Decreto del 16 dicembre 2016 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Stefano Franchioni

Ai sensi dell’art. 2, comma 1, l. n. 443/1985, è imprenditore artigiano colui che esercita l’impresa artigiana svolgendo in misura prevalente il proprio lavoro, anche manuale nel processo produttivo. Ne consegue che a specificazione del criterio della prevalenza per il caso in cui l’impresa sia organizzata in forma societaria, il successivo art. 3 subordina il riconoscimento della qualifica di impresa artigiana all’accertamento di due requisiti: a) che la maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in prevalenza lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo; b) che nell’impresa il lavoro abbia funzione preminente sul capitale, non essendo sufficienti l’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane ed il mancato superamento dei limiti fissati dalla legge quadro quanto al numero dei dipendenti.

Il legislatore superando i criteri generali dell’art. 2083 c.c. ha inteso ancorare il riconoscimento del privilegio artigiano ai parametri dettati dalla legge quadro 443/1985.

Principi espressi nel rigetto dell’opposizione allo stato passivo per il mancato riconoscimento del privilegio artigiano. 

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 7 dicembre 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non diviene cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell’ipotesi in cui il decreto di esecutorietà ex articolo 647 del codice di rito civile venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell’articolo 52 della legge fallimentare.

Principio espresso nel contesto di una procedura fallimentare, apertasi in un momento successivo all’esecutività di un decreto ingiuntivo.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Ordinanza del 28 novembre 2016 – Presidente relatore: dott. Stefano Rosa

In tema di concorrenza sleale, una volta concesso il provvedimento di autorizzazione alla descrizione inaudita altera parte, l’oggetto del contendere nella fase della conferma del provvedimento all’esito del contraddittorio (art. 129, ult. co., c.p.i.) non è più quello dell’opportunità della previa audizione della parte resistente, ma semplicemente la verifica dei presupposti di accoglimento del ricorso, tenute presenti anche le ragioni del soggetto passivo della descrizione.

Per la descrizione i presupposti del fumus e del periculum si atteggiano in modo peculiare rispetto alla generale teorica dei provvedimenti cautelari, assumendo connotati vicini all’accertamento tecnico preventivo di diritto comune: ed invero, la descrizione non attiene alla violazione della privativa, ma all’acquisizione della prova stessa altrimenti impossibile, antieconomica o comunque disagevole ed il provvedimento positivo non acclara – dunque – la violazione ma solo l’ammissibilità-rilevanza del materiale probatorio di cui si chiede l’acquisizione od il confezionamento attraverso l’accesso dell’organo pubblico e del perito ausiliario incaricati dell’esecuzione.

I principi sono stati espressi nel giudizio di reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. promosso da una s.p.a. (reclamante) nei confronti di una s.r.l. (reclamata), avverso l’ordinanza con la quale erano state rigettate le domande cautelari della reclamante.

Con il predetto ricorso, in particolare, la reclamante aveva chiedo di ordinare ai sensi dell’art. 129 c.p.i. la descrizione del prodotto in potenziale interferenza con il brevetto europeo dalla medesima vantato.

Il giudice designato della sezione feriale aveva concesso il provvedimento richiesto (descrizione) e l’incombente veniva eseguito con rilevante acquisizione documentale.

Convocate le parti e costituitasi la società resistente, il nuovo giudice designato rigettava il petitum, revocando il provvedimento emesso inaudita altera parte.

Sul punto il Tribunale, in accoglimento del reclamo proposto, ha riformato l’ordinanza impugnata, confermando il provvedimento autorizzativo della descrizione adottato dal primo giudice designato.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 8 novembre 2016, n. 3271 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

L’art. 2377, comma 3, c.c. prevede che l’impugnazione può essere proposta dai soci quando possiedono tante azioni aventi diritto di voto che rappresentino (…) il cinque per cento del capitale sociale. I quorum indicati dalla norma devono essere calcolati prendendo come base il capitale sociale nella sua interezza e non solo quello corrispondente alle azioni aventi diritto di voto con riferimento alla delibera impugnata. La base di riferimento per calcolare la percentuale è costituita dall’intero capitale sociale, mentre, ai fini del raggiungimento, si considerano solo le azioni che hanno il diritto di voto sulla delibera impugnata.

Principio espresso in ipotesi di accertamento della carenza di legittimazione attiva dei soci attori, per mancato rispetto del quorum indicato dall’art. 2377, comma 3, c.c., in ordine all’azione di annullamento, ex artt. 2377 e 2378 c.c., della delibera di approvazione del progetto di fusione per incorporazione assunta dall’assemblea straordinaria della s.p.a. incorporanda.

A seguito della stipulazione dell’atto di fusione, avvenuta nelle more del giudizio e regolarmente iscritta nel registro delle imprese, è stata reputata inammissibile anche la domanda di risarcimento del danno perché formulata irritualmente a seguito di una riserva espressa nell’atto di citazione.

Sent. 8.11.2016, n. 3271

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Decreto del 2 novembre 2016 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Non costituendo l’opposizione allo stato passivo un giudizio di appello, il relativo procedimento è integralmente disciplinato dalla legge fallimentare, la quale prevede che avverso il decreto di esecutività possano essere proposte solo l’opposizione, l’impugnazione o la revocazione: ciascuno di tali rimedi può essere utilizzato, dal soggetto legittimato, esclusivamente entro il termine di cui all’art. 99 l. fall., restando concettualmente non configurabile un’impugnazione incidentale, tardiva o tempestiva, atteso che, ove il termine sia ancora pendente, non può che essere proposta l’impugnazione a sé spettante, mentre, se sia ormai decorso, si è decaduti dalla possibilità di contestare autonomamente lo stato passivo (conf. Cass. n. 9617/2016).

Nell’ambito dell’azione revocatoria ordinaria, quanto all’eventus damni, laddove non venga ipotizzata una dolosa preordinazione dell’atto dispositivo al fine di pregiudicare il soddisfacimento del credito, il creditore ha l’onere di provare tre circostanze: la consistenza dei crediti ammessi al passivo nei confronti del fallito, la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole e il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto; solo se dalla valutazione complessiva e rigorosa di tutti e tre gli elementi dovesse emergere che per effetto dell’atto pregiudizievole sia divenuta oggettivamente più difficoltosa l’esazione del credito, in misura che ecceda la normale e fisiologica esposizione di un imprenditore verso i propri creditori, potrà ritenersi dimostrata la sussistenza dell’eventus damni (conf. Cass. n. 26331/2008, n. 9092/1998).

In tema di ammissione al passivo, le ragioni ipotecarie del creditore iscritto devono in ogni caso essere “verificate” dagli organi del fallimento, dovendosi pertanto ritenere che non è precluso al creditore ipotecario di richiedere al giudice delegato, in via preventiva, una pronuncia di accertamento della sua prelazione ipotecaria (conf. Cass. n. 10072/2003).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie, una banca, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva disposto l’ammissione integralmente al chirografo dei crediti dalla stessa vantati nei confronti di una s.n.c., poi fallita, nonché nei confronti dei soci illimitatamente responsabili; il provvedimento opposto, in particolare, aveva escluso la sussistenza del privilegio ipotecario, trattandosi di “garanzia revocabile ex art. 2901 c.c.”.

L’opponente, rilevata l’inammissibilità, l’improcedibilità e/o comunque l’infondatezza dell’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., chiedeva, in parziale riforma del provvedimento opposto, l’ammissione in via privilegiata ipotecaria degli importi insinuati.

Sul punto il Tribunale, rilevata l’inammissibilità delle domande incidentali formulate dalla curatela fallimentare, accertata l’insussistenza dei presupposti necessari ai fini dell’azione revocatoria ordinaria (non avendo, in particolare, la curatela dimostrato il pregiudizio, omettendo di dar prova dell’esistenza dei crediti al momento del compimento degli atti di cui aveva eccepito la revocabilità), ha accolto l’opposizione e, in parziale riforma del decreto di esecutività dello stato passivo, ha disposto l’ammissione dei crediti dell’opponente in via privilegiata ipotecaria.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 8 ottobre 2016, n. 2912 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

L’amministratore di fatto ricorre per la sola circostanza dello stabile esercizio di funzioni gestorie, non soltanto quando la nomina alla carica amministrativa risulti irregolare, ma anche in assenza di una qualsivoglia investitura da parte della società. Per essere rilevanti, al fine di giungere a qualificare un soggetto quale amministratore di fatto, le attività gestorie devono presentare carattere sistematico e non si devono esaurire soltanto nel compimento di singoli atti di natura eterogenea ed occasionale. L’amministratore di diritto della società a responsabilità limitata risponde verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di doveri ad esso imposti dalla legge o dall’atto costitutivo. L’amministratore di fatto è soggetto alle stesse regole ed agli obblighi propri di quelli di diritto.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento della domanda, proposta dalla curatela fallimentare nei confronti degli amministratori, di diritto e di fatto, di s.r.l, volta ad accertare la loro responsabilità a seguito del compimento di gravi irregolarità nella gestione della società (irregolare tenuta delle scritture contabili, distrazione di beni ammortizzabili e violazione degli obblighi ex art. 2485 c.c.) e ad ottenere la condanna degli stessi al risarcimento del relativo danno.

Sent. 8.10.2016, n. 2912

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Ordinanza del 17 agosto 2016 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

La proposizione del reclamo ex art. 591-ter c.p.c. avverso gli atti del professionista delegato non soggiace a uno specifico termine di legge, dovendosi tuttavia escludere che detto reclamo possa proporsi sine die, anche al fine di conferire stabilità agli atti della procedura esecutiva, dovendosi pertanto concludere che le parti e gli interessati possano proporre reclamo avverso gli atti del delegato, fino all’emissione del provvedimento conclusivo della fase procedimentale del quale l’atto impugnato fa parte.

In applicazione di tale principio va ritenuto inammissibile, perché tardivo, il reclamo ex art. 591-ter c.p.c. diretto a censurare i ribassi operati nell’ambito dei precedenti esperimenti di vendita andati deserti, trattandosi, all’evidenza, di reclamo avverso atti del professionista delegato relativi a fasi procedimentali ormai concluse (conf. Trib. Brescia, ord. 22 luglio 2016).

La regola contenuta nell’art. 2929 c.c., secondo il quale la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto la vendita o l’assegnazione non ha effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, non trova applicazione quando la nullità riguardi proprio la vendita o l’assegnazione, sia che si tratti di vizi che direttamente la concernano, sia che si tratti di vizi che rappresentino il riflesso della tempestiva e fondata impugnazione di atti del procedimento esecutivo anteriori, ma ad essi obbligatoriamente prodromici (conf., tra le più recenti, Cass. n. 26930/2014, n. 13824/2010, n. 21682/2009).

I principi sono stati espressi nel giudizio di reclamo, ex artt. 624 e 669-terdecies c.p.c., promosso dal debitore esecutato avverso il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione aveva respinto l’istanza di sospensione dell’esecuzione immobiliare, proposta nel contesto di opposizione ex art. 617, co. 2, c.p.c. avverso il provvedimento pronunciato dal medesimo giudice ai sensi dell’art. 591-ter c.p.c.

Il reclamante, in particolare, chiedeva l’accertamento dell’illegittimità degli atti compiuti dal professionista delegato, non avendo, in tesi, il professionista rispettato la sequenza di “vendita senza incanto-vendita con incanto” ed avendo il medesimo violato le disposizioni sui “ribassi” di cui agli artt. 569, co. 3, 576 e 591 c.p.c.

Sul punto il Tribunale, accertato il difetto del requisito del fumus boni iuris, ha rigettato il reclamo, confermando il provvedimento impugnato.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 3 agosto 2016, n. 2412 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Vincenza Agnese

L’esercizio dell’azione nei confronti del creditore principale non implica il trasferimento del credito ceduto (in garanzia) in capo al cedente, in quanto il cessionario è legittimato ad azionare sia il credito principale sia quello ceduto in garanzia; il credito ceduto in garanzia potrà ritornare nella sfera giuridica del cedente, solo in seguito al soddisfacimento della pretesa creditoria garantita. L’art. 61 L.F. esclude vi sia automatismo tra insinuazione allo stato passivo del fallimento e liberazione dell’obbligo solidale.

Nella cessione di azienda anche l’acquirente risponde dei debiti dell’alienante, purché questi risultino dai libri contabili obbligatori (art. 2560, comma 2, c.c.); infatti l’iscrizione dei debiti nei libri contabili è elemento costitutivo della responsabilità dell’acquirente per tali debiti e non potrà essere dimostrata nemmeno dalla sussistenza di altri elementi comprovanti la situazione debitoria dell’azienda ceduta.

Principi espressi in ipotesi di rigetto della domanda, proposta dalla curatela fallimentare, volta all’accertamento dell’esistenza di un contratto di cessione di credito e alla relativa condanna al pagamento dello stesso.

Sent. 3.8.2016, n. 2412

(Massima a cura di Roberta Benedini)




Ordinanza del 28 luglio 2016 – Giudice estensore: dott.ssa Vincenza Agnese

Il diritto di proporre ante causam il ricorso cautelare di revoca degli amministratori di s.r.l., di cui all’art. 2476, terzo comma, c.c., deve ritenersi negato sulla base degli argomenti:

  1. a) letterale, in considerazione dell’utilizzo dell’avverbio «altresì» quale congiunzione tra la previsione dell’azione di responsabilità e quella dell’istanza cautelare di revoca, rafforzando, sotto il profilo temporale, il rapporto tra le due azioni e, dunque, orientando per ritenere che il ricorso può essere proposto esclusivamente nel contesto di un già instaurato procedimento a cognizione piena;
  2. b) del legislatore storico, deponendo in tal senso il tenore della relazione ministeriale della c.d. riforma del diritto societario, introdotta dal d.lgs. n. 05/2003, ove si afferma il diritto del socio di chiedere, con riguardo all’azione di responsabilità, «con essa» e «in quella sede» un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori;
  3. c) sistematico, discendente dalla previsione di cui all’art. 2378, terzo comma, c.c.

(Conforme a Trib. di Brescia, 16.07.2010).

Tali argomenti sono infine rafforzati dal riconoscimento, da parte della dottrina maggioritaria, di una provvisoria stabilità di effetti del provvedimento cautelare di revoca, con la conseguenza che ammettere la revoca di un amministratore ante causam significherebbe garantire al socio un “eccesso di tutela”.

Principio espresso in ipotesi di dichiarata inammissibilità di domanda cautelare ante causam di revoca ex art. 2476, terzo comma, c.c.

Ord. 28.7.2016

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 13 luglio 2016 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema ammissione tardiva dei crediti allo stato passivo fallimentare, deve affermarsi l’operatività dell’effetto preclusivo derivante dall’ammissione del credito tempestivamente insinuato nel caso in cui la domanda tardiva si fondi sulla medesima causa petendi. Presupposto per l’ammissione tardiva al passivo è che la domanda sia fondata su un titolo diverso, integrante una nuova fattispecie giuridica sostanziale, alla quale si ricolleghi un diverso tema di indagine e di decisione (conf. Cass. n. 18962/2011 e Cass. n. 26377/2011), sicché in assenza di tale presupposto, l’opposizione va rigettata.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dall’ex dipendente di una s.r.l. unipersonale, poi fallita, contro il provvedimento del giudice delegato che aveva rigettato la domanda di insinuazione tardiva con cui chiedeva di essere ammesso al passivo di detto fallimento in via privilegiata ex art. 2751-bis, n. 1, c.c. per l’ulteriore somma di cui affermava di essere creditore sempre a titolo di T.F.R., segnalando di essere stato già ammesso al passivo per lo stesso titolo ma per un importo diverso per “mero errore materiale” del medesimo nella redazione della domanda (tempestiva) di insinuazione. Il giudice delegato dichiarava inammissibile la domanda in quanto il credito dell’ex dipendente per T.F.R. risultava già tempestivamente ammesso.

Il ricorrente proponeva opposizione evidenziando come il credito insinuato con la domanda tardiva fosse integrativo del credito oggetto della domanda tempestiva e non relativo a somma già ammessa. Tale statuizione è stata confermata dal Tribunale di Brescia ad esito del giudizio di opposizione allo stato passivo, formulando la massima di cui sopra. 

(Massima a cura di Marika Lombardi)