Ordinanza del 1° marzo 2019, n. 225 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

Di regola il trasferimento di risorse dalla capogruppo a favore di società controllate, sottoposte a comune attività di direzione e coordinamento, non determina di per sé un depauperamento patrimoniale a danno della capogruppo, laddove il conseguente incremento di valore delle partecipate trovi adeguata rappresentazione nel bilancio della controllante. A differenza, dunque, dei trasferimenti di risorse “verso l’alto”, ossia dalle controllate in favore della capogruppo, laddove i rischi di sottrazione di valore e di distrazione patrimoniale sono insiti nella natura dell’operazione e richiedono perciò la configurazione di vantaggi compensativi, nel caso opposto l’apporto finanziario a sostegno delle società del gruppo, a prescindere dalla veste in concreto assunta (versamento in conto capitale ovvero copertura di perdite), in assenza di profili di anormalità non può essere sindacato ex post e riqualificato.

In tema di sequestro conservativo (richiesto ante causam) a fronte dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., qualora le operazioni contestate (agli amministratori) siano caratterizzate dal conflitto di interessi e siano altresì qualificabili come “operazioni personali”, in quanto aventi per oggetto (e per effetto) quello di mettere a disposizione dei soci e amministratori (o comunque di soggetti a loro correlati in quanto familiari o titolari di cariche all’interno di società del gruppo) beni aziendali per finalità personali, l’onere di provare la congruità delle operazioni incombe sugli amministratori, stante una presunzione semplice di iniquità delle condizioni praticate, derivante dalle predette circostanze.

Ai fini della concessione del sequestro conservativo ante causam, il requisito del periculum in mora può essere integrato, in via anche alternativa, sia da elementi oggettivi, riguardanti la consistenza del patrimonio del debitore sotto il profilo qualitativo (ad esempio liquidità dei beni ivi inclusi) e quantitativo, in rapporto all’entità del credito fatto valere, sia da elementi soggettivi, connessi al comportamento del debitore, laddove quest’ultimo agisca con modalità tali da evidenziare la sua intenzione di sottrarsi all’adempimento.

I principi sono stati espressi nei giudizi di reclamo (poi riuniti) promossi dagli amministratori (e soci) di una società per azioni, poi fallita, avverso l’ordinanza pronunciata ante causam, strumentale all’avvio dell’azione di responsabilità ex art. 146 l. fall., che aveva concesso il sequestro conservativo di tutti i beni ed i crediti di cui questi erano titolari. 

Sotto il profilo del fumus boni iuris, l’ordinanza attribuiva rilevanza alle seguenti contestazioni: (i) l’erogazione di finanziamenti da parte della capogruppo in favore di società controllate, seguiti dalla rinuncia alla restituzione delle somme finanziate; (ii) l’omessa riscossione dei canoni di locazione dell’immobile locato ad alcuni dei reclamanti e a persone legate all’altro amministratore da rapporti di parentela, stante il conflitto di interessi ravvisabile in capo agli amministratori/reclamanti; (iii) la prosecuzione dell’attività a dispetto dell’avvenuta perdita del capitale sociale, occultata mediante l’inserimento a bilancio di poste contabili attive fittizie o comunque erronee.

Sotto il profilo del periculum in mora, l’ordinanza cautelare risultava motivata, sul piano oggettivo, dal carattere ingente dei danni cagionati dagli amministratori alla società e ai creditori e dalla consistenza qualitativa dei loro patrimoni, peraltro sproporzionati rispetto all’importo dei presumibili danni sino alla concorrenza del quale la misura cautelare veniva concessa, e, sul piano soggettivo, dall’atteggiamento dei resistenti, orientato al perseguimento di interessi personali a discapito di quelli societari.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 22 febbraio 2019 – Giudice designato: Dott. Lorenzo Lentini

In assenza di puntuali disposizioni relative alle modalità di convocazione dei soci di s.n.c. nei patti sociali e nella disciplina codicistica, non può trovare accoglimento la domanda di sospensione e/o di annullamento della delibera di scioglimento anticipato di una s.n.c. per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale e di nomina del liquidatore, né la domanda di revoca di detta nomina, formulate da un socio lamentando un insufficiente preavviso e contestando la scelta del luogo di convocazione, posto fuori dal Comune della sede legale della società.

L’abuso o eccesso di potere può costituire motivo di invalidità di una delibera assembleare quando vi sia la prova che il voto determinante del socio di maggioranza è stato espresso allo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, oppure risulta in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione del canone generale di buona fede nell’esecuzione del contratto (conf. Cass. n. 1361/2011).

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso con ricorso ex art. 700 c.p.c. dal socio di minoranza di una società in nome collettivo nei confronti della società medesima e del socio di maggioranza, con cui il primo chiedeva di sospendere l’efficacia e/o di annullare la delibera di scioglimento anticipato della società per impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale e di nomina del liquidatore, nonché di revocare detta nomina e, comunque, di disporre ogni altro provvedimento d’urgenza idoneo ad eliminare il pregiudizio subito. In particolare, il socio lamentava l’invalidità dell’atto sulla base di doglianze in punto di insufficiente preavviso e di scelta del luogo di convocazione.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Ordinanza del 25 gennaio 2019 – Presidente: dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: dott. Lorenzo Lentini

In difetto di espressa previsione legislativa, la chiamata in garanzia di un soggetto avente personalità giuridica di diritto straniero non può determinare l’incompetenza sopravvenuta del tribunale correttamente adito secondo i criteri di competenza di cui al d.lgs. n. 168/2003, né con riferimento alla causa di garanzia, ove la chiamata del terzo sia stata autorizzata dal giudice al fine di realizzare il simultaneus processus, né tantomeno in relazione alla causa principale, rispetto alla quale la società straniera non è neppure parte.

Principi espressi in ipotesi di rigetto dell’eccezione di incompetenza formulata da parte convenuta, in ipotesi, una s.r.l., nel giudizio di contraffazione promosso nei suoi confronti; la convenuta, in particolare, aveva eccepito l’incompetenza territoriale del tribunale adito secondo gli ordinari criteri di cui al d.lgs. n. 168/2003, a seguito della chiamata in garanzia del terzo produttore, nel caso di specie, una società di diritto tedesco.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 21 gennaio 2019 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere relatore: Dott. Giuseppe Magnoli

La
banca che intenda far valere un credito derivante da un rapporto di conto
corrente deve provare l’andamento dello stesso per l’intera durata del rapporto,
dal suo inizio e senza cesure di continuità.

I principi sono stati espressi nel giudizio di
appello promosso da una s.p.a. in liquidazione e concordato preventivo contro
la sentenza di primo grado che aveva respinto l’opposizione promossa dalla
medesima società avverso il decreto ingiuntivo emesso dal tribunale in favore
di una banca.

In particolare, l’appellante chiedeva che fosse
dichiarato illegittimo il decreto ingiuntivo in quanto emesso in assenza di
prova scritta idonea.

(Massima
a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 9 gennaio 2019 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere estensore: Dott. Giuseppe Magnoli

Il
documento sui rischi in generale è finalizzato a rendere consapevole il
potenziale investitore dei rischi cui potrà andare incontro nel prosieguo del
rapporto e descrive, tra l’altro, i rischi correlati all’investimento in
strumenti finanziari. Da tale documento non può evincersi la caratterizzazione
del rischio correlata ad ogni singolo ordine di investimento, perché la sua funzione
è soltanto quella di fornire informazioni di base sui rischi connessi agli investimenti
e alle gestioni. La consegna del documento generale sui rischi non può quindi,
da sé sola, fornire la prova dell’intervenuto adempimento degli obblighi di
informazione posti a carico dell’intermediario.

Con
riguardo all’intermediazione finanziaria, l’affermazione o la negazione della
validità dei rapporti contrattuali e della responsabilità dell’intermediario
non possono emergere mediante indagine peritale, bensì sulla base dei soli
elementi probatori acquisiti al giudizio, ex art. 115 c.p.c., su impulso
delle parti (prova orale e documentale).

In tema di intermediazione finanziaria, il requisito
della forma scritta del contratto–quadro, posto, a pena di nullità (azionabile
dal solo cliente) dall’art. 23 del d.lgs n. 58 del 1998, va inteso non in senso
strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore
assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il
contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed
è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella
dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di
comportamenti concludenti dallo stesso tenuti (Vedi Cass., SS.UU., n. 898 del
16 gennaio 2018)

La
validità dei contratti-quadro e delle relative integrazioni inerenti alle
operazioni in strumenti finanziari derivati deve essere valutata sulla base del
contenuto degli accordi così come risultanti nei contratti stessi, e non dell’attuazione,
o meno, di quanto in essi stabilito ed in generale di quanto previsto a carico
dell’intermediario come obbligazione di legge. L’eventuale inadempimento
infatti attiene al profilo funzionale della causa, non a quello genetico, e
pertanto incide sul piano della responsabilità contrattuale, e non su quello
della validità del negozio giuridico.

Il
fatto che la banca gestisca gli ordini vendendo i derivati e finanziando l’investitore
per il loro acquisto, così come la pluralità dei ruoli assunti dall’intermediario
per la compresenza di attività di consulenza, ricezione di ordini ed eventuale
finanziamento per la formazione della relativa provvista, non fa di per sé
presumere la sussistenza di interessi in conflitto rispetto a quelli dell’investitore.

Principi espressi a seguito
dell’impugnazione, da parte del cliente di un istituto di credito, della
sentenza del tribunale che aveva rigettato la domanda di
nullità, o comunque di invalidità, del
contratto quadro stipulato con la banca e di tutti i negozi e operazioni
relativi, nonché la domanda subordinata di risoluzione di detti negozi per
inadempimento dell’istituto di credito.

(Massime
a cura di Marika Lombardi)




Decreto dell’8 gennaio 2019 – Presidente: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

Nella procedura di verifica dei crediti e nel conseguente giudizio di opposizione allo stato passivo il curatore fallimentare agisce in qualità di terzo sia rispetto ai creditori del fallito che richiedono l’ammissione al passivo, sia rispetto allo stesso fallito, ragion per cui non è applicabile nei suoi confronti l’art. 2709 c.c., secondo cui i libri e le scritture contabili delle imprese soggette a registrazione fanno prova contro l’imprenditore, essendo detto articolo invocabile solo nei rapporti fra i contraenti o i loro successori, fra i quali ultimi non è annoverabile il curatore nell’esercizio della funzione istituzionale di formazione dello stato passivo (conf. Cass. 15.03.2005, n. 5582).

Per tale motivo non può essere deferito al curatore il giuramento decisorio vertente su una circostanza che risulterebbe dalle scritture contabili del fallito, posto che le risultanze di queste non potrebbero avere portata “decisoria”, non essendo in grado di definire il giudizio.

Principi espressi in ipotesi di rigetto di opposizione allo stato passivo. Il Tribunale ha escluso l’ammissibilità della richiesta di deferire il giuramento decisorio al curatore fallimentare, affermando che, anche qualora venisse accertata la circostanza dedotta nel capo del giuramento deferito al curatore, la stessa non avrebbe portata “decisoria” e non sarebbe in grado di definire il giudizio, dato che il curatore, nell’esercizio delle sue funzioni, è in una posizione di terzietà rispetto ai creditori ed al fallito.

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 21 dicembre 2018 – Presidente relatore: dott. Raffaele Del Porto

A seguito dell’abrogazione dell’art. 33 d.lgs. 5/2003, che prevedeva la trattazione nella forma del procedimento in camera di consiglio, fra le altre, dell’istanza di cui all’art. 2487, 4° comma, c.c., si deve ritenere che la revoca per giusta causa del liquidatore debba essere richiesta tramite l’attivazione di un procedimento contenzioso, ove sia possibile rispettare il contraddittorio pieno sulla giusta causa di revoca, anche in ragione del fatto che la norma da ultimo citata detta una disciplina unitaria per la revoca dei liquidatori, senza distinguere fra quelli di nomina volontaria e quelli di nomina giudiziale.

L’indagine richiesta ai fini della verifica della sussistenza della giusta causa di revoca è assai articolata e impone solitamente accertamenti istruttori di natura alquanto complessa, per i quali la sede naturale è quella del giudizio ordinario di cognizione. La proposizione dell’istanza di revoca del liquidatore nella sede del giudizio ordinario di cognizione non determina alcun pregiudizio al diritto di difesa della parte istante, potendo la stessa ricorrere allo strumento del provvedimento cautelare anticipatorio (anche ante causam) per ottenere la pronuncia di revoca del liquidatore in via urgente (con conseguente nomina di un nuovo liquidatore ai sensi dell’art. 2487, commi 1° o 2°, c.c.).

(Conforme Tribunale di Milano 16.4.2015 e 10.5.2016).

Principi espressi in ipotesi di dichiarazione di inammissibilità di un ricorso, proposto nella forma camerale, con il quale il socio di una s.r.l. chiedeva la revoca per giusta causa del liquidatore della società, nominato ai sensi dell’art. 2487, 2° comma, c.c.

Decr. 21.12.2018

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza del 14 dicembre 2018 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

In tema di contraffazione, costituisce un’indebita interferenza con l’ambito di protezione dei diritti di privativa brevettuale la riproduzione di soluzioni tecniche che assolvono alla medesima funzione e raggiungono lo stesso risultato dell’altrui prodotto attraverso meccanismi funzionalmente equivalenti e strutturalmente omogenei (same function, same way, same result). L’ambito di tutela del brevetto, infatti, non si limita a quanto oggetto di rivendicazione letterale, ma comprende anche elementi equivalenti rispetto a quelli formalmente indicati nella domanda di privativa.

Principi espressi nel giudizio promosso da un’impresa operante nel settore dei componenti di macchine agricole contro un’impresa concorrente per ottenere tutela, inibitoria e risarcitoria, dei propri diritti di privativa sul brevetto europeo con cui è stata rivendicata la priorità della domanda di brevetto italiana.

In particolare, a fondamento delle pretese l’attrice deduceva che il brevetto di sua titolarità, relativo ad un gruppo assale di tipo modulare (particolare tipologia di sospensione idraulica), è stato oggetto di contraffazione da parte della convenuta, avendo quest’ultima esposto in occasione di eventi fieristici un modello di sospensione che presentava gli elementi propri della rivendicazione principale del brevetto di titolarità della ricorrente nonché elementi ulteriori propri delle caratteristiche di cui alle rivendicazioni dipendenti.

(Massima a cura di Marika Lombardi) 




Ordinanza del 12 dicembre 2018 – Giudice designato: dott. Lorenzo Lentini

La tutela cautelare anticipatoria di mero accertamento può ritenersi ammissibile in ipotesi marginali, in cui la stessa risulti indispensabile e indifferibile al fine di eliminare situazioni di incertezza di portata tale da integrare una situazione di gravità potenzialmente determinativa di danni irreversibili;  tale forma di tutela d’urgenza va invece esclusa quando con essa si vuole ottenere lo stesso risultato di certezza sull’assetto dei rapporti giuridici che può essere realizzato esclusivamente mediante un  provvedimento di merito, preferibilmente passato in giudicato. (Conforme a Trib. Brescia, 25.11.2016).

In caso di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p. di azioni di società costituite anteriormente in usufrutto, la legittimazione all’esercizio del diritto di voto spetta all’usufruttuario, non al custode, posto che il sequestro non può assicurare al beneficiario diritti maggiori di quelli derivanti dal bene sequestrato.

Peraltro in ipotesi di sequestro preventivo emesso nell’ambito di indagini in tema di reati tributari, finalizzato alla confisca “per equivalente” del profitto del reato (profitto consistente nel risparmio economico ottenuto dall’ente grazie all’imposta evasa), non sussistono esigenze pubblicistiche tali da motivare l’attribuzione del diritto di voto al custode, poiché ai fini della confisca per equivalente non è richiesto alcun nesso pertinenziale tra il reato e il bene da confiscare, risultando sufficiente che il denaro sequestrato equivalga all’importo corrispondente al profitto del reato. L’insussistenza di tale vincolo pertinenziale non consente di ravvisare alcun elemento di “pericolosità” del bene, tale da imporre una limitazione della sua circolazione e dei diritti dallo stesso derivanti. Una simile circostanza si risolve nella contrapposizione tra interessi di natura (lato sensu) patrimoniale riconducibili a diversi soggetti: da una parte, l’interesse dello Stato a confiscare somme di denaro e beni riconducibili a un amministratore di società coinvolto in un procedimento penale, a prescindere da qualunque nesso tra tali beni e i fatti di cui al procedimento stesso; dall’altra, l’interesse del ricorrente a godere pienamente delle azioni della società legittimamente detenute in usufrutto.

Principi espressi nel giudizio promosso con ricorso ex art. 700 c.p.c. con il quale il socio accomandatario di una s.a.p.a., usufruttuario di un numero di azioni pari al 90% del capitale della società, chiedeva di accertare la sua legittimazione, ex art. 2352, 1° comma, c.c., all’esercizio del diritto di voto relativo  a parte delle azioni costituite in usufrutto a suo favore ed  oggetto di sequestro preventivo ex art. 321 c.p.p.

Sotto il profilo del periculum in mora, il ricorrente evidenziava che tale situazione aveva determinato l’impossibilità di deliberare per tre riunioni consecutive in attesa di un chiarimento in ordine al contrasto sulla titolarità del diritto di voto.

Rilevato che non vi era una situazione di “stallo”, poiché i soci avevano deciso prudenzialmente di rinviare i lavori in attesa di un chiarimento giudiziale, e che la decisione sulla legittimazione al voto compete alla società in persona del soggetto che presiede l’assemblea, nella specie coincidente con il ricorrente, sicché il rischio dell’esercizio del diritto di voto da parte del custode appare ipotetico, il Tribunale ha dichiarato il ricorso inammissibile non sussistendo una situazione di gravità tale da richiedere un provvedimento di accertamento cautelare.

Il Tribunale,  esaminando il fumus del ricorso per decidere sulla liquidazione delle spese del giudizio, ha rilevato che il diritto di voto spettava fin dalla costituzione dell’usufrutto all’usufruttuario, motivo per il quale non vi poteva essere conflitto tra custode e usufruttuario, conflitto ritenuto puramente apparente non potendosi attribuire al beneficiario del sequestro preventivo diritti maggiori rispetto a quelli derivanti dal bene sequestrato e non sussistendo neppure un’esigenza pubblicistica idonea a giustificare l’attribuzione del diritto di voto al custode.

Ord. 12.12.2018

(Massima a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Decreto del 5 dicembre 2018 – Presidente: dott.ssa Angelina Augusta Baldissera – Giudice relatore: dott. Stefano Franchioni

In tema di ammissione al passivo fallimentare, le disposizioni di cui all’art. 24, co. 33, l. n. 449/1997 e all’art. 9, co. 5, d.lgs. n. 123/1998 devono essere intese come riferite a tutti i crediti relativi ai finanziamenti erogati, e poi revocati, all’impresa, ossia – non soltanto, ai crediti aventi la loro fonte nell’irregolare concessione dell’intervento o nell’indebito conseguimento del beneficio – anche a quelli derivanti, come nella specie, da «ragioni o fatti addebitabili all’impresa beneficiaria» o da qualsiasi altra ragione («in tutti gli altri casi»), anche se attinente alla fase negoziale successiva all’erogazione del contributo, dovendosi pertanto riconoscere carattere privilegiato.

I principi sono stati espressi nei giudizi (riuniti per connessione) promossi ex art. 392 c.p.c. dal creditore, in ipotesi, una pubblica amministrazione, e dall’ente concessionario della riscossione avverso il decreto emesso all’esito del giudizio di opposizione (promosso dall’ente concessionario della riscossione) ex art. 98 l. fall., che aveva confermato l’ammissione integralmente al chirografo del credito avente titolo nella revoca di un finanziamento regolarmente concesso all’impresa, poi fallita, quale conseguenza di gravi inadempienze dell’impresa beneficiaria medesima.

Nel giudizio di opposizione, in particolare, l’opponente aveva chiesto il riconoscimento del privilegio ex art. 24, co. 33, l. n. 449/1997 e art. 9, co. 5, d.lgs. n. 123/1998, che il giudice di prime cure aveva escluso, non integrando la fattispecie concreta alcuna delle ipotesi tipiche, e avverso la cui decisione il creditore e l’ente concessionario della riscossione avevano proposto riscorso in Corte di Cassazione.

Sul punto il giudice del rinvio, uniformatosi al principio di diritto ed alle statuizioni della Suprema Corte ex art. 384 c.p.c., in parziale riforma del decreto di esecutività dello stato passivo, ha disposto l’ammissione del credito al privilegio ex art. 24, co. 33, l. n. 449/1997 e art. 9, co. 5, d.lgs. n. 123/1998.

(Massima a cura di Marika Lombardi)