di omissione di tenuta dei libri contabili, l’attribuzione della responsabilità risarcitoria agli amministratori presuppone la verifica della sussistenza delle specifiche condotte illecite ai medesimi imputate. Tuttavia, il mancato rinvenimento di beni durevoli e di rilevante importo iscritti alla voce “immobilizzazioni materiali”, fa sorgere a carico degli amministratori una presunzione di distrazione dei predetti beni, che gli stessi sono tenuti a confutare.

Il valore contabile, ossia il c.d. costo storico, di beni durevoli generalmente non coincide con il valore di realizzo sul mercato, risultando tendenzialmente superiore per effetto della obsolescenza, del deperimento e della specificità dei beni. Sicché, ai fini della quantificazione del danno da risarcire in conseguenza della distrazione dei predetti beni, appare congruo “abbattere” il medesimo costo storico del 50%.

Il componente del consiglio di amministrazione non può eccepire il proprio disinteresse per la società al fine di esimersi da responsabilità, essendo tale disinteresse piuttosto indice di condotta omissiva colposa sanzionata dall’art. 2476 c.c.

La responsabilità degli amministratori non può essere graduata in relazione alle colpe di ciascun amministratore: ai sensi dell’art. 2476 c.c. gli amministratori rispondono nei confronti del danneggiato in solido, potendosi semmai proporre, nei rapporti interni, domande di regresso.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento di ricorso promosso dal curatore fallimentare di s.r.l., ex art. 146 l. fall., ai fini dell’accertamento della responsabilità per mala gestio degli amministratori, conseguente a condotte distrattive ai danni della società medesima.

Sent. 11.6.2016, n. 1797

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 13 maggio 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

Concorre nell’inadempimento dell’obbligo di segretezza contrattualmente assunto la società che utilizzi impropriamente materiale nel possesso di altra ove vi sia coincidenza fisica tra i componenti del consiglio di amministrazione di quest’ultima e i collaboratori dell’altra. Il comprovato utilizzo del materiale e la coincidenza soggettiva fanno infatti presumere la cessione di materiale da parte di una nei confronti dell’altra.

L’uso di cataloghi pubblicitari, codici alfanumerici e, all’interno degli stampati, di fotografie che ritraggono lo stabilimento e i dipendenti di altra società, costituiscono atti di concorrenza sleale per confusorietà ex art. 2598, n. 1. c.c.

L’utilizzo della reference list di altra società costituisce atto di concorrenza sleale per appropriazione di pregi ex art. 2598, n. 2, c.c.

Ai fini della tutela prevista all’art. 98 c.p.i., gli specifici requisiti indicati nella disposizione medesima devono essere integralmente allegati e provati, sicché anche l’assenza di uno solo di essi impedisce di sussumere i relativi fatti nell’alveo normativo del codice della proprietà industriale.

Inoltre, il richiamo al requisito della segretezza, interpretato alla luce dei riferimenti contenuti nelle lettere a), b), c), va inteso come attinente in primo luogo alla novità delle informazioni.

La perdita di clientela, rappresentando il tipico effetto dannoso dell’attività illecita, integra gli estremi del pregiudizio irreparabile ed irreversibile; l’irreparabilità del danno deriva dall’obiettiva difficoltà di recupero della quota di mercato eventualmente perduta e dall’impossibilità di addivenire nel futuro giudizio di merito ad una esatta quantificazione del pregiudizio patrimoniale arrecato all’immagine e agli interessi della società pregiudicata.

La dichiarazione di volontà della società di stipulare un accordo di impegno, in assenza di impegno effettivo, quale, esemplarmente, la volontaria soggezione a penali concordate con la controparte, non vale ad escludere il pericolo di una successiva reiterazione di condotte illecite.

(Conforme a Trib. di Milano, 18 aprile 2011).

Principi applicati in ipotesi di accoglimento di reclamo avverso l’ordinanza di rigetto di un ricorso, ex art. 700 c.p.c. e 2598 c.c., volto ad ottenere: l’inibitoria dell’utilizzo di materiale della società ricorrente da parte di altre concorrenti; l’inibitoria della commercializzazione e della pubblicizzazione di prodotti aventi le medesime caratteristiche di quelli della ricorrente; la distruzione del materiale promozionale, utilizzato dalle resistenti, frutto di riproduzione di quello della ricorrente; la previsione di una penale per ogni giorno di ritardo e per la violazione dell’inibitoria; e, infine, la pubblicazione dell’ordinanza sui quotidiani nazionali ed esteri, nonché sul sito delle società resistenti.

Ord. 13.5.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 6 maggio 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema di opposizione allo stato passivo, in ipotesi di sopravvenuta dichiarazione di liquidazione coatta amministrativa della società cooperativa opponente deve ritenersi esclusa l’applicazione della previsione dell’interruzione automatica del processo ex art. 43 l. fall., trattandosi di disposizione speciale rispetto alla disciplina generale di cui agli artt. 299 e 300 c.p.c. e pertanto non suscettibile di applicazione analogica, dovendo, invece, trovare applicazione l’art. 300 c.p.c.

Peraltro, ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione del processo, non è sufficiente la sola conoscenza da parte del curatore dell’evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento, ma è necessaria anche la conoscenza dello specifico giudizio sul quale detto effetto interruttivo è in concreto destinato a operare; detta conoscenza deve inoltre essere “legale”, cioè acquisita non in via di mero fatto ma tramite una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell’evento che determina l’interruzione del processo, assistita da fede privilegiata (conf. Cass. n. 6331/2013 e n. 5650/2013).

In tema di ammissione al passivo, ai fini del riconoscimento del delle società ed enti cooperativi di produzione e lavoro ex art. 2751-bis, n. 5, c.c. è necessario e sufficiente che il credito sia pertinente ed effettivamente correlato al lavoro dei soci e che l’apporto lavorativo di questi ultimi sia prevalente rispetto al lavoro dei dipendenti non soci; ne consegue che, a differenza di quanto accade con riferimento al privilegio artigiano, non è possibile il ricorso a parametri diversi da quelli indicati, collegati a canoni funzionali o dimensionali ovvero a comparazioni fra lavoro dei soci e capitale investito (conf. Cass. n. 12136/2014).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, una società cooperativa, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione integralmente al chirografo dei crediti dalla stessa vantati nei confronti di una s.r.l., poi fallita; il provvedimento opposto, in particolare, aveva escluso la sussistenza del privilegio previsto per gli enti cooperativi “per limiti aziendali incompatibili e non (risultando) dimostrata la prevalenza del lavoro manuale”.

Nelle more del giudizio, veniva disposto l’assoggettamento a liquidazione coatta amministrativa della società cooperativa opponente, che si costituiva in giudizio, e a seguito del quale il fallimento eccepiva l’estinzione del processo, ritenendo decorso il termine di tre mesi per la riassunzione del giudizio “colpito” da interruzione automatica ex art. 43, ultimo comma, l. fall. 

Sul punto il Tribunale, rigettate le eccezioni relative all’estinzione del processo e all’inammissibilità e tardività delle difese di parte opponente, accertata la sussistenza dei requisiti necessari ai fini del privilegio richiesto, ha parzialmente accolto l’opposizione e, in riforma del decreto di esecutività dello stato passivo, ha disposto l’ammissione di parte del credito dell’opponente al privilegio ex art. 2751-bis, n. 5, c.c.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 19 febbraio 2016, n. 537 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

La cessione delle azioni (o delle quote di s.r.l.) di una società di capitali ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Ne consegue che le carenze o i vizi relativi alle caratteristiche ed al valore dei beni ricompresi nel patrimonio sociale (e quindi alla loro consistenza economica) possono giustificare l’annullamento del contratto per errore o la risoluzione per difetto di qualità, ex art. 1487 c.c., solo se il cedente abbia fornito specifiche garanzie contrattuali, oppure nel caso del dolo di un contraente che, mediante artifici e raggiri, abbia omesso di rappresentare la reale situazione patrimoniale della società.

Per questi motivi, in assenza della c.d. garanzia analitica circa la corrispondenza tra la situazione patrimoniale della società e quella descritta nel contratto non potrà essere esercitata l’azione di riduzione del prezzo; è evidente poi che la presenza del dolo potrà determinare l’esperimento della diversa azione di annullamento del contratto.

(Conforme a Cass. nn. 15706/2008; 16031/2007; 5773/1996; 26690/2006; altresì Cass., Sez. Trib., n. 17948/2012).

Il contegno processuale di parte, consistente in un sostanziale disinteresse alla coltivazione della azione, mostrato, esemplarmente, dalla mancata comparizione all’udienza di precisazione delle conclusioni, può essere valutato quale argomento di prova, ex art. 116, secondo comma, c.p.c., dell’infondatezza della domanda.

Il rimborso delle spese processuali sostenute dal terzo chiamato in garanzia del convenuto deve essere posto a carico dell’attore ove la chiamata in causa si sia resa necessaria in relazione alle tesi sostenute dall’attore medesimo e queste siano risultate infondate. Ciò anche nell’eventualità in cui l’attore non abbia proposto nei confronti del terzo alcuna domanda.

Il rimborso rimane inoltre a carico della parte che abbia chiamato o abbia fatto chiamare in causa il terzo qualora l’iniziativa della parte si rilevi palesemente arbitraria.

(Conforme a Cass. n. 22234/2014).

Principi espressi in ipotesi di rigetto di una domanda giudiziale di riduzione del prezzo (c.d. quanti minoris) di acquisto di quote di s.r.l., fondata su pretese di natura risarcitoria, quali danno all’immagine, da ritardo, fermo tecnico.

Sent. 19.2.2016, n. 537

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 12 febbraio 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

L’apertura della procedura di liquidazione del patrimonio del debitore che
versa in stato di sovraindebitamento presuppone, come pure si desume dalla
disposizione di cui all’art. 14 quinquies della l. n. 3 del 2012, che
la domanda di liquidazione soddisfi integralmente i requisiti di cui all’art.
14 ter della legge medesima.

Deve ritenersi che, ai fini dell’integrazione del requisito di cui alla
lett. a), relativo, da un lato, all’indicazione della causa
dell’indebitamento e, dall’altro, alla diligenza impiegata dal
debitore nell’assumere obbligazioni, sia necessario offrire al giudice una
relazione particolareggiata. Sicché, in mancanza di quest’ultima, per il primo
aspetto, non è sufficiente il generico riferimento allo stato di crisi del
settore di mercato in cui operano le società amministrate o partecipate dal
debitore; mentre, per il secondo aspetto, la mole e la natura delle esposizioni
del debitore possono essere sintomatiche, di per sé stesse, di un difetto di
diligenza nell’assumere obbligazioni.

Infine, la documentazione prodotta dal proponente, di cui alla lett. c)
dell’art. 14 ter, ai fini dell’ammissibilità della domanda, nonché del
giudizio di completezza e attendibilità, di cui alla lett. e) della
disposizione medesima, deve consentire una compiuta ricostruzione della
situazione economica e patrimoniale del debitore, in una prospettiva di
sviluppo temporale tendenzialmente riferibile al quinquennio.

Principi applicati in ipotesi di accoglimento di reclamo avverso il
decreto di apertura del procedimento di liquidazione previsto agli artt. 14
ter
e seguenti della l. n. 3 del 2012.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza dell’11 febbraio 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

L’esistenza del conflitto di interessi, ai fini dell’azione di annullamento ex art. 2475 ter, primo comma, c.c., deve essere accertata sulla base del contenuto e delle modalità dell’operazione censurata, che può anche prescindere da una constatazione di formale contrapposizione di posizioni.

(Conforme a Cass. n. 18792/2005).

A tal fine, risulta parimenti irrilevante che l’atto compiuto sia vantaggioso o svantaggioso per il rappresentato nei casi in cui i vincoli di solidarietà familiare o la comunanza di interessi tra rappresentante e terzo possono consentire di ritenere, secondo l’id quod plerumque accidit ed in concorso con altri elementi, sia il proposito del rappresentante di favorire il terzo sia la conoscenza effettiva (o la conoscibilità) di tale situazione da parte del terzo.

(Conforme a Cass. nn. 16708/2002; 1134/1978).

L’elusione dell’obbligo di gestione conservativa, di cui all’art. 2486 c.c., non può trovare giustificazione nella mera prospettazione dell’urgenza, non adeguatamente motivata, di impedire il deprezzamento delle partecipazioni azionarie.

L’elemento del danno in concreto non costituisce presupposto dell’azione di annullamento di cui all’art. 2475 ter, primo comma, c.c.

(Conforme a Cass. nn. 13708/1999; 10749/1992; 1498/1994; 4257/1992).

Ai fini del periculum in mora in materia di sequestro giudiziario è sufficiente che lo stato di fatto esistente in pendenza di giudizio comporti la possibilità che si determinino situazioni tali da pregiudicare l’attuazione del diritto controverso, ciò a prescindere dal timore di sottrazione, alterazione o dispersione dei beni stessi.

(Conforme a Trib. di Torino, 13.03.2009).

Principi espressi in ipotesi di rigetto di reclamo avverso l’ordinanza che ha autorizzato il sequestro giudiziario cautelare della partecipazione azionaria di una s.r.l. in una s.p.a. oggetto di un atto di vendita per cui è stata prospettata l’azione di annullamento per conflitto di interessi.

Ord. 11.2.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 9 febbraio 2016 – Giudice istruttore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

L’inadempimento contrattuale di una società di capitali non può implicare, in assenza della prova di fatti illeciti direttamente imputabili al comportamento colposo o doloso degli amministratori, la responsabilità risarcitoria degli amministratori medesimi nei confronti dell’altro contraente ex art. 2476 c.c.

(Conforme a Cass. nn. 21130/2008; 15220/20120; 2251/1998; 5723/1991).

Principio applicato in ipotesi di rigetto di ricorso cautelare di sequestro conservativo a fronte dell’inadempimento di un contratto di cessione di ramo d’azienda.

Ord. 9.2.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 18 dicembre 2015 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

La comproprietà del pacchetto azionario si risolve in una ipotesi di comunione ordinaria avente ad oggetto la partecipazione sociale, dovendosi ritenere che la prevalenza della sua natura patrimoniale rispetto ai profili obbligatori (cioè al complesso di diritti ed obblighi connessi allo status di socio) determina la connotazione della partecipazione quale bene e quindi quale oggetto unitario di diritti, con la conseguenza che la peculiarità del bene oggetto della comproprietà non appare incompatibile con la applicabilità in via diretta della disciplina sulla comunione di beni.

Il rimedio di cui all’art. 2409 c.c. risulta applicabile alle società in liquidazione, ciò in quanto l’esigenza di ripristino della corretta gestione dell’attività di impresa, alla quale è funzionalmente diretto l’istituto, è pienamente ravvisabile anche nella fase di liquidazione della società.

Nondimeno, proprio in tale fase, essendo prodromica all’estinzione, l’obbligo di ripristino della correttezza gestionale è ancor più pregnante, giacché gli aspetti pubblicistici posti a tutela dei terzi e dei soci, al fine di offrire loro un quadro fedele delle operazioni di liquidazione e della risultante situazione patrimoniale, impongono una assoluta trasparenza operativa ed una particolare chiarezza contabile ed amministrativa.

Ai fini dell’attivazione dello strumento di cui all’art. 2409 c.c., le irregolarità degli amministratori devono essere, oltre che provviste del requisito (espresso) della gravità, necessariamente attuali, ciò in quanto il procedimento mira al riassetto amministrativo e contabile della società, avendo natura latu sensu cautelare e urgente, e non suscettibile di conseguire finalità strettamente sanzionatorie.

Principio espresso in ipotesi di rigetto del ricorso, ex art. 2409 c.c., promosso dagli eredi (comproprietari) del socio di s.p.a. a fronte della denuncia di asserite irregolarità gestorie discendenti dall’adozione di deliberazioni assembleari risalenti nel tempo e mai impugnate.

D. 18.12.2015

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 5 dicembre 2015, n. 3546 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

La tutela del software (si vedano per la definizione, ex plurimis, Cass. nn. 13524/2014; 581/2007; 8011/2012), essendo, all’interno dell’ordinamento nazionale, considerato appartenente alla categoria dei beni giuridici immateriali, è offerta dalla normativa sul diritto d’autore.

Ai fini dell’accesso a tale tutela il programma deve presentare il requisito della originalità, il quale – pur costituendo un requisito di accesso alla protezione situato ad un livello di minore rigore rispetto a quanto dalla legge richiesto per il riconoscimento della novità intrinseca del brevetto per l’invenzione industriale – postula che il programma di cui si chiede protezione non rappresenti una soluzione tipica conosciuta dagli operatori di settore.

(Conforme a Trib. di Milano, 29.01.1997).

Ai medesimi fini, ne consegue la necessità di stabilire se il programma sia frutto di un’elaborazione creativa da parte del suo autore, ciò tenendo conto che la creatività e l’originalità sussistono anche qualora l’opera (o programma) sia composta da idee e nozioni semplici organizzate in maniera autonoma rispetto alle precedenti.

(Conforme a Cass. n. 13524/2014).

In altri termini, la originalità postula un personale sforzo creativo da parte del suo autore sì da determinare la certa esclusione della già avvenuta creazione di un’opera (o programma) simile, implicando, dunque, un sufficiente grado di “valore aggiunto” rispetto alla situazione anteriore.

(Conforme a Cass. n. 13937/1999).

Tale requisito tuttavia subisce, se riferito software, un adattamento necessitato dalle peculiarità dell’oggetto cui esso inerisce: a differenza delle opere dell’ingegno (la cui originalità riguarda essenzialmente la forma espressiva), il giudizio di originalità comprende le utilità da esso ricavabili e le scelte tecnico-esecutive per il conseguimento di queste ultime, che non devono essere già state utilizzate da altri operatori di settore per il conseguimento di quelle medesime utilità.

La carenza del requisito della originalità del software determina altresì l’esclusione della tutela, offerta dagli artt. 98 e 99 c.p.i., conseguente alla violazione di informazioni segrete.

Tale esclusione consegue al difetto del requisito implicito della novità, di cui all’art. 98, primo comma, lett. a), c.p.i., posto che l’assenza di uno solo dei plurimi requisiti che connotano la fattispecie (che devono essere tutti allegati e provati dalla parte che ne reclama la relativa tutela) impedisce di sussumerne i relativi fatti nell’alveo normativo.

(Inoltre, la giurisprudenza che si è occupata dell’argomento richiede, ai medesimi fini, la prova di parte reclamante delle misure concretamente adottate per impedire la diffusione delle informazioni asseritamente segrete. Cfr. Trib. di Milano, 08.11.2005).

Integrano la fattispecie di cui all’art. 2598, n. 3, c.c. le condotte volte all’illecita appropriazione di c.d. codici sorgente di programmi per elaboratori, nonché all’illecito sfruttamento economico dei medesimi.

Gli atti del dipendente infedele consistenti nel fornire ad altra impresa concorrente notizie attinenti all’organizzazione e all’attività del proprio datore di lavoro, idonee ad arrecargli danno con vantaggio dell’impresa concorrente, sono a quest’ultima imputabili a titolo di concorrenza sleale, in forza di una presunzione di partecipazione di essa al fatto, valida fino a prova contraria.

(Conforme a Cass. n. 5708/1985).

La commercializzazione di un software illecitamente contraffatto, e il conseguente ricavo di un ingiusto profitto, costituisce un’attività professionalmente scorretta e sanzionabile, anche per sviamento di clientela, ex art. 2598, n. 3, c.c.

Il danno, conseguente all’integrazione della fattispecie di concorrenza sleale, può essere equitativamente determinato exart. 1226 c.c. ed il pregiudizio quantificato con riguardo agli utili realizzati dalla impresa nel periodo di durata dello sfruttamento economico del vantaggio concorrenziale (c.d. criterio di reversione degli utili exart. 125 c.p.i.).

Così, esemplarmente, ai fini della quantificazione del danno conseguente alla commercializzazione di un software contraffatto possono essere utilizzate le fatture prodotte in giudizio, exart. 210 c.p.c., relative al periodo in cui detta commercializzazione è avvenuta (tenendo conto che non tutte appaiono immediatamente riferibili alla stessa): i relativi utili – considerando i costi, invero contenuti, connessi alla concessione in licenza di un software ed invece l’elevato valore aggiunto da essa discendente – possono ragionevolmente quantificarsi nella misura del 40% dei ricavi conseguiti nel periodo considerato.

L’attacco ingiusto diretto a ledere il concorrente ed i suoi prodotti e/o servizi legittima una reazione di quest’ultimo che ristabilisca la verità e consenta al pubblico di avere una corretta percezione dei soggetti operanti sul mercato. Sicché l’accoglimento della domanda di concorrenza sleale legittima le condotte del danneggiato volte a screditare l’immagine del danneggiante.

(Conforme Cass. n. 11047/1998).

Principi espressi in ipotesi di parziale accoglimento del ricorso promosso da una s.r.l. a tutela del software dalla stessa utilizzato ai fini dell’accertamento della violazione dei diritti d’autore e della normativa sulla tutela delle informazioni segrete, nonché della responsabilità per concorrenza sleale, conseguenti alla illecita duplicazione e distribuzione di detto software.

Nello specifico, è stata accertata la sussistenza della sola responsabilità risarcitoria per concorrenza sleale ex art. 2598, n. 3, c.c.

Sent. 5.12.2015, n. 3546

(Massima a cura di Marika Lombardi)