Sentenza del 12 maggio 2017, n. 1461 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Ai fini della determinazione del compenso degli amministratori di società di capitali, qualora questo non sia stabilito dallo statuto, la semplice deliberazione di approvazione del bilancio contenente la posta che provveda alla sua quantificazione non è idonea ad integrare una specifica deliberazione assembleare sul compenso degli amministratori.

L’art. 2389 c.c. individua un diritto soggettivo dell’amministratore di società di capitali al compenso per l’attività svolta in adempimento del mandato ricevuto, dovendosi presumere che l’attività professionale sia stata espletata a titolo oneroso. Pertanto, ove la misura di tale compenso non sia stata determinata nell’atto costitutivo o dall’assemblea, ne può essere chiesta la determinazione al giudice.

Principi espressi in ipotesi di accoglimento della domanda proposta da un amministratore di s.r.l. volta ad ottenere la condanna della società al pagamento dei compensi per l’attività gestoria dallo stesso  espletata.

Sent. 12.5.2017, n. 1461

(Massima a cura di Roberta Benedini)




Sentenza del 6 maggio 2017, n. 1373 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

La responsabilità delineata ai sensi dell’art. 2497 c.c. si basa su condotte di “tipo commissivo” della holding, la quale si serva della controllata per perseguire interessi estranei a quelli di quest’ultima ledendo il patrimonio della stessa, non potendosi quindi, tale responsabilità, basare su condotte di tipo omissivo.

Nell’ambito dei gruppi piramidali la holding “intermedia” risponde verso il terzo danneggiato ex art. 2497, primo comma, c.c. nell’ipotesi in cui essa stessa sia l’artefice della violazione dei principi di cui a detto articolo.

Principio espresso in tema di azione di responsabilità per attività di direzione e coordinamento intentata da un creditore della società eterodiretta nei confronti della controllante sulla base dell’assunto secondo cui questa dovrebbe rispondere dell’incapienza patrimoniale della controllata. La domanda risarcitoria è stata rigettata perché basata sull’allegazione di condotte sostanzialmente omissive, finendo in definitiva per prospettare una responsabilità illimitata e solidale del socio di maggioranza per le obbligazioni della partecipata.

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)

Sent. 6.5.2017, n. 1373




Decreto del 28 aprile 2017 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Dovendo le ragioni ipotecarie del creditore iscritto essere in ogni caso “verificate” dagli organi del fallimento, al creditore ipotecario non è preclusa la possibilità di richiedere al giudice delegato, in via preventiva, una pronuncia di accertamento della sua prelazione ipotecaria (conf. Cass. n. 10072/2003). Ciò vale anche nel caso in cui il creditore sia titolare di diritti di prelazione ipotecaria su beni immobili compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso terzi e garantiti dal fallito, potendo trovare applicazione il procedimento di verifica dei crediti di cui all’art. 52 l. fall. (contra Cass. n. 2540/2016).

Nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di “ius novorum”, con riguardo alle nuove eccezioni proponibili dal curatore (conf. Cass. n. 25728/2016).

L’atto compiuto dagli amministratori in nome della società è estraneo all’oggetto sociale se non è idoneo in concreto a soddisfare un interesse economico, sia pure mediato ed indiretto, ma giuridicamente rilevante della società, non essendo sufficiente il criterio dell’astratta previsione, nello statuto, del tipo di atto posto in essere (conf. Cass. n. 25409/2016 e Cass. n. 26325/2006).

La riforma di cui al d. lgs. n. 6/2003 ha unificato la disciplina prevista per l’opponibilità degli atti compiuti in violazione dei limiti al potere rappresentativo degli amministratori di cui all’art. 2384 c.c. e quella riguardante gli atti estranei all’oggetto sociale, già contenuta nell’art. 2384-bis c.c., poi abrogato dalla citata riforma, posto che in entrambi i casi l’opponibilità ai terzi è prevista in ipotesi di exceptio doli, intesa come consapevolezza di una stipulazione potenzialmente dannosa per la società; regola applicabile attraverso l’art. 2475-bis anche alle s.r.l. (conf. Cass. n. 14509/2000 e n. 4914/1988).

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione ex art. 98 l. fall. promosso dal creditore, nel caso di specie una banca, avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che, da un lato, aveva rigettato parzialmente la domanda di ammissione in chirografo del credito per scoperto di conto corrente e insoluti maturato verso una s.r.l. i cui debiti erano garantiti da una fideiussione omnibus rilasciata dalla società fallita, partecipata interamente e controllata dalla prima, e che, dall’altro lato, aveva rigettato integralmente la domanda di accertamento ex art. 52 l. fall. della validità e dell’opponibilità alla procedura dell’ipoteca volontaria concessa dalla fallita a garanzia del debito a titolo di mutuo assunto dalla controllante verso la banca opponente. Il Giudice delegato, infatti, aveva ritenuto l’ipoteca inefficace, in quanto atto estraneo all’oggetto sociale posto in essere dalla fallita a beneficio della sua controllante, e comunque revocabile ai sensi dell’art. 2901 c.c. Tale decisione è stata confermata dal Tribunale di Brescia ad esito del giudizio di opposizione allo stato passivo, in quanto la concessione da parte della controllata di un’ipoteca volontaria a garanzia dei debiti contratti dalla controllante è stata ritenuta un atto estraneo all’oggetto sociale, non idoneo a soddisfare un interesse economico della prima, in quanto realizzato ad esclusivo vantaggio della seconda, accompagnato dalla consapevolezza da parte della banca garantita del pregiudizio che l’atto poteva cagionare alla società garante. Il Tribunale bresciano ha invece accolto parzialmente l’opposizione relativamente al credito chirografario vantato dalla banca, che è stato ammesso sino alla concorrenza dell’importo della garanzia fideiussoria prestata dalla fallita.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 27 aprile 2017 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Ad escludere i presupposti cautelari, nell’ambito di un sequestro conservativo, non può rilevare la circostanza per cui gli altri coobbligati solidali sarebbero “ampiamente solvibili”. Alla luce dei principi generali in tema di solidarietà, infatti, come il creditore ha diritto di soddisfarsi per l’intero sul patrimonio di uno qualsiasi dei condebitori a sua insindacabile scelta, così deve essergli riconosciuto anche il diritto di cautelarsi nei confronti di quel medesimo debitore per il timore di perdere la garanzia del suo credito, senza che si possa tenere conto della presenza a suo favore della garanzia generica del patrimonio degli altri coobbligati.

Principio espresso in ipotesi di rigetto del reclamo proposto avverso l’ordinanza che, confermando il provvedimento reso inaudita altera parte, aveva autorizzato il sequestro conservativo dei beni e dei crediti di un amministratore di s.p.a. fallita verso il quale il fallimento aveva promosso l’azione di responsabilità ex artt. 2932-2394 c.c. Il Tribunale ha affermato che, ritenuti sussistenti i requisiti del periculum in mora e del fumus boni iuris, non è idonea ad escludere la sussistenza dei presupposti cautelari la presenza di coobbligati solidali “ampiamente solvibili”, formulando il principio di cui alla massima.

Ord. 27.4.2017

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)




Sentenza del 5 aprile 2017, n. 1060 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Sulla base di principi applicabili ai componenti del consiglio di sorveglianza, in una società a partecipazione pubblica il venir meno del rapporto fiduciario tra socio e amministratori è rilevante, ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato, solo quando i fatti che hanno determinato il venire meno dell’affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forse la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore. Altrimenti lo scioglimento del rapporto fiduciario deriva da una valutazione soggettiva della maggioranza che non esclude la revoca ad nutum, ma legittima l’amministratore revocato senza giusta causa a richiedere il risarcimento del danno derivatogli dalla revoca del mandato. Non può costituire giusta causa di revoca il mero inadempimento ad una inesistente soggezione dell’amministratore alle direttive del socio di maggioranza, pur se pubblico.

Le ragioni alla base della revoca devono essere espressamente enunciate nell’atto dell’assemblea, senza che queste, omesse nell’atto deliberativo, possano essere integrate in prosieguo, nel corso del giudizio, appartenendo alla sola assemblea ogni valutazione in proposito.

La clausola statutaria simul stabunt simul cadent è causa di decadenza automatica dalla carica pertanto, a differenza della revoca, non attribuisce al consigliere di sorveglianza cessato per effetto della stessa alcun diritto al risarcimento del danno. Al più la tutela risarcitoria potrebbe essere riconosciuta solo in caso di utilizzo abusivo di tale clausola, ovvero quando lo strumento della revoca o delle dimissioni dei consiglieri “amici” sia utilizzato al solo fine di rimuovere i componenti non graditi.

Principio espresso in tema di azione di risarcimento danni promossa da alcuni componenti del consiglio di sorveglianza di una s.p.a. a partecipazione pubblica per essere stati revocati, ai sensi dell’art. 2409 duodecies c.c., senza giusta causa. Il Tribunale ha accolto parzialmente la domanda avendo ritenuto che nel verbale assembleare di revoca non fossero state esplicitate le ragioni che integravano la giusta causa di revoca, le quali, in assenza di un’espressa indicazione nella delibera assembleare, non potrebbero essere integrate successivamente nel corso del giudizio.

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)

Sent. 5.4.2017, n. 1060




Sentenza del 31 marzo 2017 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

È valida la clausola compromissoria di società cooperativa che attribuisca il potere di nomina dell’arbitro unico, a cui sia devoluta la decisione delle controversie insorte tra i soci e la società, al presidente di un ordine professionale che abbia prestato la propria opera in favore della società medesima; il presidente di un ordine professionale deve, infatti, considerarsi soggetto indipendente rispetto ad entrambe le parti ed eventuali ragioni di incompatibilità della persona fisica (che rivesta tale incarico) possono essere risolte mediante la sua astensione.

In tema di società cooperativa, non costituisce atto di licenziamento la deliberazione consigliare di esclusione del socio che comporti l’automatica estinzione del rapporto di lavoro in essere tra il socio e la società medesima, con conseguente possibilità di devolvere ad arbitri il relativo giudizio di impugnazione.

I principi sono stati espressi nei giudizi (riuniti per connessione oggettiva e soggettiva) di impugnazione delle deliberazioni consigliari di esclusione del socio di due società cooperative, promossi, dal socio escluso, in presenza, in entrambi gli statuti, di clausole compromissorie.

L’attore, in particolare, chiedeva: (i) preliminarmente, l’accertamento dell’invalidità delle clausole compromissorie, fondata su due ordini di ragioni: da un lato, la circostanza per cui il soggetto deputato alla designazione dell’arbitro unico era il presidente di un ordine professionale che aveva prestato la propria opera in favore delle società e, dall’altro, l’affermazione secondo cui la devoluzione ad arbitri di giudizi inerenti rapporti di lavoro implicherebbe la rinuncia ai diritti di difesa del lavoratore, in violazione dell’art. 2113 c.c.; (ii) nel merito, la declaratoria di nullità delle deliberazioni con cui i consigli di amministrazione delle due società cooperative l’avevano escluso e, conseguentemente, la riammissione come socio con reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento del danno.

Sul punto il Tribunale, accertata la validità delle clausole compromissorie, esclusa la natura di atti di licenziamento delle deliberazioni di esclusione del socio, ha dichiarato il difetto di competenza del giudice ordinario, in favore di quella arbitrale.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 2 marzo 2017, n. 619 – Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Raffaele Del Porto

Un’ipotesi di uso improprio (o abuso) della clausola statutaria c.d. simul stabunt simul cadent può ritenersi sussistente solo quando lo strumento della revoca (o delle dimissioni) dei consiglieri “amici” sia utilizzato all’esclusivo fine di ottenere il risultato (realmente perseguito) di rimuovere ulteriori consiglieri “sgraditi”, senza riconoscere loro il dovuto risarcimento del danno in difetto di giusta causa.

Resta, in ogni caso, escluso che il componente dell’organo di amministrazione (o di controllo), che subisca la cessazione del proprio incarico in conseguenza della revoca (priva di giusta causa) di altri componenti, possa maturare, per ciò solo, il diritto al risarcimento dei danni, posto che l’art. 2409-duodecies, quinto comma, c.c. accorda tale diritto ai soli consiglieri destinatari (diretti) della revoca.

Principi espressi in ipotesi di rigetto della domanda di risarcimento del danno ex art. 2409-duodecies, quinto comma, c.c., formulata da due consiglieri di sorveglianza di una s.p.a. cessati dalla carica in conseguenza della decadenza dell’intero consiglio per effetto della (legittima) revoca della maggioranza dei componenti in presenza di clausola statutaria simul stabunt simul cadent.

Sent. 2.3.2017, n. 619

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 7 febbraio 2017 – Giudice designato: dott.ssa Vincenza Agnese

Affinché si possa pervenire alla pronunzia di invalidità di una delibera, il socio impugnante deve allegare e provare (anche) la lesione di un diritto suo proprio, non essendo sufficiente che la delibera sia prospettata come contra legem, esigendosi la specifica lesione dei diritti patrimoniali (e amministrativi) del socio che non può derivare dal pregiudizio che la società nel suo complesso, e dunque indirettamente ogni socio, andrebbe a subire.

Principio espresso in ipotesi di rigetto dell’istanza, proposta ex art. 2378 c.c., di sospensione dell’efficacia esecutiva di una deliberazione di s.p.a. avente ad oggetto l’approvazione di un progetto di fusione per incorporazione di società posseduta al 95%, rigetto motivato dal rilievo secondo cui detta deliberazione sarebbe stata priva di idoneità lesiva per l’istante, posto che la stipula dell’atto di fusione era subordinata, in base al progetto di fusione, alla conclusione di un accordo interbancario, non ancora perfezionato, di rinegoziazione delle condizioni dei finanziamenti delle società del gruppo. Il rigetto della istanza è stato motivato altresì dall’assenza del periculum in mora, posto che la valutazione di bilanciamento degli opposti interessi ha indotto a ritenere che l’eventuale pregiudizio economico subito dall’istante a seguito della fusione avrebbe potuto trovare adeguato ristoro nell’azione risarcitoria.

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)

Ord. 7.2.2017




Ordinanza del 23 gennaio 2017 – Giudice istruttore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Nella trasformazione da società in accomandita semplice a società a responsabilità limitata, la distinzione tra una decisione di trasformazione e una di nomina degli amministratori non è pertinente, dovendosi invece concludere che anche la nomina dell’organo amministrativo costituisca parte integrante e necessaria dell’atto di trasformazione, da valutarsi unitariamente. Ciò posto, l’effetto di stabilizzazione conseguente alla pubblicità si deve ritenere esteso anche alla determinazione di nomina dell’amministratore.

Principio espresso in ipotesi di rigetto dell’istanza, proposta ex artt. 2479 ter e 2378 c.c., di sospensione dell’efficacia esecutiva di una deliberazione di nomina dell’amministratore unico contenuta nella decisione, redatta per atto pubblico, con la quale la maggioranza dei soci di una s.a.s. aveva deliberato la trasformazione della società in s.r.l., rigetto basato sull’assunto secondo cui la nomina dell’organo amministrativo costituisce parte integrante e necessaria dell’atto di trasformazione, da valutarsi unitariamente. E poiché l’atto di trasformazione della s.a.s. era stato già iscritto nel registro delle imprese prima dell’instaurazione del giudizio, l’effetto di stabilizzazione conseguente alla pubblicità è stato considerato esteso anche alla determinazione di nomina dell’amministratore. Peraltro, il rimedio cautelare dell’art. 2378 c.c., come la relativa azione di annullamento, non è stato reputato azionabile con riferimento alle decisioni dei soci di società di persone, la cui invalidità – non essendo previsto in esse un organo assembleare – è retta dai principi generali in materia di atti negoziali plurisoggettivi, e non dagli artt. 2377 e 2379 c.c. (Cass., n. 8276/2002). Il rigetto della istanza suddetta è stato motivato altresì dall’assenza del periculum in mora, che, in base all’art. 2378, 4° co., c.c., richiede una valutazione di bilanciamento degli opposti interessi. Nel caso di specie è risultato prevalente l’interesse della società a conservare una guida gestoria, tanto più perché la nomina dell’amministratore era contenuta in un atto di trasformazione che aveva già prodotto irreversibilmente i suoi effetti.

(Massima a cura di Sara Pietra Rossi)

Ord. 23.1.2017




Sentenza del 14 gennaio 2017, n. 103- Presidente: dott. Stefano Rosa – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Anche nel caso in cui vi sia una coincidenza personale tra soci e amministratori, occorre una delibera dell’assemblea dei soci per l’attribuzione dei compensi agli amministratori, in quanto gli utili percepiti in qualità di soci costituiscono una remunerazione del capitale investito, a differenza dei compensi percepiti come amministratori che costituiscono, invece, una controprestazione dovuta per l’incarico svolto (incarico, tra l’altro, conferito con delibera del medesimo organo assembleare).

E’ ormai pacifica in dottrina e in giurisprudenza la legittimazione concorrente della società accanto a quella del singolo socio ex art. 2476, comma 3, c.c. per cui, applicando in via analogica il disposto di cui all’art. 2393 c.c., è necessaria un’apposita deliberazione dell’assemblea dei soci affinché la società (convenuta) possa agire (in via riconvenzionale) nei confronti degli amministratori per mala gestio. Questo assunto trova fondamento anche nell’art. 2476, comma 5, c.c., norma che richiede il consenso dei soci per disporre delle sorti dell’azione di responsabilità (rinunzia o transazione) e dalla quale si può evincere che spetti ai soci anche il potere-dovere di deliberare l’azione giudiziaria.

Principi espressi dal Tribunale con riguardo alla richiesta di un amministratore volta ad ottenere la condanna della società al pagamento dei compensi per l’attività gestoria dallo stesso effettuata ed espressamente riconosciuta dai soci tramite delibera assembleare.

Il Tribunale ha ribadito, inoltre, il principio della legittimazione concorrente della s.r.l. a proporre azione di responsabilità, ex art. 2476, comma 3, c.c., in presenza di preventiva delibera assembleare.

Sent. 14.1.2017, n. 103

(Massima a cura di Roberta Benedini)