Sentenza del 3 aprile 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Lorenzo Lentini

In tema di responsabilità degli amministratori nei confronti della società, l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto richiede un accertamento particolarmente rigoroso, in cui viene in rilievo la sistematica ingerenza di un soggetto, privo della carica formale, in decisioni di competenza dell’organo amministrativo, configurandosi quale amministratore di fatto la persona che benché priva della corrispondente investitura formale, risulta inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza (conf., ex multis, Cass. n. 4045/2016).

In particolare, è qualificabile come amministratore di fatto il soggetto che, in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell’assemblea (sia pur irregolare o implicita), si sia ingerito nella gestione di una società in maniera sistematica e completa. La valutazione della sistematicità e della completezza deve essere fatta tenendo in considerazione le attività svolte dal soggetto nell’ambito dei rapporti interni (con i soci e/o gli amministratori) ed esterni (coi clienti e i collaboratori) alla società (conf. Trib. Torino, 05.03.2018). Alla luce di quanto sopra, l’onere di allegazione nella fattispecie deve investire puntualmente le circostanze dalle quali detta qualifica può essere desunta, con particolare riferimento al requisito della sistematicità dell’ingerenza esterna.

I principi sono stati espressi nel giudizio promosso da una società a responsabilità limitata, posta in liquidazione, nei confronti dell’ex presidente del consiglio di amministrazione e successivamente, in tesi, amministratore di fatto, ai fini dell’accertamento della responsabilità di quest’ultimo, anche in via extracontrattuale, per i danni patiti dalla società in seguito al compimento di atti sociali in conflitto d’interesse.

Al riguardo, la società contestava all’ex presidente del consiglio di amministrazione l’attuazione di “un disegno unitario” volto a spogliare la società attrice dell’azienda, mediante la stipula di un contratto di affitto di azienda, a fronte di un canone irrisorio, in favore di altra società amministrata dallo stesso convenuto. Il predetto contratto, in particolare, veniva stipulato dalla società attrice in data posteriore alla cessazione del convenuto dalla carica di presidente del consiglio di amministrazione e, dunque, in un’epoca in cui il convenuto avrebbe ricoperto la carica di amministratore di fatto.

Il convenuto si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attoree e, in subordine, l’accertamento della responsabilità solidale dei soci della società attrice, nonché dell’amministratore succeduto nella carica.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 3 aprile 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

L’accertamento della violazione degli obblighi incombenti sugli amministratori costituisce presupposto necessario, ma non sufficiente per ravvisare in capo all’amministratore stesso una responsabilità di tipo risarcitorio: ed in vero, affinché si configuri la responsabilità in esame è necessaria la prova del danno, ossia del deterioramento effettivo e materiale della situazione patrimoniale della società, nonché la prova della riconducibilità diretta, sotto il profilo causale, del danno lamentato alla condotta omissiva o commissiva oggetto di contestazione (conf. Cass. n. 5876/2011; Cass. n. 7606/2011).

Inoltre, la specifica allegazione del nesso eziologico, oltre a fungere da parametro per l’accertamento della sussistenza della responsabilità risarcitoria dell’amministratore, è altresì funzionale, sotto il profilo oggettivo, a circoscrivere il risarcimento del danno soltanto a quegli effetti patrimoniali negativi che sono conseguenza diretta dell’inadempimento posto in essere dall’amministratore stesso. Dal punto di vista dell’onere probatorio, in tema di risarcimento del danno, poi, spetta a chi agisce l’onere di provare l’esistenza del danno stesso, il suo ammontare nonché il fatto che esso sia stato causato dal comportamento illecito di un determinato soggetto, ossia il nesso eziologico che lega il danno al comportamento.

Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146 l. fall., la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare (conf. Cass. SS.UU. n. 9100/2015).

Principi espressi nel giudizio promosso dal curatore fallimentare di una società a responsabilità limitata ex artt. 146 l. fall., 2394-bis c.c., 2392 e/o 2393 e/o 2394 c.c., 2476 c.c. nei confronti dell’amministratore e socio della società, poi fallita, nonché ex art. 2476, comma 7, c.c. nei confronti delle socie. A fondamento delle sue pretese risarcitorie, l’attrice ha dedotto, oltre alla mancata tenuta delle scritture contabili, il compimento di atti distrattivi da parte dell’amministratore, perpetrati sulla base di scelte avallate dalle stesse socie.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 18 marzo 2020 – Presidente: Dott. Raffaele Del Porto – Giudice relatore: Dott. Davide Scaffidi

In tema di responsabilità degli amministratori di società a responsabilità limitata, l’art. 146 l. fall. attribuisce al curatore del fallimento di s.r.l. la legittimazione esclusiva ad esercitare, previa autorizzazione del giudice delegato, l’azione di responsabilità sociale e dei creditori sociali (conf. Cass. n. 17121/2010 e Cass. n. 23452/2019).

Spetta ai creditori sociali e dunque alla curatela, in ragione della specifica legittimazione, il diritto di ottenere dagli amministratori, a titolo di risarcimento, l’equivalente della prestazione che, per loro colpa, la società non è più in grado di adempiere (conf. Cass. SS.UU. n. 1641/2017). 

Le scritture contabili (che fanno prova, ai sensi dell’art. 2709 c.c., contro la società) assumono, quanto alle operazioni in esse registrate, analoga valenza probatoria nei confronti degli amministratori che le hanno formate; non altrettanto può dirsi nei confronti dei soci, che sono soggetti terzi. 

Tali principi sono stati espressi in accoglimento di un’azione, proposta dalla curatela fallimentare, volta all’accertamento e alla condanna al risarcimento del danno degli amministratori e dei soci di una s.r.l. per aver gli stessi depauperato il patrimonio della società, attraverso un uso improprio delle risorse finanziarie della stessa (concessione di finanziamenti), in relazione al peculiare contesto della incapienza del patrimonio della società poi fallita.

(Massime a cura di Francesco Maria Maffezzoni)




Sentenza 18 marzo 2020 – Presidente: Dott. Raffaele del Porto – Giudice relatore: Dott.ssa Alessia Busato

La rivalutazione discrezionale e volontaria di immobilizzazioni materiali al di fuori delle condizioni stabilite da leggi speciali non è consentita e determina la violazione dei principi di rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società.

Principio espresso nel contesto di un’azione di annullamento della delibera di approvazione del bilancio.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Sentenza 17 marzo 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

In tema di offerta pubblica di acquisto (c.d. o.p.a.), la responsabilità degli amministratori della società emittente per le inesattezze o carenze del comunicato ex art. 103 T.U.F. può essere affermata solo quando risultino omesse o falsamente rappresentate informazioni rilevanti in ordine ai dati realmente utili per l’apprezzamento dell’offerta o quando la valutazione operata dall’organo gestorio si fondi su presupposti macroscopicamente errati o risulti in palese contrasto con le informazioni correttamente acquisite. Ne consegue che laddove risulti la sostanziale adeguatezza delle informazioni relative ai dati utili per l’apprezzamento dell’offerta e la correttezza della valutazione dell’o.p.a. da parte degli amministratori, non potrà trovare accoglimento l’azione di responsabilità promossa individualmente dai soci ex art. 2395 c.c.

Principio espresso nel giudizio promosso dai soci di una s.p.a. ex art. 2395 c.c. contro i componenti del consiglio di amministrazione, al fine di ottenerne la condanna solidale al risarcimento dei danni direttamente subiti dai soci-attori, in conseguenza dell’asserita inadeguatezza del contenuto del comunicato ex art. 103, co. 3, Testo Unico della Finanza.

(Massima a cura di Marika Lombardi)




Sentenza del 17 marzo 2020 – Presidente relatore: Dott. Raffaele Del Porto

Nell’ambito
di una offerta pubblica di acquisto (OPA), il comunicato di cui all’art. 103,
c. 3, T.U.F., ai sensi del quale gli amministratori della società emittente
devono comunicare ogni dato utile per l’apprezzamento dell’offerta e la propria
valutazione sulla medesima, contiene, quanto alla seconda parte del comunicato,
una mera valutazione e non un giudizio (in senso stretto, avente ad oggetto
fatti oggettivamente accertabili), dunque una determinazione di valore avente
carattere necessariamente soggettivo, avendo ad oggetto situazioni suscettibili
– per loro natura – di vario apprezzamento.

La
responsabilità̀ degli amministratori della società emittente per inesattezze o
carenze del comunicato ex art. 103 T.U.F. potrà essere affermata solo
quando risultino omesse (o false) informazioni rilevanti in ordine ai dati
realmente utili per l’apprezzamento dell’offerta ovvero quando la valutazione
operata dall’organo gestorio si fondi su presupposti macroscopicamente errati o
risulti in palese contrasto con le informazioni correttamente acquisite ovvero
ancora in ulteriori casi patologici quali quelli di abuso di potere, conflitto
di interessi e altri della medesima natura.

Dato
che l’adesione degli attori all’OPA non avrebbe comportato il necessario
perfezionamento della vendita delle rispettive azioni, potendo l’efficacia
dell’OPA venir meno per effetto del mancato avveramento di una delle due
condizioni (o di entrambe le condizioni) alle quali l’offerta era assoggettata,
il danno lamentato dagli attori si caratterizzerebbe come danno da perdita di
una mera chance.

Il
creditore che voglia ottenere, oltre il rimborso delle spese sostenute, anche i
danni derivanti dalla perdita di chance
– che, come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un
determinato bene, non è una mera aspettativa di fatto ma un’entità
patrimoniale a sé stante, giuridicamente ed economicamente suscettibile di
autonoma valutazione – ha l’onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o
secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei
presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla
condotta illecita della quale il danno risarcibile dev’essere conseguenza
immediata e diretta (Cass. n. 1752/2005).

L’aver
mantenuto la proprietà (di gran parte) delle azioni per circa due anni a
seguito dell’insuccesso dell’OPA e sino al definitivo azzeramento del valore
del titolo induce a valutare come plausibile l’ipotesi della volontà di
conservare le proprie partecipazioni nella prospettiva di un effettivo rilancio
della società. Da tale valutazione deriverebbe un difetto di idonea prova della
sussistenza di un effettivo nesso causale fra il
– preteso – illecito oggetto di contestazione e le conseguenze lesive
lamentate.

Principi
espressi in occasione del rigetto della domanda ex art. 2395 c.c. presentata da
alcuni soci della società nei confronti degli amministratori della stessa al
momento dei fatti contestati.

In
particolare, gli attori lamentavano di aver subito un danno in ragione del
contenuto asseritamene inadeguato – per carenza ed inesattezza delle
informazioni fornite – del comunicato ex art. 103, c. 3, d.lgs. n. 58/1998
diffuso dal consiglio di amministrazione in occasione dell’offerta pubblica di
acquisto (OPA) totalitaria sulle azioni della società, nel quale era stato
espresso parere negativo che aveva indotto gli stessi a non aderire all’OPA
determinandone l’insuccesso.

Le vicende successive della società hanno portato ad un azzeramento del valore del titolo azionario avendo la stessa presentato domanda di concordato preventivo di tipo liquidatorio.

(Massime a cura di Giorgio Peli)




Sentenza del 17 marzo 2020 – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

L’azione risarcitoria ex art.1218 c.c. per violazione degli obblighi di collaborazione tra affiliati previsti in un contratto di franchising non può essere esperita “orizzontalmente” (tra affiliati) ma solo “verticalmente” tra affiliante ed affiliati.

Principio espresso nel contesto di un’azione di risarcimento danni per inadempimento delle pattuizioni previste in un contratto di franchising relative a obblighi di collaborazione e di non concorrenza in capo agli affiliati.

(Massima a cura di Giovanni Gitti)




Sentenza del 28 febbraio 2020 – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

Ai fini dell’accertamento del superamento del tasso di interesse rispetto al tasso-soglia di cui alla disciplina antiusura, il tasso degli interessi moratori non è da sommarsi a quello degli interessi corrispettivi.

Principio espresso nel contesto di un’azione di nullità di un contratto di locazione finanziaria per asserita violazione della disciplina antiusura.

(Massima a cura di Giovanni Maria Fumarola)




Sentenza del 26 febbraio 2020 – Giudice estensore: Dott. Lorenzo Lentini

Ai fini della quantificazione del danno patrimoniale sofferto dall’investitore per effetto della vendita di strumenti finanziari da parte di un intermediario finanziario che abbia violato gli obblighi informativi ex art. 21 del Testo Unico della Finanza, il corretto parametro da assumersi è il valore che gli strumenti finanziari in questione avevano al tempo in cui sarebbe stato possibile dismetterli tempestivamente e non invece il successivo momento in cui l’investitore discrezionalmente decideva di venderli, scommettendo così su un incremento del loro valore. L’intermediario non può dunque rispondere dell’ulteriore decremento di valore degli strumenti, essendo questo dovuto ad un comportamento colposo dell’investitore.

Principio espresso nel contesto di una azione per danni proposta da un investitore nei confronti di un intermediario finanziario per il collocamento di obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina.

(Massima a cura di Giovanni Maria Fumarola)




Sentenza del 12 febbraio 2020 – Presidente: Dott. Donato Pianta – Consigliere estensore: Dott. Giuseppe Magnoli

Ancorché eventualmente ricompresa nel medesimo articolo del contratto, la clausola di determinazione dell’interesse moratorio è autonoma e ben distinta da quella di determinazione dell’interesse corrispettivo. Con la conseguenza che l’eventuale invalidità della clausola relativa al tasso moratorio non si estende a quella relativa all’interesse corrispettivo, che resta valida e pienamente efficace anche nel caso in cui la prima risulti nulla perché usuraria.

Nei
mutui ad ammortamento, la formazione delle rate di rimborso, nella misura
composita predeterminata di capitale ed interessi, attiene alle mere modalità
di adempimento di due obbligazioni poste a carico del mutuatario, aventi ad
oggetto l’una la restituzione della somma ricevuta in prestito e l’altra la
corresponsione degli interessi per il suo godimento, che sono ontologicamente
distinte e rispondono a diverse finalità; di conseguenza, il fatto che nella
rata esse concorrano, allo scopo di consentire all’obbligato di adempiervi in
via differita nel tempo, non è sufficiente a mutarne la natura né ad eliminarne
l’autonomia (Cass. Civ., n. 11400/2014).
In forza delle limitazioni previste, quindi, dall’art. 1283 c.c., la banca non
può pretendere il pagamento degli interessi moratori sul credito scaduto per
interessi corrispettivi, con conseguente nullità della clausola in tema di
determinazione degli interessi moratori, perché anatocistica.

Il TAEG/ISC è un indicatore che agevola il cliente
consumatore nella comprensione dell’effettiva dinamica economica dei vari
rapporti contrattuali instaurati con la banca; avendo tale finalità, esso non
ha la funzione di integrare la disciplina convenzionale, semmai di agevolarne la
comprensione. Quindi la sua presenza o meno è del tutto ininfluente nella
prospettiva dell’accertamento circa la determinatezza della pattuizione dell’interesse
passivo.

Invero, la pattuizione è indeterminata quando si
può interpretare in un senso che conduce ad un risultato, e pure in altro senso
che conduce ad un risultato diverso; è viceversa determinata quando univoche ne
sono le conseguenze.

Pertanto, si può affermare che vi è determinatezza
o determinabilità dell’interesse pattuito quando l’interesse dovuto è correlato
ad un dato esterno – quale il tasso Euribor – di cui non sia stata contestata l’oggettiva
conoscibilità, così risultando univoco.

Principi espressi a seguito del giudizio di appello
promosso dal mutuatario avverso la sentenza del tribunale che aveva respinto la
domanda dallo stesso proposta al fine di sentire dichiarare la gratuità del
contratto di mutuo per pattuizione di interessi usurari.

(Massime
a cura di Lorena Fanelli)