Decreto del 24 luglio 2019 – Presidente: Dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: Dott. Stefano Franchioni

Nell’ambito del giudizio di opposizione allo stato passivo, le domande svolte, in via subordinata, dalla curatela per la rideterminazione dell’ammontare del credito ammesso dal giudice delegato non sono ammissibili, in quanto il curatore che intenda contestare l’accertamento del giudice delegato deve impugnare lo stato passivo nel termine di rito, non essendo sufficiente la proposizione di una mera eccezione sul punto nel giudizio di opposizione promosso dal creditore istante (conf. Cass., 20 aprile 2018, n. 9928).

Il mutuo è un contratto di natura reale che si perfeziona con la consegna di una determinata quantità di danaro (o di altre cose fungibili) ovvero con il conseguimento della giuridica disponibilità di questa da parte del mutuatario; ne consegue che la tradito rei può essere realizzata attraverso l’accreditamento in conto corrente della somma mutuata a favore del mutuatario, perché in tal modo il mutuante crea, con l’uscita delle somme dal proprio patrimonio, un autonomo titolo di disponibilità in favore del mutuatario (conf. Cass., 21 febbraio 2001, n. 2483).

Il curatore fallimentare che intenda promuovere l’azione revocatoria ordinaria, per dimostrare la sussistenza dell’eventus damni,ha l’onere di provare tre circostanze: (a) la consistenza del credito vantato dai creditori ammessi al passivo nei confronti del fallito; (b) la preesistenza delle ragioni creditorie rispetto al compimento dell’atto pregiudizievole; (c) il mutamento qualitativo o quantitativo del patrimonio del debitore per effetto di tale atto (conf. Cass., 31 ottobre 2008, n. 26331).

Principi espressi nell’ambito di un procedimento di opposizione allo stato passivo in cui il creditore insisteva per l’ammissione del credito al passivo in via privilegiata ipotecaria. Si costituiva il fallimento chiedendo il rigetto dell’opposizione e la conferma dell’ammissione del creditore al passivo in via chirografaria.

(Massime a cura di Giulia Ballerini)




Decreto del 22 luglio 2019 – Giudice estensore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

La procedura di liquidazione del patrimonio, pur instaurandosi ad istanza del debitore, una volta avviata non rientra più nella sfera di disponibilità della parte istante, rilevando interessi di natura pubblicistica alla sua prosecuzione, con conseguente inammissibilità della domanda di rinuncia alla liquidazione.

Principio espresso nel contesto della procedura di liquidazione del patrimonio ex articolo 14-ter e seguenti della legge 3 del 2012 (in materia di sovraindebitamento).

(Massima a cura di Giovanni Fumarola)




Sentenza del 10 luglio 2019 – Presidente estensore: Dott. Giuseppe Magnoli

In
caso di leasing c.d. traslativo, è applicabile la disciplina dell’art.
1526 c.c., cosicché, laddove una clausola delle condizioni generali di
contratto preveda l’acquisizione definitiva
in capo al concedente dei canoni già riscossi, la situazione è certamente da
ricondursi a quella descritta dal secondo comma della norma citata. Pertanto,
non è ammissibile la domanda di restituzione dei canoni corrisposti, che
vengono trattenuti a titolo di indennità, potendo l’utilizzatore chiedere
esclusivamente la riduzione dell’indennità convenuta, se eccessiva.

Principi espressi a seguito dell’appello proposto
dal curatore del fallimento di un’impresa utilizzatrice avverso la sentenza del
Tribunale che, dopo aver dichiarato la risoluzione del contratto di leasing
per inadempimento di quest’ultima, aveva disatteso la domanda dalla stessa
formulata, volta ad ottenere la restituzione dei canoni pagati.

(Massima
a cura di Lorena Fanelli)




Sentenza del 9 luglio 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Davide Scaffidi

Il soggetto, che anche al di fuori dell’orario lavorativo, apporti modifiche di qualsivoglia genere al codice sorgente di un programma per elaboratore, non può reclamare la paternità del medesimo, potendo al più ritenersi coautore o autore delle modifiche apportate con le successive versioni, sì che la paternità dell’opera spetta in ogni caso al datore di lavoro.

La contraffazione del software può integrare altresì un atto di concorrenza sleale per violazione dei principi della correttezza professionale ex art. 2598 n. 3 c.c. allorquando l’imprenditore che si appropri ingiustificatamente del contenuto di un omologo programma altrui realizza una forma di concorrenza sleale parassitaria, avvantaggiandosi indebitamente dei risultati dell’impresa concorrente senza aver sostenuto corrispondenti oneri economici e gestionali, connessi a investimenti, organizzazione del lavoro e ricerca che sono normalmente sottesi all’elaborazione di qualsiasi software.

I programmi per elaboratore sono stati qualificati dal legislatore alla stregua delle opere letterali, come tali soggetti alla disciplina in materia di diritto d’autore, e non di proprietà intellettuale. Pertanto, non può accordarsi la tutela offerta dall’art. 98 c.p.i.

Decisione resa con riferimento al software, sviluppato da un dipendente in prossimità della cessazione del suo rapporto di lavoro con una società, commercializzato poi da altra società della quale tale ex dipendente diveniva collaboratore, prima e amministratore, poi; software asseritamente plagio di altro analogo già sviluppato e commercializzato dalla prima società.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)




Sentenza del 24 giugno 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott.ssa Alessia Busato

Nell’ambito di una società a responsabilità limitata, deve ritenersi che gli amministratori nominati a tempo indeterminato possano essere revocati in ogni tempo e ciò in applicazione analogica della disciplina generale di cui all’art. 1725 cod. civ. in tema di revoca del mandato oneroso, salvo il diritto dell’amministratore revocato in assenza di giusta causa ad un congruo preavviso, la cui omissione determina solo ragioni risarcitorie in capo all’amministratore.

L’abuso o eccesso di potere può costituire motivo di invalidità della delibera assembleare, quando vi sia la prova che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere interessi degli altri soci, oppure risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell’esecuzione del contratto.

In tema di delibere di nomina (o revoca) dei componenti dell’organo amministrativo, ciascun socio è libero di nominare amministratori di propria fiducia e gradimento, senza che ciò comporti, di regola, il perseguimento di un interesse “personale antitetico a quello sociale” mentre gli amministratori nominati dall’assemblea della società debbono, a loro volta, adempiere il loro mandato nel rispetto di precisi obblighi e responsabilità (stabiliti nell’interesse della società amministrata).

Principi espressi nel decidere una controversia avente ad oggetto la rimozione – asseritamente senza giusta causa – di un amministratore della società con delega alla redazione delle scritture contabili dalle quali non emergeva un credito della società medesima nei confronti di altra società unipersonale del predetto amministratore delegato. Parte attrice chiedeva la rimozione della delibera assunta, a suo dire, con abuso di potere della maggioranza e che aveva ad oggetto non soltanto la rimozione dell’amministratore “infedele” ma anche la nomina di un amministratore unico il quale sarebbe stato nominato solo formalmente, come avrebbe dovuto emergere dalla durata ed il compenso dell’incarico previsti, così da lasciare la gestione di fatto della società ad altro soggetto.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)




Sentenza del 24 giugno 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Relatore: dott.ssa Alessia Busato

In assenza di limitazioni convenzionali, il soggetto che sia stato amministratore ovvero dipendente di una società può ben intraprendere un’attività lavorativa nel medesimo settore nel quale operava quale amministratore ovvero dipendente, così da non veder azzerata la professionalità acquisita e senza che ciò costituisca violazione del divieto di concorrenza.

Non può ritenersi contrario a correttezza il fatto che il soggetto già amministratore ovvero dipendente intrattenga rapporti commerciali con un cliente della società nel quale operava quale amministratore ovvero dipendente, qualora non vi sia la prova che tali rapporti siano conseguenza di un diverso comportamento scorretto (derivante ad esempio dall’acquisizione di notizie riservate, da attività denigratoria o altro).

L’acquisizione di un numero irrisorio di clienti parametrato al totale di quelli della società asseritamente svantaggiata non può qualificarsi quale sviamento della clientela, specialmente in assenza di qualsivoglia comportamento idoneo a svantaggiare l’impresa altrui.

Principi espressi in una vertenza in materia di atti di concorrenza sleale ex art. 2598 co. 3 c.c. nella quale, secondo parte attrice, i convenuti avrebbero perpetrato a danno della stessa una serie di atti incompatibili con la precedente carica di amministratore della società attrice e con la successiva qualità di amministratore unico e socio di altra società concorrente. Il difetto di allegazione probatoria e l’assenza di un qualunque danno causalmente imputabile ai convenuti, hanno indotto la corte a decidere nel senso di rigettare tutte le domande attoree.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)




Decreto del 20 giugno 2019 – Presidente relatore: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera

Nel procedimento di concordato fallimentare la proposta che prevede la formazione di classi, prima di essere comunicata ai creditori ai fini del voto, va sottoposta al giudizio del Tribunale ex art. 125, terzo comma, l.f., affinché verifichi il corretto utilizzo dei criteri di cui all’articolo 124, secondo comma, lettere a) e b), l.f., tenendo conto della relazione resa ai sensi del terzo comma della norma da ultimo citata.

Nel procedimento di concordato fallimentare la formazione delle classi in senso giuridico, ai fini del voto, rileva per la suddivisione dei soli creditori chirografari, ab origine o declassati (conf. Trib. Milano 5.3.2012).

Principi espressi ai sensi dell’art. 125, co. 3, l. f. in un procedimento di concordato fallimentare nel quale il Tribunale ha dichiarato non corretta la formazione di classi con riferimento ai creditori privilegiati in quanto la proposta non avrebbe configurato delle classi in senso tecnico-giuridico, ma delle categorie di creditori privilegiati soddisfatti in percentuali diverse.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 10 giugno 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott.ssa Alessia Busato

Nel caso di valutazione peritale del patrimonio sociale, finalizzato alla determinazione del prezzo unitario azionario prodromico alla cessione di partecipazioni, la parte pienamente informata in merito a tutte le circostanze di rilievo che possono incidere sulla valutazione della consistenza patrimoniale della società non può lamentare alcuna condotta decettiva dell’alienante parimenti informato.

Nel caso in cui parte di un contratto di cessione di partecipazioni azionarie sia un membro dell’organo gestorio della società, questi non può lamentare un comportamento decettivo perpetrato da altra parte contrattuale che sia anch’essa membro dell’organo gestorio. Infatti, gli obblighi informativi posti dall’ordinamento in capo ai componenti l’organo gestorio di una società di capitali lasciano intendere che questi debbano essere pienamente informati circa la consistenza patrimoniale della società il cui bilancio concorrono a redigere.

Decisione resa con riferimento alla cessione di partecipazioni azionarie al prezzo, concordato tra le parti del negozio di cessione, pari al rapporto tra titoli in circolazione e patrimonio sociale. La valutazione fatta del patrimonio sociale, tuttavia, ha tenuto in considerazione un credito già allora inesigibile in concreto per essere la società debitrice in stato di insolvenza. Tuttavia, gli acquirenti erano membri del consiglio d’amministrazione della società le cui azioni hanno rappresentato oggetto di cessione e, pertanto, devono reputarsi pienamente informati quanto alle circostanze di rilievo che possono incidere sulla valutazione della consistenza patrimoniale della società.

(Massima a cura di Demetrio Maltese)




Sentenza del 7 giugno 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

Ai fini del riconoscimento della responsabilità degli amministratori di società di capitali, poi fallita, per l’aggravamento del dissesto patrimoniale in conseguenza dell’omessa adozione dei provvedimenti di cui all’art. 2482-ter c.c., l’operazione sociale “nuova”, ossia incompatibile con un’opera di “mero completamento”, che abbia portata quantitativamente e qualitativamente rilevante, deve considerarsi estranea alla prospettiva liquidatoria, in quanto non funzionale alla liquidazione del patrimonio sociale, sicché l’eventuale pregiudizio che possa derivarne in capo alla società e ai creditori sociali deve ritenersi causalmente e soggettivamente imputabile agli amministratori.

Ai fini dell’accertamento della responsabilità degli amministratori per condotte distrattive, deve ritenersi rilevante l’operazione che sia connotata da significativi indici di anomalia, quali, esemplarmente, la complessità dell’operazione sul piano soggettivo, la modalità di pagamento (nel caso di specie, tramite “partite di giro contabili”, senza movimentazioni finanziarie) e il momento di conclusione dell’operazione, successivo al deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo. D’altra parte, una fattispecie distrattiva non sanzionabile penalmente può nondimeno rilevare sotto il profilo delle conseguenze civili nell’ambito delle quali la negligenza e l’imprudenza costituiscono atteggiamenti soggettivi sufficienti a radicare la responsabilità dell’amministratore.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso dalla curatela fallimentare di una società a responsabilità limitata nei confronti degli amministratori in conseguenza: (i) della mancata adozione delle misure previste dalla legge agli artt. 2482-bis e 2482-ter c.c. in ipotesi di perdita del capitale sociale; (ii) della prosecuzione dell’attività aziendale nonostante la perdita del capitale sociale; (iii) di condotte distrattive, quali la distrazione di cespiti aziendali presenti nell’inventario e non rinvenuti e la cessione di un credito Iva a favore del socio di maggioranza senza contropartita alcuna; (iv) dell’errata tenuta delle scritture contabili.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 7 giugno 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

Nel giudizio promosso dal socio in opposizione alla delibera di esclusione della società, quest’ultima assume veste sostanziale di parte istante per la risoluzione del rapporto ed è, per l’effetto, tenuta a provare il fatto specifico in base al quale risulti adottata quella deliberazione, senza poter invocare in giudizio, a sostegno della legittimità della medesima, fatti distinti e diversi, ancorché potenzialmente idonei a giustificare l’interruzione del rapporto societario (conf. Trib. Milano 15.03.2017).

La deliberazione di esclusione del socio di società cooperativa deve rispondere ai canoni dell’autonomia e della completezza, nel senso che dal suo contenuto devono emergere i fatti specifici oggetto dell’addebito. La delibera di esclusione di un socio di società cooperativa, per le gravi conseguenze che ne derivano e che investono la stessa qualità di socio, richiede chiarezza e, in particolare, la precisa enunciazione dei fatti addebitabili a fondamento dell’esclusione. Pertanto, il provvedimento deve essere univoco ed autonomo, senza che sia necessario un collegamento con elementi desumibili in altro modo (conf. Trib. Roma 26.01.2018; conf. Cass. n. 4402/2017 e n. 22097/2013).

In ipotesi di opposizione del socio di società cooperativa avverso la deliberazione di esclusione, trattandosi di delibera che incide sui diritti individuali del socio medesimo, il rimedio applicabile è l’annullamento.

I principi sono stati espressi nel giudizio di opposizione promosso, ai sensi dell’art. 2533 c.c., dal socio di società cooperativa avverso la deliberazione di esclusione adottata dal consiglio di amministrazione della società medesima.

Al riguardo, il socio escluso deduceva la nullità delle comunicazioni pervenutegli in quanto generiche e prive di qualsivoglia riferimento agli addebiti oggetto di contestazione.

Inoltre, l’attore lamentava l’invalidità della deliberazione in quanto il provvedimento di esclusione sarebbe stato adottato sulla base di motivazioni infondate.

Sul punto il Tribunale, in accoglimento dell’opposizione, ha annullato la deliberazione consiliare nella parte in cui disponeva l’esclusione del socio.

(Massima a cura di Marika Lombardi)