Sentenza del 27 marzo 2019 (Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli)

In
tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del
contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dall’art.
23 del d.lgs. n. 58 del 1998, va inteso non in senso strutturale, ma
funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta
dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto
sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è
sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella
dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di
comportamenti concludenti dallo stesso tenuti
” (cfr. Cass., SS.UU., n.
898/2018). Da ciò ne deriva che se il contratto di conto corrente e il
contratto di mutuo, redatti per iscritto, recano il timbro della società
correntista e mutuataria e la firma del suo legale rappresentante, il requisito
di forma prescritto a pena di nullità deve ritenersi soddisfatto.

I principi sono stati espressi nel
giudizio di appello promosso da una banca avverso la sentenza del Tribunale
emessa all’esito dell’opposizione a decreto ingiuntivo promossa da una s.r.l. e
dai suoi fideiussori.

Peraltro in tale procedimento la parte appellata
aveva
censurato l’erroneità del rigetto, contenuto nella
sentenza appellata, dell’eccezione di nullità per difetto di forma scritta dei
rapporti di conto corrente e di mutuo dalla stessa sollevata in primo grado.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 25 marzo 2019 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

In tema di concorrenza sleale confusoria, il giudizio di somiglianza tra segni distintivi, ancorché non oggetto di registrazione, deve essere effettuato in via d’insieme, tenendo conto della percezione del consumatore medio di riferimento, avuto riguardo all’impressione complessiva prodotta dai segni, del livello di attenzione variabile a seconda del tipo di servizio correlato e del fatto che il consumatore non effettua un confronto diretto tra i segni, bensì mnemonico.

In ipotesi di identità geografica e merceologica del mercato di riferimento, tenuto conto della particolarità del tipo di “consumatore” cui sono destinati i servizi e del suo scarso livello di attenzione sul segno distintivo (trattandosi, nel caso di specie, di pazienti di due poliambulatori operanti in un ambito territoriale circoscritto), la discordanza di una sola lettera tra gli acronimi inseriti nei segni figurativi utilizzati nelle insegne e nel materiale pubblicitario da imprese concorrenti apporta una differenza marginale, tale da passare inosservata agli occhi del destinatario dei servizi, per il quale quindi si determina in concreto un rischio di confusione e di indebita associazione.

Il rischio di confusione e associazione tra segni distintivi integra di per sé un pregiudizio imminente e irreparabile, essendo astrattamente idoneo a cagionare la diluzione della forza attrattiva del segno già noto nel mercato di riferimento, sicché, laddove accertato, possono ritenersi sussistenti i requisiti necessari per la concessione della misura cautelare dell’inibitoria.

La fattispecie dello storno di dipendenti presuppone modalità di reclutamento, sotto il profilo qualitativo e quantitativo, abnormi, ossia tali da eccedere i normali limiti di tollerabilità. In particolare, laddove non risulti che l’impresa stornata abbia dovuto sostenere ingenti sforzi aggiuntivi o difficoltà di altro genere al fine di predisporre la riorganizzazione aziendale, deve concludersi che lo storno non abbia dato luogo a una situazione di eccezionalità sotto il profilo gestionale e pertanto non è sanzionabile. A ciò si aggiunga che il requisito necessario ai fini della configurazione della fattispecie di cui all’art. 2598, n. 3, c.c. è l’animus nocendi, in mancanza del quale non può dirsi che la migrazione di professionisti verso un’impresa concorrente possa presentare i tratti di una sottrazione parassitaria di avviamento, non esorbitando i normali limiti della competizione.

L’accertamento della fattispecie dello sviamento di clientela presuppone la dimostrazione dell’esistenza di perdite patrimoniali dell’impresa che ha subito lo sviamento corrispondenti a un equivalente incremento (patrimoniale) dell’impresa concorrente.

Non integra la fattispecie degli atti denigratori di cui all’art. 2598, n. 2, c.c. la diffusione di notizie (in relazione ad un’impresa concorrente) relative all’introduzione di un sistema di prenotazioni mediante call center in luogo del corrispondente servizio offerto dal personale amministrativo, data la mancanza di profili di disvalore sulla qualità dei servizi di impresa. Analoghe considerazioni valgono in ordine alla diffusione della notizia del trasferimento dell’impresa concorrente presso altro indirizzo, in quanto parimenti inidonea ad integrare un atto denigratorio.

Principi espressi nel giudizio di reclamo avverso l’ordinanza emessa all’esito del ricorso ex art. 700 c.p.c. promosso da una s.r.l. nei confronti dell’ex dipendente e della società concorrente, al fine di ottenere la tutela inibitoria e il risarcimento dei danni patiti in conseguenza di condotte contrarie a buona fede e di concorrenza sleale.

Nel dettaglio, la ricorrente/reclamante lamentava lo storno di dipendenti (medici), lo sviamento di clienti (pazienti), la diffusione di informazioni false o denigratorie e l’utilizzo di un segno grafico distintivo idoneo ad ingenerare confusione (costituito da un acronimo).

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 20 marzo 2019 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

In
tema di contratto di locazione finanziaria, l’eventuale invalidità della
clausola relativa al tasso moratorio non si estende a quella relativa all’interesse
corrispettivo, che resta valida e pienamente efficace anche nel caso in cui la prima
risulti nulla perché usuraria.

In
tema di locazione finanziaria, nel caso in cui: a) il costo di acquisto del
bene; b) i tassi applicati, corrispettivi e moratori, c) il numero e l’ammontare
delle rate, fisso ed invariabile per tutta la durata del contratto, salvo
modifiche successive concordate dalle parti; d) il corrispettivo globale del leasing,
dato dalla sommatoria delle rate mensili, e) l’ammontare del corrispettivo dell’opzione
d’acquisto e il regime fiscale applicato al contratto, siano indicati sin dall’origine
del rapporto contrattuale deve ritenersi pienamente soddisfatta la prescrizione
di cui all’art. 117, co. 4, TUB, per la quale devono essere indicati in
contratto “il tasso di interesse applicato e ogni altro prezzo e condizione praticati,
inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di
mora
”, mentre non è richiesta l’esplicita determinazione del TAEG. Infatti
il TAEG e l’ISC non rientrano nel contenuto tipico determinato del contratto di
locazione finanziaria secondo le prescrizioni che la Banca d’Italia ha adottato
in attuazione dell’art. 117, co. 8, TUB.

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso da una s.r.l. nei confronti della società di leasing, con cui
chiedeva la trasformazione del contratto di locazione finanziaria da oneroso a
gratuito ai sensi dell’art. 1815 c.c. per effetto del riscontro dell’usurarietà
del tasso mora e l’accertamento della nullità della clausola relativa al tasso
di interesse.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Decreto del 7 marzo 2019 – Presidente: dott.ssa Simonetta Bruno – Giudice relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Ai sensi dell’art. 161 l.f. la domanda di ammissione al concordato preventivo deve indicare l’utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore; in caso di concordato con continuità indiretta, essa consiste nelle favorevoli conseguenze per la massa dei creditori derivanti dall’affitto e cessione unitaria dell’azienda, più vantaggiosi della liquidazione atomistica dei singoli beni e in grado di preservarne l’avviamento commerciale.

In ossequio a quanto disposto dall’art. 182-ter l.f., se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria il trattamento non può essere differente in caso di suddivisione dei creditori in classi, rispetto a quello dei creditori per i quali è previsto un trattamento più favorevole.

Principi espressi in sede di ammissione al concordato preventivo con continuità indiretta; tuttavia, essendo stata presentata un’offerta di acquisto di azienda da parte dell’affittuario, è stata disposta l’apertura di un procedimento competitivo ex art. 163-bis l.f. anche con riferimento all’affitto dell’azienda.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Ordinanza del 1° marzo 2019, n. 225 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

Di regola il trasferimento di risorse dalla capogruppo a favore di società controllate, sottoposte a comune attività di direzione e coordinamento, non determina di per sé un depauperamento patrimoniale a danno della capogruppo, laddove il conseguente incremento di valore delle partecipate trovi adeguata rappresentazione nel bilancio della controllante. A differenza, dunque, dei trasferimenti di risorse “verso l’alto”, ossia dalle controllate in favore della capogruppo, laddove i rischi di sottrazione di valore e di distrazione patrimoniale sono insiti nella natura dell’operazione e richiedono perciò la configurazione di vantaggi compensativi, nel caso opposto l’apporto finanziario a sostegno delle società del gruppo, a prescindere dalla veste in concreto assunta (versamento in conto capitale ovvero copertura di perdite), in assenza di profili di anormalità non può essere sindacato ex post e riqualificato.

In tema di sequestro conservativo (richiesto ante causam) a fronte dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., qualora le operazioni contestate (agli amministratori) siano caratterizzate dal conflitto di interessi e siano altresì qualificabili come “operazioni personali”, in quanto aventi per oggetto (e per effetto) quello di mettere a disposizione dei soci e amministratori (o comunque di soggetti a loro correlati in quanto familiari o titolari di cariche all’interno di società del gruppo) beni aziendali per finalità personali, l’onere di provare la congruità delle operazioni incombe sugli amministratori, stante una presunzione semplice di iniquità delle condizioni praticate, derivante dalle predette circostanze.

Ai fini della concessione del sequestro conservativo ante causam, il requisito del periculum in mora può essere integrato, in via anche alternativa, sia da elementi oggettivi, riguardanti la consistenza del patrimonio del debitore sotto il profilo qualitativo (ad esempio liquidità dei beni ivi inclusi) e quantitativo, in rapporto all’entità del credito fatto valere, sia da elementi soggettivi, connessi al comportamento del debitore, laddove quest’ultimo agisca con modalità tali da evidenziare la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento.

I principi sono stati espressi nei giudizi di reclamo (poi riuniti) promossi dagli amministratori (e soci) di una società per azioni, poi fallita, avverso l’ordinanza pronunciata ante causam, strumentale all’avvio dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., che aveva concesso il sequestro conservativo di tutti i beni ed i crediti di cui questi erano titolari. 

Sotto il profilo del fumus boni iuris, l’ordinanza attribuiva rilevanza alle seguenti contestazioni: (i) l’erogazione di finanziamenti da parte della capogruppo in favore di società controllate, seguiti dalla rinuncia alla restituzione delle somme finanziate; (ii) l’omessa riscossione dei canoni di locazione dell’immobile locato ad alcuni dei reclamanti e a persone legate all’altro amministratore da rapporti di parentela, stante il conflitto di interessi ravvisabile in capo agli amministratori/reclamanti; (iii) la prosecuzione dell’attività a dispetto dell’avvenuta perdita del capitale sociale, occultata mediante l’inserimento a bilancio di poste contabili attive fittizie o comunque erronee.

Sotto il profilo del periculum in mora, l’ordinanza cautelare risultava motivata, sul piano oggettivo, dal carattere ingente dei danni cagionati dagli amministratori alla società e ai creditori e dalla consistenza qualitativa dei loro patrimoni, peraltro sproporzionati rispetto all’importo dei presumibili danni sino alla concorrenza del quale la misura cautelare veniva concessa, e, sul piano soggettivo, dall’atteggiamento dei resistenti, orientato al perseguimento di interessi personali a discapito di quelli societari.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 22 febbraio 2019 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In assenza di puntuali disposizioni relative alle modalità di convocazione dei soci di s.n.c. nei patti sociali e nella disciplina codicistica, non può trovare accoglimento la domanda di sospensione e/o di annullamento della delibera di scioglimento anticipato di una s.n.c. per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale e di nomina del liquidatore, né la domanda di revoca di detta nomina, formulate da un socio lamentando un insufficiente preavviso e contestando la scelta del luogo di convocazione, posto fuori dal Comune della sede legale della società.

L’abuso o eccesso di potere può costituire motivo di invalidità di una delibera assembleare quando vi sia la prova che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, oppure risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell’esecuzione del contratto (conf. Cass. n. 1361/2011).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso con ricorso ex art. 700 c.p.c. dal socio di minoranza di una società in nome collettivo nei confronti della società medesima e del socio di maggioranza, con cui il primo chiedeva di sospendere l’efficacia e/o di annullare la delibera di scioglimento anticipato della società per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale e di nomina del liquidatore, nonché di revocare detta nomina e, comunque, di disporre ogni altro provvedimento d’urgenza idoneo ad eliminare il pregiudizio subito. In particolare, il socio lamentava l’invalidità dell’atto sulla base di doglianze in punto di insufficiente preavviso e di scelta del luogo di convocazione.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 25 gennaio 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

In difetto di espressa previsione legislativa, la chiamata in garanzia di un soggetto avente personalità giuridica di diritto straniero non può determinare l’incompetenza sopravvenuta del tribunale correttamente adito secondo i criteri di competenza di cui al d.lgs. n. 168/2003, né con riferimento alla causa di garanzia, ove la chiamata del terzo sia stata autorizzata dal giudice al fine di realizzare il simultaneus processus, né tantomeno in relazione alla causa principale, rispetto alla quale la società straniera non è neppure parte.

Principi espressi in ipotesi di rigetto dell’eccezione di incompetenza formulata da parte convenuta, in ipotesi, una s.r.l., nel giudizio di contraffazione promosso nei suoi confronti; la convenuta, in particolare, aveva eccepito l’incompetenza territoriale del tribunale adito secondo gli ordinari criteri di cui al d.lgs. n. 168/2003, a seguito della chiamata in garanzia del terzo produttore, nel caso di specie, una società di diritto tedesco.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 21 gennaio 2019 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

La
banca che intenda far valere un credito derivante da un rapporto di conto
corrente deve provare l’andamento dello stesso per l’intera durata del rapporto,
dal suo inizio e senza cesure di continuità.

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso da una s.p.a. in liquidazione e concordato preventivo contro
la sentenza di primo grado che aveva respinto l’opposizione promossa dalla
medesima società avverso il decreto ingiuntivo emesso dal tribunale in favore
di una banca.

In particolare, l’appellante chiedeva che fosse
dichiarato illegittimo il decreto ingiuntivo in quanto emesso in assenza di
prova scritta idonea.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 9 gennaio 2019 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere estensore: Dott. Giuseppe Magnoli

Il
documento sui rischi in generale è finalizzato a rendere consapevole il
potenziale investitore dei rischi cui potrà andare incontro nel prosieguo del
rapporto e descrive, tra l’altro, i rischi correlati all’investimento in
strumenti finanziari. Da tale documento non può evincersi la caratterizzazione
del rischio correlata ad ogni singolo ordine di investimento, perché la sua funzione
è soltanto quella di fornire informazioni di base sui rischi connessi agli investimenti
e alle gestioni. La consegna del documento generale sui rischi non può quindi,
da sé sola, fornire la prova dell’intervenuto adempimento degli obblighi di
informazione posti a carico dell’intermediario.

Con
riguardo all’intermediazione finanziaria, l’affermazione o la negazione della
validità dei rapporti contrattuali e della responsabilità dell’intermediario
non possono emergere mediante indagine peritale, bensì sulla base dei soli
elementi probatori acquisiti al giudizio, ex art. 115 c.p.c., su impulso
delle parti (prova orale e documentale).

In tema di intermediazione finanziaria, il requisito
della forma scritta del contratto–quadro, posto, a pena di nullità (azionabile
dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs n. 58 del 1998, va inteso non in senso
strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore
assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il
contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed
è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella
dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di
comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (Vedi Cass., SS.UU., n. 898 del
16 gennaio 2018)

La
validità dei contratti-quadro e delle relative integrazioni inerenti alle
operazioni in strumenti finanziari derivati deve essere valutata sulla base del
contenuto degli accordi così come risultanti nei contratti stessi, e non dell’attuazione,
o meno, di quanto in essi stabilito ed in generale di quanto previsto a carico
dell’intermediario come obbligazione di legge. L’eventuale inadempimento
infatti attiene al profilo funzionale della causa, non a quello genetico, e
pertanto incide sul piano della responsabilità contrattuale, e non su quello
della validità del negozio giuridico.

Il
fatto che la banca gestisca gli ordini vendendo i derivati e finanziando l’investitore
per il loro acquisto, così come la pluralità dei ruoli assunti dall’intermediario
per la compresenza di attività di consulenza, ricezione di ordini ed eventuale
finanziamento per la formazione della relativa provvista, non fa di per sé
presumere la sussistenza di interessi in conflitto rispetto a quelli dell’investitore.

Principi espressi a seguito
dell’impugnazione, da parte del cliente di un istituto di credito, della
sentenza del tribunale che aveva rigettato la domanda di
nullità, o comunque di invalidità, del
contratto quadro stipulato con la banca e di tutti i negozi e operazioni
relativi, nonché la domanda subordinata di risoluzione di detti negozi per
inadempimento dell’istituto di credito.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Decreto dell’8 gennaio 2019 – Presidente: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Nella procedura di verifica dei crediti e nel conseguente giudizio di opposizione allo stato passivo il curatore fallimentare agisce in qualità di terzo sia rispetto ai creditori del fallito che richiedono l’ammissione al passivo, sia rispetto allo stesso fallito, ragion per cui non è applicabile nei suoi confronti l’art. 2709 c.c., secondo cui i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, essendo detto articolo invocabile solo nei rapporti fra i contraenti o i loro successori, fra i quali ultimi non è annoverabile il curatore nell’esercizio della funzione istituzionale di formazione dello stato passivo (conf. Cass. 15.03.2005, n. 5582).

Per tale motivo non può essere deferito al curatore il giuramento decisorio vertente su una circostanza che risulterebbe dalle scritture contabili del fallito, posto che le risultanze di queste non potrebbero avere portata “decisoria”, non essendo in grado di definire il giudizio.

Principi espressi in ipotesi di rigetto di opposizione allo stato passivo. Il Tribunale ha escluso l’ammissibilità della richiesta di deferire il giuramento decisorio al curatore fallimentare, affermando che, anche qualora venisse accertata la circostanza dedotta nel capo del giuramento deferito al curatore, la stessa non avrebbe portata “decisoria” e non sarebbe in grado di definire il giudizio, dato che il curatore, nell’esercizio delle sue funzioni, è in una posizione di terzietà rispetto ai creditori ed al fallito.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)